QUADERNO N. 14

INDICE


FRANCESCO ANGELONI

GIUSEPPE TROSSO

MARCELLO FALOPPA


FRANCESCO ANGELONI

Sono stato operaio a Mondovì, alla Ceramica Besio, membro di commissione interna per la CGIL. Nel '51 la CGIL mi ha chiamato a ricoprire la carica di segretario della Camera del lavoro di Mondovì.
Dal '54 ho partecipato, ma in modo abbastanza relativo, alle lotte contadine nelle Langhe.
Poi sono rientrato in fabbrica perchè il sindacato non aveva più i soldi per pagare gli stipendi ai funzionari e dopo due anni, nel '56, sono uscito definitivamente dalla Besio.
Ho lavorato alla Camera del lavoro di Cuneo. I funzionari erano i compagni Panero, che alcuni anni prima aveva sostituito Borgna, arrestato, Giraudo, Antonietta Squarotti, Capellaro e Giglio di Saluzzo. Era in segreteria, ma non era distaccato, Franco Viara. La struttura era molto debole, il sindacato e il partito erano completamente isolati. Erano anni difficili e duri. C' era un forte scontro tra CGIL, CISL e UIL, perchè la CISL puntava, anche in provincia di Cuneo, a conquistare l' egemonia tra i lavoratori, cosa che non le è mai riuscita per l' impegno e la presenza della CGIL.
La UIL era molto più debole, aveva una presenza in alcune realtà, ma non un' organizzazione consistente a livello provinciale. Sarebbe poi cresciuta negli anni '70, rafforzandosi come tutte le organizzazioni sindacali e assumendo un ruolo nel processo unitario.

Contadinisti e operaisti

Nel '58, alle elezioni politiche, il PCI perdeva 12.000 voti che passavano al PSI. Il candidato di punta, Biancani, non veniva eletto. Nel partito, vi era scontro fra due anime; da una parte Biancani, Borgna, Martino, dall' altra Sparla, Panero ed io. Lo scontro era reale, anche se assumeva aspetti ingenui.
Da un esame dei risultati elettorali, risultava che la grande perdita era avvenuta nei centri urbani, mentre dalle campagne, dove il partito aveva profuso impegno e lavoro, non era arrivato nulla. Sparla aveva portato questi dati al Comitato federale, dimostrando che il partito aveva spostato l' attenzione dalla classe operaia al mondo contadino che non era ancora maturo. Questa scelta derivava dalla "politica di rinascita", in cui alcuni, davanti alle difficoltà alla FIAT, teorizzavano (prima di Mao) che occorreva circondare le città. Soprattutto in alcuni ambienti intellettuali si pensava che la fabbrica si potesse aggirare, costruendo un movimento attorno ad essa.
In questo scontro c'erano posizioni non corrette da entrambe le parti, perchè si trascurava l' esigenza di trovare un equilibrio e comparivano aspetti di carattere personale, tanto che Sparla, nel '61-'62, sarebbe stato spostato dalla federazione alla CGIL, per una esigenza di rinnovamento, ma anche a causa dei contrasti.
Le due anime si dilaniavano anzichè travare un rapporto corretto, sia per quanto riguarda la politica verso le campagne, sia per recuperare nelle fabbriche e nelle città. Il gruppo dirigente locale non era in grado di eleggere un segretario e la Direzione del partito ci aveva mandato Nestorio che proveniva da Vercelli dove la situazione era molto diversa dalla nostra: qui il partito era più proiettato al dialogo con gli altri, là era più forte, più schematico, più pieno di sè. Quindi, Nestorio, anzichè favorire uno sbocco unitario, portava all' esasperazione i veti incrociati, schierandosi una volta di qua, una volta di là, non aveva le capacità di essere il perno che ricucisse l' unità del gruppo dirigente, non riusciva a calarsi all' interno di questa realtà, non favoriva il rinnovamento del partito. Aveva scelto come vice-segretario Romano.
Questo non era solamente uno scontro a livello di gruppo dirigente, ma esisteva nelle sezioni. Ad esempio, sull' uscita di Giolitti, diversi erano stati gli atteggiamenti della sezione di Mondovì, di cui io facevo parte, e di quella di Saluzzo, più vicina alla sua area, retta da Botto e più aperta, più attenta al rapporto con gli artigiani, con il ceto medio...
L' anno successivo al passaggio di Giolitti al PSI e alla sua elezione, vi era stato un grosso scontro con il PSI, perchè alla festa del 1° maggio, noi rifiutavamo la presenza di Giolitti sul palco. Era arrivato Santi da Roma ed eravamo andati a cena al ristorante Olimpic, in corso Galileo Ferraris, Panero, Boselli, Viara, Santi ed io per cercare di risolvere il problema. Alla fine, santi aveva detto:
"Noi ci rendiamo conto che voi ce l' avete con Giolitti, perchè era vostro fino all' altro giorno, avete perso un sacco di voti e adesso voi non lo volete sul palco, però noi, come CGIL, non possiamo accettare perchè se ci va il comunista, ci deve andare anche il socialista e lui oggi è socialista"
Allora avevamo stabilito che i parlamentari sarebbero stati sul palco per l' ultimo anno, eche in futuro mai più lo avrebbero fatto. Noi, dopo un po' di incertezza, avevamo accettato e quindi Giolitti aveva partecipato, detto due parole e se ne era andato.
In questo quadro, la scelta di Sparla alla Camera del lavoro era di rinnovamento: Era segretario sindacale, da ormai tredici anni, Panero, si era all' inizio di un processo di ripresa del movimento operaio e di rapporti unitari con CISL e UIL, vi erano i primi scioperi, le prime spinte alla FIAT, si iniziava a porre il problema del superamento delle zone salariali.
Con Panero avevamo avuto uno scontro anche duro, perchè voleva dal partito un riconoscimento effettivo del lavoro svolto e una soluzione di continuità. Rifiutava che si richiedesse un rinnovamento. Purtroppo, tutte le sostituzioni provocano sempre qualche polemica e lasciano qualche strascico.
La gestione Nestorio aveva portato ad una situazione impossibile, insostenibile. Sparla ed io eravamo andati a Torino per parlare con Santhià che faceva ancora parte del gruppo dirigente regionale e chiedere che la Direzione del partito affrontasse il problema.
Non era ancora matura (e forse era un errore) la segreteria Martino e quindi si era proposta la segreteria di Panero, come soluzione transitoria, ponte, di un uomo che aveva grandi capacità organizzative, che doveva ristrutturare la realtà del partito. Panero aveva lavorato bene, con responsabilità e poi si era dimesso anche per contrasti in federazione, specialmente con Izzi. Biancani era diventato parlamentare nel '61, in seguito alla morte del deputato di Asti e nel '63, per le nuove elezioni, eravamo alla ricerca di una nuova figura. La nuova figura della federazione era Izzi. Poi sarebbe stato rieletto Biancani.

Tre segreterie

Dopo la "transizione" di Panero, era stato eletto segretario provinciale Martino, che avendo una situazione stabile alla Camera del lavoro, era riuscito a far uscire il partito dalle secche in cui si trovava. Martino aveva dimostrato capacità politiche, di apertura, volontà di rapporti unitari. Il partito era chiuso a riccio, in se stesso, con rapporti difficili anche con il PSI, dopo la vicenda Giolitti. Era iniziata, dal centro, l' attenzione verso le zone bianche, ai rapporti con il mondo cattolico. La politica togliattiana dell' ottavo congresso iniziava a dare i primi frutti concreti nell' iniziativa politica, nell' atteggiamento verso la DC per le riforme istituzionali, per la difesa della Costituzione. La segreteria Martino, pur con difficoltà, era riuscita ad organizzare, incanalare le iniziative, anche se i risultati, a livello elettorale, non erano arrivati immediatamente, dato il moderatismo della provincia. Solo nel '75 avremmo raccolto i frutti del lavoro precedente, della ricostruzione del partito e di un gruppo dirigente coeso su una linea politica, con al centro l' attenzione per le zone bianche ed il mondo cattolico. Qui, però, sarebbero nati problemi nuovi poichè tutti i compagni migliori sarebbero finiti nelle istituzioni e la politica del partito si sarebbe espressa specialmente all' interno delle istituzioni.
Con Martino avevamo evidenziato la contraddizione fra una DC che nelle amministrazioni era corretta, morale, non aveva prodotto scandali e che esprimeva una provincia laboriosa, tenace e l' anticomunismo a livello politico generale, del gruppo dirigente. I dirigenti DC non erano gli eredi del liberalismo, di una concezione della politica basata sul rispetto e il confronto tra varie culture, sulla ricerca. Gli eredi di questo liberalismo progressista eravamo noi. Se non fossimo riusciti ad interpretare questa realtà, saremmo rimasti un "corpo estraneo" a questa provincia, come diceva Sarti.
Già con Biancani il partito si era aperto e con Martino questa scelta era continuata con la ricerca di uomini che manifestassero il rinnovamento del partito. In questo quadro, si era valorizzato Franco Revelli che proveniva dalla borghesia, si inseriva nel filone liberaldemocratico e che poteva offrire una nuova immagine. Revelli nel 1970 veniva eletto consigliere regionale e nei primi anni '70 segretario di federazione. La sua segreteria è stata un periodo di travaglio. Il suo modo di pensare e di lavorare si conciliava con difficoltà con un partito lento a comprenderlo. La sua formazione era filosofica, noi eravamo abituati al linguaggio togliattiano, molto linerae, semplice, non avevamo mai avuto un segretario intellettuale (Biancani era un impiegato), un intellettuale con le sue capacità e questo costituiva una rottura; per alcuni settori del partito andava bene e per altri no.
La segreteria di Revelli era stata breve. A lui ero subentrato io. Un segno di grande rinnovamento e di apertura sarebbe stata, nel '76, la candidatura alle politiche di Beppe Manfredi, per tanti anni democristiano. L' avevamo costruita Martino ed io, incontrandolo, discutendo con lui. Anche in questo caso, avevamo raccolto quanto seminato.
In quegli anni si sommavano ritardi, incomprensioni, necessità di cambiamento, di essere un partito di governo che non avesse più tutte le remore, anche ideologiche, del passato.
Molti compagni avvertivano da tempo tutto questo, altri meno. Chi ha il compito della gestione politica dovrebbe farlo più di altri, ma deve tenere insieme tutte le situazioni. Per la struttura del PCI, i passi non potevano essere diversi da zona a zona e certe scelte che sarebbero andate bene in alcune realtà sarebbero state sconvolgenti per altre.
Durante la mia gestione vi sono stati molti problemi: le discussioni sull' istituzione delle zone, le scelte politiche, poichè la politica di unità nazionale nera esaurita e quella di alternativa non emergeva ancora, per cui ero costretto a difendere una politica alla quale ormai più nessuno credeva.

Il sindacato

Tornando a ragionare sul sindacato, nel '58 abbiamo deciso, Camera del lavoro e Partito comunista, di costruire il sindacato alla Ferrero di Alba. Allora ho lasciato Cuneo e mi sono trasferito ad Alba. Lì, Martino dirigeva la zona del partito, mentre Borgna era rientrato a Cuneo per problemi di salute. Abbiamo lavorato quattro anni e in quel tempo abbiamo costruito il sindacato. Gli occupati (in gran parte donne) erano 3.500-3.600, i contratti non erano applicati, non c'era la commissione interna. Insomma niente. Lo sfruttamento era scientifico e spaventoso.
Anche la CISL, un po' prima o un po' dopo di noi non importa, si era posta il problema della Ferrero. La CISL, legata alla DC, pensava di stabilire un dialogo diretto con l' azienda che la portasse, senza scontro di classe, ad applicare i contratti, a dare alcuni riconoscimenti alle lavoratrici. La Ferrero le aveva chiuso la porta in faccia.
Quindi, anche nella divisione, abbiamo trovato punti in comune e nel '60 abbiamo organizzato il primo sciopero per l' applicazione del contratto. Uno sciopero drammatico perchè ha avuto uno strascico giudiziario, ma siamo riusciti ad imporre la commissione interna (CISL maggioranza, noi minoranza, presente anche la UIL): Di lì è iniziata per l' albese una politica nuova che ha messo in moto le tante energie all' interno della sinistra e della DC, percè la DC più efficiente è quella dell' albese, non solo sul piano amministrativo (basti vedere le strade di Alba) e ha saputo assecondare lo sviluppo industriale e la classe imprenditoriale che noi, in un primo tempo, abbiamo odiato come classe sfruttatrice, poichè questo era, sotto ogni punto di vista.
Uno sciopero alla Ferrero significava fermare sul piazzale migliaia di macchine e di autobus. La direzione richiamava tutti i rappresentanti che aveva in Italia- ed erano migliaia- che arrivavano ad Alba e andavano a svegliare le operaie, le caricavano in macchina e le portavano tutte in fabbrica, con la polizia stradale che faceva passare queste migliaia di auto per impedire ai sindacalisti di confrontarsi con le lavoratrici.
Per questo abbiamo rischiato il carcere, perchè una mattina abbiamo organizzato uno sciopero a sorpresa, Bertolino della CISL, Bombardi ed io.
Da allora sono cambiate molte cose, in particolare con l' avvento del dott. Dogliotti alla direzione della Ferrero, nei rapporti con l' azienda, nel rispetto dei contratti e delle leggi, nel riconoscere al sindacato una sua funzione. Naturalmente vi è sempre stato uno scontro, ma noi abbiamo sempre avuto la massima considerazione verso questi gruppi industriali dell' albese che hanno dato lustro a questa città e a questa economia.
Sono rimasto ad Alba sino al 1963, quando poi sono rientrato a Cuneo. Il mio posto è stato preso da Antonio Dutto con cui ho sempre avuto molte discussioni. Lui, ad esempio, leggeva "L' Espresso" ed era trotskista, ci diceva che avevamo sbagliato ed io, che mi attenevo ai sacri testi, replicavo duramente.
Nel periodo in cui ho lavorato ad Alba, a Bra è avvenuto il "fenomeno Brizio" che ha avuto un ruolo non indifferente nel socialismo provinciale. Nel '58, Brizio aveva lasciato la DC ed era diventato socialista autonomista, nenniano. Era molto popolare, medico della mutua, di famiglia molto conosciuta, la madre aveva collaborato con i partigiani, sapeva far comizi, populista, un personaggio alla Turati. Brizio, alle comunali del 1960, aveva portato il PSI da due a nove seggi, ridimensionando la DC e anche il PCI che da quattro (c'era anche Velso Mucci) era sceso a uno solo, il sottoscritto, solo consigliere comunista dal 1960 al 1964. Nove consiglieri il PSI, siccome per convocare il consiglio occorrevano dieci firme, io ero determinante, per incalzare la DC che non voleva il centro-sinistra. Abbiamo fatto molte battaglie unitarie. Poi Brizio è passato im maggioramza al comune e il PCI è rimasto l' unica forza di opposizione, con grosse iniziative di partito, di sindacato, sui temi internazionali (la protesta contro l'esecuzione di Grimaud nel '63), riuscendo a risalire la china.
Nel '63, a Cuneo, apriva la Michelin ed io, tornato a Cuneo, diventavo segretario dei chimici e iniziavo la costruzione del sindacato all' interno di quella grande azienda. Lavoro difficile che porta all' elezione della prima commissione interna e ai primi accordi contrattuali. Contemporaneamente nasceva il sindacato anche alla Italcementi e alla Cometto, l' unica grande azienda dove eravamo scoperti, con il padrone Cometto che non voleva assolutamente discutere con i sindacati e che poi era costretto a firmare un accordo all' Ufficio provinciale del lavoro in cui doveva riconoscere non solamente il sindacato, ma anche i diritti dei lavoratori. Il fatto politico più importante di quegli anni era, comunque, la ripresa dell' unità sindacale, con la lotta contro le zone salariali (noi eravamo in settima zona, quindi con distacchi enormi rispetto ad altre province) e con la politica delle riforme.
Iniziavano le richieste di riduzione dell' orario di lavoro e per l' emancipazione femminile anche nei contratti, la richiesta che la donna dovesse avere lo stesso stipendio dell' uomo quando faceva lo stesso lavoro. Battaglie non facili in questa provincia. Direzione Panero-Martino nel partito, Sparla-Angeloni nel sindacato. Erano anni positivi, di crescita.
Sparla moriva improvvisamente, per infarto, nel 1969 dopo il congresso della CGIL. Pochi giorni dopo, venivo eletto io alla carica di segretario. Il rapporto unitario fra i tre sindacati, la grande apertura del PCI e il forte impegno del PSI, seppure nell' ambito del centro-sinistra, visto però come vera politica di riforme, hanno incamminato la provincia verso sviluppi sociali e civili più avanzati. Abbiamo iniziato a non essere più una provincia negletta, ad abbandonare il complesso di inferiorità che ci aveva contraddistinti per anni, ad uscire da un isolamento totale: Anche gli Enti locali hanno iniziato ad assumere un ruolo diverso rispetto a quello del passato quando erano schierati a difesa del conservatorismo, dello status quo. La Provincia e molti comuni prendevano posizioni per sostenere le lotte dei lavoratori, in cui avvenivano processi di cambiamento nella realtà provinciale. Anche sul terreno dei diritti civili, divorzio, aborto...vi erano confronti culturali che avrebbero portato a conquiste.
Non mancavano, però, gli scontri nella CGIL, soprattutto sul tema della programmazione economica. I socialisti appoggiavano le scelte di Giolitti, mentre i comunisti chiedevano che dalle parole si passasse ai fatti.
Nei primi tempi della mia segreteria, oltre alle fabbriche ricordate, si è costruito il sindacato nella scuola e nel pubblico impiego. Nel '70 siamo riusciti ad entrare nell' Amministrazione provinciale, tra i cantonieri, che hanno avuto grossi miglioramenti nelle condizioni di lavoro.
La Michelin ha avuto un impatto negativo contribuendo allo spopolamento delle montagne, ma anche un effetto dirompente sull' occupazione e sulle relazioni sindacali, perchè ha superato la politica di bassi salari dell' Unione Industriale del tempo, introducendo in provincia salari più alti e un modo diverso di intendere i rapporti con il sindacato. La Michelin è sempre stata molto dura, ma ha sempre trattato, ha rotto sul piano salariale la prassi dell' Unione industriale, ha costretto le piccole aziende (allora c'era scarsità di manodopera) a ricorrere ad aumenti salariali. In quella fase, con questo e con il superamento delle zone salariali, ci siamo adeguati a Torino e alle altre realtà.
Con CISL e UIL abbiamo avuto processi unitari più avanzati che in altre province. Non esistevano quasi più le tre sigle sindacali, si concordava tutto, si realizzava tutto unitariamente, si eleggevano i delegati in modo unitario.
Bertolino, della CISL, veniva dalla DC di Mondovì come io venivo dal PCI di Mondovì, quindi da una realtà industriale. Mondovì era, con Savigliano, il maggior centro industriale. Da Mondovì venivano i gruppi dirigenti del PCI, della CGIL, della CISL poichè lì vi era il nucleo operaio più forte. Bertolino era democristiano, si era battuto per emarginarci, però quando la situazione politica era mutata ed erano cambiati i rapporti fra i sindacati, aveva saputo adeguarsi e aveva dato un ottimo contributo. Come lui, Airaldi di Mondovì e Baralis, che veniva dalla Coldiretti. Decidevamo insieme e agivamo insieme, anche per smuovere la DC e costringerla a svolgere una diversa politica sociale.

Segretario del PCI

Nel '75 sono eletto segretario di federazione PCi e lascio la CGIL (mi sostituisce Trosso). Oggi, sconsiglierei ad un sindacalista di andare a dirigere un partito. Sono due cose molto diverse.
Io, anche se la mia formazione è stata prevalentemente sindacale, ero e sono uno dei quadri con maggiore attaccamento al partito. Sindacato e partito richiedono due modi molto diversi di direzione. E questo è tanto più difficile se avviene in una fase di transizione tra una politica e l' altra, tra una struttura e l' altra. Per anni, i segretari del PCI avevano avuto le loro certezze che nessuno discuteva. Dal '76 in poi, tutte le certezze sono crollate e tutto è stato messo in movimento. Io venivo da un' esperienza unitaria, di confronto con i socialisti, ed avevo difficoltà in un partito con sensibilità diverse, un modo diverso di fare politica, la necessità di attaccare l' avversario.
Il mio primo problema è stato quello di ricostruire un gruppo dirigente, perchè quello di Franco Revelli non esisteva più. Nel '75, inaspettatamente, avevamo avuto due consiglieri regionali, Piero Dadone e Anna Graglia. Martino era senatore e quindi raramente a Cuneo. Nel gruppo dirigente di Revelli (Ferro, Graglia, Beretta, Viglietti per Cuneo) avevo innestato alcuni giovani Degiovanni, Flavia Salvagno, Livio Quaranta, Bonetto di Verzuolo, Magnetto. Revelli era stato chiamato a Torino, al regionale, però qualcuno aveva detto che la mia elezione significava il ritorno del vecchio partito che aveva voluto farlo fuori, che Martino, Angeloni, Graglia, Borgna avevano ripristinato i vecchi equilibri, i vecchi rapporti di potere. Ovviamente, era tutto falso. Con la crescita elettorale e le nuove responsabilità, a Torino avevano bisogno di uomini nuovi e Minucci aveva voluto Revelli in un incarico regionale. Non so i motivi per cui a Cuneo non ci sia stata una resistenza maggiore per tenerlo qui. Di questa situazione ho sofferto, soprattutto nel rapporto con la sezione di Cuneo, ma anche con altre realtà locali.
La crescita elettorale ci dava responsabilità enormi. C' erano tanti nuovi iscritti. Il partito era cresciuto su una politica, aveva fatto una campagna elettorale proponendo la solidarietà nazionale, aveva eletto Manfredi, ma poi, quando questa scelta aveva pagato, nel momento della gestione, si ritraeva, la rifiutava.
C'erano opposizioni a livello locale e anche nazionale, che in provincia emergevano poco nei comitati federali, ma comparivano continuamente nelle riunioni di sezione, dove mi sembrava di andare a difendere un corpo morto. Dopo il '76, in provincia, si è sviluppata una crisi di identità dovuta a molti fattori, che qualcuno pensava che ci fosse stato un ritorno del vecchio partito, che entrava in crisi la politica di solidarietà nazionale, che vi erano differenze nel giudizio sul terrorismo e nel rapporto con la DC. Inoltre, vi erano anche problemi organizzativi. Indubbiamente, io ho avuto difficoltà, data la mia formazione, a capire, a cogliere fatti che avvenivano, ma non ho avuto molta collaborazione che sarebbe stata necessaria. Durante il rapimento Moro, abbiamo costruito una iniziativa unitaria con la DC, con mille difficoltà; con una manifestazione in piazza Galimberti- presente anche il segretario Bellani- che la DC si rifiutava di organizzare. Contemporaneamente c'era la discussione sulla costruzione delle zone, sul nuovo assetto della federazione. Si dibatteva se mantenere il gruppo dirigente in federazione o se utilzzarlo localmente. Una volta vinceva una ipotesi, una volta vinceva l' altra.
Negli ultimi mesi della mia segreteria, con un partito in grande sofferenza, avevo proposto a Sergio Soave che dirigeva il circolo Gramsci di Torino e a Lido Riba che era presidente della Confcoltivatori di entrare in segreteria, nell' ipotesi di lasciare poi a loro. Avevano rifiutato, dicendo che non pensavano possibile un loro impegno diretto nel partito. Invece sono stati loro a subentrare a me. Può sembrare incomprensibile, ma credo che abbiano dato una valutazione un po' interessata della situazione.
Nel 1980, io non ero più segretario, alle regionali si è puntato su Primo Ferro. Era consigliere uscente Anna Graglia, il regionale le aveva riconfermato la fiducia, poi tutto è stato cambiato. Credo che a Torino, siccome si puntava ad una Regione più elaborativa, abbiano ritenuto che Ferro avesse maggiori capacità di studio e di elaborazione rispetto a Graglia. Ferro, solo un mese prima della candidatura, pensava di lasciare l' attività di funzionario e di scegliere una attività privata. Questi sono particolari personali. Questo è il travaglio di tanti compagni.
Durante la mia segreteria, i rapporti con il PSI sono stati difficili. All' inizio ho tentato di imprimere una forte unità, vista l' esperienza sindacale, ma ho incontrato un muro, difficolta. E' stato quello il periodo più difficile del rapporto unitario perchè il PSI aveva perso molti voti che erano finiti a noi, parlava di alternativa mentre noi eravamo per la solidarietà nazionale. Sul piano personale, erano ottimi i rapporti con Viglione, con Cipellini, ma su quello politico, il lavoro unitario non marciava. Meglio andavano le cose nei consigli comunali.
Buono, invece, il rapporto con la DC, anche se aveva dappertutto ricostruito giunte di centro-sinistra ed era convinta di recuperare tutti voti persi negli ultimi annio, considerati "voti a spasso". Segretario di federazione era Bellani, vi erano incontri su questioni relative agli enti locali. Noi tentavamo di superare l' esclusione da tutte le nomine, soprattutto nelle banche. E avevamo parzialmente vinto. La Provincia aveva fatto una "dieta punti" che, pur in modo squilibrato per noi, riconosceva ai comunisti il diritto di essere nominati in enti, banche, commissioni...Anche se non era facile farci largo, perchè DC e PSI non volevano mai rinunciare ai loro posti e quindi era difficile trovare un posto per noi. Comunque avevamo avuto una vittoria di principio. Il bilancio della mia segreteria è in questa battaglia con la DC per un riconoscimento effettivo del PCI negli enti locali, nell' apertura al mondo cattolico, nella grande battaglia per i tassi agevolati ai lavoratori con reddito più basso per l' acquisto della casa.
Difficile il rapporto con le sezioni perchè nel '75 ci eravamo trovati tutti i segretari di sezione eletti nei consigli comunali. Si era dovuta ricostruire tutta l' organizzazione locale, con un partito sguarnito, perchè all' aumento di voti non era corrisposto un aumento di tesserati. I nuovi segretari contavano poco rispetto ai gruppi consiliari. Il partito era molto impegnato nelle discussioni sui problemi locali, sugli enti locali, sulla regione, ma poco sulla sua ricostruzione. I segretari spesso rimanevano in carica per breve tempo e bisognava ricominciare da capo. C' era più attenzione alla carica pubblica che alla carica di partito.
Qualche discussione anche con il regionale. Qualche problema con il regionale avevamo avuto già nel 1968 per la candidatura alle elezioni politiche. Dieci anni prima, nel '58, dopo l' uscita di Giolitti, il candidato di punta sembrava dover essere Borgna, leader delle lotte contadine. Era stato scelto Biancani, segretario di federazione, che rappresentava il partito. Finito il mandato di Biancani, sarebbe stato più che naturale che Borgna avesse questo riconoscimento dal partito. Invece, il regionale aveva proposto Milan che era stato segretario a Cuneo negli anni successivi alla guerra. Non sempre questo partito è stato generoso e corretto verso i suoi militanti. La scelta di Milan nasceva da Pecchioli che voleva valorizzare gli uomini della Resistenza: MIlan aveva il diritto di esserew deputato, ma perchè a Cuneo? E perchè con la motivazione che qui nessuno del gruppo dirigente era in grado di essere parlamentare? Martino era giovane ed è stato un bene che facesse il segretario di federazione, ma oltre a Borgna c'era anche Sparla. Come si poteva dire che non ci fosse nessuno? A me era sembrata una cosa grave, non giusta, non corretta. Tutti la avevamo letta come una forte ingiustizia, una punizione.


GIUSEPPE TROSSO

Dalla fabbrica alla CGIL
Sono nato a Fossano. Sono, per anni, operaio alla Bongiovanni.
Alla Bongiovanni lavora anche mio padre che nel '62 viene espulso dal PCI e dal sindacato per avere firmato un accordo di acconto sul contratto. PCI e CGIL sono contrari e lo cacciano, anche con accuse molto dure.
Io vengo licenziato per motivi sindacali nel 1961 e divento funzionario della CGIL. Faccio le vertenze, aiuto Giraudo. Poi si ammala Giglio e muore. Allora, Capellaro, che dirige l' INCA, si trasferisce a Saluzzo e direttore dell' INCA divento io. Vi resto sino al '68, quando passo alla FIOM, qiando si strutturano i sindacati di categoria (prima la Camera del lavoro facevo tutto per tutti).
Di quei primi anni, ricordo Capellaro, Giraudo, Panero, Sparla, Angeloni ad Alba.
La presenza maggiore della CGIL è alla Bongiovanni, alla Falci di Dronero, a Savigliano, alla Richard Ginori e in qualche fabbrica di Mondovi. Alla Ferrero siamo assenti, come pure nel pubblico impiego: Qualche presenza alle Poste a tra i ferrovieri. E' un sindacato quasi solo operaio.
L' attività maggiore è costituita dalle lotte contrattuali e dalla applicazione dei contratti. Non ci sono lotte articolate. Si organizzano scioperi anche un po' assurdi, ad esempio perchè ci sono i vermi nell' insalata. L' articolazione compare a metà anni '60, anche se nella mia fabbrica la "anticipiamo". Il mio licenziamento è dovuto ad una lotta articolata, fatta per tredici giorni consecutivi, in cui non abbiamo chiari neppure gli obiettivi. Io vengo licenziato con altri otto compagni e non c' è risposta operaia. Siamo sconfitti.
Perdiamo tutto; molti vanno a chiedere scusa al padrone.
Con il PCI i rapporti sono buoni, molto più stretti di quanto accadrà in seguito. Ricordo la segreteria di Panero, molto breve perchè al partito preferisce il sindacato e le associazioni di massa come l' Alleanza contadini, poi quella di Martino.

Gli anni '60 - '70
Quando divento segretario della FIOM, la realtà sta cambiando. Crescono i rapporti unitari con gli altri sindacati, anche con la UIL. Nel '71 abbiamo un grande scontro all' ITA Tubi di Racconigi per rispondere ai licenziamenti. La fabbrica viene occupata per qualche giorno, con blocco della produzione e della distribuzione. Lotta durissima. Molti licenziamenti rientrano. Molti altri scontri (a Cuneo la Tecnoresin) contro i licenziamenti o le chiusure di fabbriche. Nel '70 nascono le assemblee di fabbrica. Tengo io la prima, a Racconigi. Rientro anche, dopo anni, nella mia fabbrica (scrivo un articolo sulla Voce, il periodico del PCI. Nel '70, sciopero alla Valeo di Mondovì. Si muovono la Gazzola e il gruppo Vestebene. Nel '71 l' Italcementi di Borgo, il Bottonificio di Piasco, gli scioperi per il contratto alla Ferrero di Alba, nel '72 occupazioni contro la chiusura, a Fossano, della Orsina e della Souchon e a Mondovì, della Richard Ginori. Nel '73 nasce la FLM, con sede autonoma.
Sono gli anni della speranza nell' unità sindacale. A Cuneo, scriviamo un documento unitario, facciamo la tessera unitaria.
Poi, questa spinta si perde e subiamo un riflusso che paghiamo negli anni successivi.
Nel 1969 muore Sparla e viene eletto segretario Angeloni. Non vi sono cambiamenti di linea o di impostazione. Sono gli anni in cui ci sentiamo più forti, in cui cresce la sindacalizzazione, anche a causa dell' introduzione delle deleghe che sostituiscono l' iscrizione annuale e la raccolta delle quote.
Sentiamo anche, nel ' 68, l' ondata che arriva dalla Francia, poi la crescita elettorale del PCI, la nascita della CGIL scuola, con Reale e Carretto, la sindacalizzazione anche di piccole realtà.
Ma in provincia non è tutto facile; ricordo, come esempio, i licenziamenti in una piccola azienda metalmeccanica di Garessio: io alle cinque di mattina a dare i volantini davanti ai cancelli e gli operai che entrano in fabbrica senza neppure guardarmi in faccia. Per la paura. O il tentativo di far entrare il sindacato alle Acciaierie di Lesegno. Tengo una riunione, un pomeriggio, in un bar del paese con tre o quattro compagni e arrivano i Carabinieri a chiederci i documenti. A me non capita nulla, ma gli operai sono chiamati in fabbrica, il giorno dopo e richiamati all' ordine. In fabbrica i dirigenti sputano in faccia ad un compagno di Ceva che era alla riunione. Un compagno modesto, umile, bravo che viene messo a fare i lavori peggiori, più umili. Un altro, di Lesegno, viene licenziato. Un mattino entra in fabbrica e gli viene detto che era dimissionario. Quando un lavoratore veniva assunto, era obbligato a firmare una lettera in bianco. E gli viene mostrata la lettera con cui si licenzia.
Comunque, in quegli anni, il sindacato si sviluppa. Nascono e crescono molti giornaletti di categoria. C' è volontà di comunicare, di parlare, maggiore democrazia interna. Non esiste, invece, un giornale centrale. Il Lavoro esce negli anni '50 sino ai primi anni '60, poi lo riprendo io nel 1980, per dare una voce complessiva della CGIL provinciale.
Nel '75, sono eletto segretario provinciale; lavorano con me Gaspari, del PSI, Faloppa, Reale, Borgna, Beccaria.
Beccaria muore, nel 1976, in un modo assurdo, cadendo in una botola, a Beinette. Gli subentra Armando.
Dal '69, il sindacato era impegnato nella politica per le riforme (casa, scuola, trasporti). Ricordo il 19 novembre 1969, in piazza Galimberti, un bel comizio di Angeloni e Lunati, con tanta partecipazione. Volevamo fare le cose in 15 giorni, poveri illusi! Nelle assemblee di fabbrica dicevo che quello sarebbe stato l' anno delle riforme. Pensavo che in un anno si sarebbero risolti tutti i problemi. Alcuni obiettivi erano giusti, altri no. Poi abbiamo recuperato, corretto gli errori e messo la politica delle riforme al centro di tutto.
Nel '75, grande crescita del PCI alle amministrative, nel '76 ancora crescita alle politiche. Con il partito non ci sono contrasti che, invece, erano avvenuti in precedenza. Penso a Sparla, per fare un nome, che mi diceva:
"Il PCI mi ha mandato alla CGIL in quanto al partito rompevo le balle sui lavoratori"
Gestisco la politica dell' EUR. Ci sono alcuni contrasti con Baralis (CISL) e Pinna (UIL).
Qualche disaccordo anche nella CGIL, dove non compare un dissidio aperto, ma un mugugno diffuso. Anche per questo non vanno in porto le riforme su scala nazionale e non decolliamo, a livello locale, sulle vertenze.
Nei primi anni '70, c' è il tentativo di far nascere i Consigli di zona, ricordo l' impegno di Carretto, di Baravalle, un documento sulle vertenze locali scritto da me, Bertolino e Pirra, ma non decollano mai, perchè persiste una logica categoriale e non intercategoriale. Ognuno guarda al suo orticello.
Non ci sono grandi cambiamenti neppure dopo il 1979, quando il PCI abbandona la politica di unità nazionale e torna all' opposizione.
Comunque, sono ancora anni di crescita organizzativa, tanto che superiamo i ventimila iscritti in provincia. Il calo successivo deriva da fatti nazionali più che locali, fatti che cambiano negativamente il sindacato: Cresce una logica burocratica, peggiora il modo di "fare sindacato". Io ero sempre in sindacato. Questo è stato il mio primo amore, il mio primo impegno, la mia vita. Oggi, non è più così per nessuno.
Nel 1985 lascio la CGIL e divento dirigente dell' INPS. La mia preferenza per la nuova segreteria è per Borgna, ma la provincia è divisa in tre zone ed è scelto Faloppa che viene ritenuto più adatto ad un impegno su scala provinciale. Borgna ha un incarico, molto gradito, alla Funzione pubblica.


MARCELLO FALOPPA

PSIUP e CGIL

Nasco a Sanremo, ma me ne vado via molto giovane; aderisco al PSIUP sin dalla fondazione, uscendo dalla FGCI.
Arrivo a Cuneo nel 1967. Sulla base dei criteri che allora informano l' inserimento di quadri e funzionari nella CGIL mi viene chiesto di diventare funzionario sindacale, come rappresentante della componente. C' è una trattativa con i compagni che dirigono la Camera del lavoro, Sparla e Angeloni. Per il PSIUP tratta Grio. Il tutto va a buon fine e divento funzionario nel maggio '68, in coincidenza con le elezioni politiche (infatti faccio ancora la campagna elettorale).
Sono digiuno di ogni questione sindacale, non conosco la provincia di Cuneo. Mi occorre un po' di tempo per capire, orientarmi su realtà politiche e sociali così diverse da quelle che avevo conosciuto. Mi viene chiesto di occuparmi dei cartai e quindi alla Camera del lavoro di Cuneo quasi non metto piede, perchè le mie sedi diventano Saluzzo e Verzuolo.
Alla Burgo di Verzuolo trovo una forte presenza della CGIL, grande combattività. Ma si intravedono esigenze di cambiamento, di rinnovamento: I quadri di fabbrica più seguiti sono Costamagna, del PSIUP, e Torre del PCI. Il ricambio è dato da Romeo Giolitti che subentra a Costamagna e Torre, con qualche problema e qualche strascico. Creiamo anche una presenza sindacale, che prima non esisteva, alla Scott. Teniamo le riunioni alla carbonara, nella saletta sotterranea del municipio di Verzuolo, il sabato pomeriggio o la domenica mattina. Con Minello, Dalbesio e altri compagni. Conosco qui Mario Borgna che è impiegato alla Burgo: Molto compito, con giacca e cravatta.
Al congresso del 1969 che si svolge a Cuneo, alla sala del palazzetto civico, sono eletto nella segreteria confederale in rappresentanza del PSIUP, in base agli impegni presi l' anno precedente. Qui mi viene chiesto di occuparmi dei tessili, come chiede anche il mio partito perchè i tessili vengono considerati una categoria emergente in provincia, nuova, composta di giovani non etichettati e catechizzati, quindi di grande interesse politico. Lascio i cartai avendo vinto e perso, allo stesso tempo, una battaglia.
Mi occupo della Miroglio di Alba, degli abitifici di Mondovì che occupano 500-600 lavoratrici e vengono drasticamente ridimensionati, della realtà di Ceva, delle due fabbriche di Cuneo, Vestebene e Costa.
Il giorno successivo al congresso muore Sparla. Terminato il congresso, andiamo tutti a pranzo in una pizzeria in corso Gesso. Una giornata splendida, pranziamo all' aperto. E' con noi Ettore Masucci, socialista, che ha chiuso il congresso. Il giorno dopo, Sparla partecipa ad una riunione in Prefettura, torna in sindacato, dice di non sentirsi bene e di voler andare a casa. Crolla prima di arrivare al portone: infarto fulminante. Ricordo il funerale di massa. In CGIL abbiamo le foto.
In conseguenza di questo fatto tragico, in un attivo alla Camera del lavoro si ridefiniscono le cariche, con una serie di sostituzioni a catena. Angeloni è eletto segretario generale e lascia i chimici a cui va Emilio Beccaria. Trosso lascia l' INCA che in quegli anni ha una sede autonoma, in corso Nizza e passa alla FIOM. La struttura della CGIL è debole e, oltre a questi, comprende Achino, a Saluzzo Capellaro ed Elvira Marescotti, ad Alba Roncini. A Bra la Camera del lavoro è "tenuta aperta" da un glorioso pensionato socialista.
Non vi è ancora lo Statuto dei lavoratori e le riunioni si tengono fuori dalla fabbrica, la domenica mattina, per gli scioperi, si parte tutti insieme a diffondere volantini, un giorno a Bra, quello dopo ad Alba...Nel 1971 lascio la categoria dei tessili e passo a quella dei chimici che tengo sino al '74. Mi occupo da solo di tutte le fabbriche della provincia e in special modo della Michelin.
Nel '72, il PSIUP si scioglie e confluisce nel PCI. Molti di noi partecipano a questa scelta con grande perplessità, sostenendo che la confluenza avvenga in modo troppo accelerato e forse sbagliato. A livello nazionale, dopo la sconfitta elettorale, si decide tutto in una sera. La sinistra del partito, retta da Miniati, si incontra a Firenze e noi abbiamo la speranza che Vittorio Foa, secondo me uomo delle grandi occasioni storiche mancate, dica che c' è ancora la possibilità di continuare. Invece Foa ci delude: interviene con un grande discorso arioso, come è solito fare, prendendo le distanze e non rispondendo alla domanda fondamentale, se l' esperienza del PSIUP debba essere continuata.
Sono anche influenzato dall' entrata nel PCI del gruppo a cui sono sempre stato legato per l' elaborazione che svolge, quello del sindacato piemontese, di Alasia e di Bertinotti.
Nel congresso di scioglimento, al circolo culturale di Torino, Bertinotti sostiene che è assolutamente indispensabile aderire al PCI, che questa è rimasta l' unica possibilità.
Per tentare un bilancio di cinque anni della mia vita politica, il PSIUP cuneese, un po' come quello nazionale, ha avuto un' ala più movimentista che faceva capo agli albesi, a Degiacomi, per un certo periodo segretario di federazione, a molti giovani, a simpatizzanti di area cattolica (ricordo Soave, a Savigliano, "con le braghe corte"). Io ero non solo sentimentalmente, ma anche concettualmente, culturalmente vicino a questa, perchè mi sono formato sui testi di Panzieri, ma ne coglievo i vizi di origine e non l' ho mai appoggiata. Non ho mai condiviso la teorizzazione del partito movimento, del partito strumento, per cui prendere la tessera era un atto burocratico.
Nel PSIUP confluivano varie ipotesi e culture; molti di noi avevano un vizio di origine "trotskista", ma si trovavano altri di formazione stalinista.
Inoltre, dopo la fondazione del PSIUP, c'era stata l' immissione di molti giovani, con diverse formazioni, diverse provenienze, tutti figli del movimento studentesco. Io, che non avevo potuto studiare, anche se poi avevo recuperato alla sera, a Savona, avevo una matrice diversa, più operaista. Il partito a Cuneo era retto da Grio e Zonta che avevano gestito la scissione con il PSI. C'erano contrasti continui sulla strutturazione del partito, su come raccogliere i consensi, su come organizzare i giovani che aderivano anche in opposizione alle concezioni imperanti nella sinistra. Il PCI dell' epoca era molto chiuso, poco ricettivo rispetto a problemi sollevati dai giovani.
Nostro segretario dopo Grio, era stato Degiacomi che se ne era andato di casa e viveva nella sede. Poi era stato funzionario Maruffi, un tipo singolare, che dipingeva con la sabbia, faceva i quadri di notte. Queste cose ponevano problemi e creavano contrasti con chi aveva fondato il partito, con Grio e Zonta. Zonta aveva la bacheca in corso Nizza e la usava per cercare lo scandalo, per denunciare questo o quel politico democristiano.
In una campagna elettorale in cui era candidata Selene Schiaparelli, noi le preparavamo i comizi e lei arrivava, in auto, con il barboncino. Anche il Circolo di cultura internazionale era abbastanza radical-chic. Nel '68, grazie a quel matto di Maruffi, avevamo invitato Feltrinelli che già pensava alla guerrigli urbana. C'erano molti elementi di contrasto.
Si criticava, ad esempio, il fatto che alcuni di noi partecipassero a "certe" manifestazioni .
Una sera, tornati da una manifestazione a Torino, con comizio davanti alla Grandi motori e scontro con la polizia (qualcuno aveva cominciato con le fionde e lei aveva caricato brutalmente) avevamo avuto il direttivo con grandi polemiche, grandi contrasti e accuse di estremismo.
C'erano anche molti meriti. Posizioni coraggiose. Ricordo una conferenza sulla Palestina, tenuta da Giorgina Arian Levi e presieduta da Bruno Mantelli in un clima incandescente, difficile, con i socialisti presenti scatenati. Non era facile, allora, esprimere appoggio ai palestinesi, a pochi giorni dalla guerra persa dagli egiziani.

Il sindacato

Il sindacato cresce moltissimo a fine anni '60 e passa dai 4.000 iscritti ai 20.000. Sono importanti lo sciopero per le pensioni, nel 1968, la penetrazione nel pubblico impiego, la crescita alla Michelin, dove nei primi anni la CGIl è debole, l' ingresso in molte realtà dove era sempre stata assente. Ad Alba, parte del PSIUP è nella CISL, con Vicini, Ferri, Caraglio. Molte le iniziative con gli studenti, i cortei con le bandiere rosse, guidati da Carlo Degiacomi, Vincenzo Enrichens, Paolo Arvati che è poi morto in un incidente, Ezio Zubbini. Nella crisi finale del PSIUP, qualcuno confluisce in Lotta Continua che si era formata a Cuneo nel '69, fondata da giovani che in gran parte provenivano dalla federazione giovanile socialista.
I motivi della crescita del sindacato derivano dalla politica unitaria, dopo i tanti anni di rottura. La costituzione della Federazione unitaria avviene in una assemblea alla Sala delle colonne. Arriviamo, però, con ritardo su molti punti. Io sostengo la necessità di costituire la figura dei delegati e Trosso e Angeloni mi accusano di non capire, di voler smantellare le commissioni interne che sono struttura fondamentale per la CGIL. I delegati qui nascono con ritardo rispetto al quadro nazionale, perchè manca un movimento di base che sbaracchi le commissioni interne. Sono, comunque una grande occasione di apertura e di crescita di consenso per la CGIL. Altro elemento importante è la discussione sulla programmazione economica su cui il PSIUP è critico e la CGIL rischia la spaccatura. Entrano quadri nuovi, giovani.
Le lotte più significative del periodo sono quella dell' ITA Tubi, nel 1971, della Michelin, nel 1972, con 150 ore di sciopero, grandi manifestazioni con partecipazione di operai francesi, tre giorni di sostanziale occupazione dello stabilimento con presidio permanente davanti alla palazzina: Il mese successivo l' accordo a Torino, all' Ufficio regionale del lavoro, con la vertenza condotta da Emilio Pugno e Cesare Delpiano, ma con la spinta ormai finita a Cuneo e il ripiegamento.
Altra occupazione alla Richard Ginori di Mondovì, contro i licenziamenti. Passiamo il Natale in fabbrica, con manifestazioni, cortei, mobilitazione di altre fabbriche. Perdiamo, perchè la fabbrica, nonostante tutto, viene chiusa.
Sono fondamentali le lotte contrattuali. Cresce la presenza sindacale alla Vestebene. Forte impegno nella costruzione dei Consigli di zona. A Cuneo per qualche tempo funziona. Me ne occupo con Elio Allario, Giorgio Ravasi della CISL che è giornalista della "Stampa", Ugo Gentile della UIL. A Bra, il Consiglio di zona è attivo nei rapporti con le istituzioni. Ricordo iniziative sui servizi sociali, asili nido, tariffe, trasporti. Quando nel '75-'76, partono le autoriduzioni sulle tariffe (trasporti, ENEL, telefoni) c' è scontro nel gruppo dirigente sindacale perchè la cosa è osteggiata, giudicata politicamente errata.
Nel '74-'75 grande interesse e molte speranze per la nascita degli organi collegiali nella scuola. Partecipazione intensa. A Cuneo grande assemblea alla sala della Provincia.
Nel '74 lascio i chimici e mi occupo, all' interno della segreteria della Camera del lavoro, dell' industria. Fino al '75 è segretario Angeloni, poi gli subentra Trosso. Si forma una segreteria con Trosso, Giuseppe Martin, di Alba, che in seguito sarà eletto alla segreteria nazionale degli alimentaristi, Gaspari che prende il distacco in quegli anni e il sottoscritto.
Contrasti e discussioni emergono con l' EUR, nel 1978. La nostra crisi successiva inizia con l' EUR che segna l' apice dell' egemonia sindacale, del processo unitario: I documenti approvati sono un' enciclopedia dal punto di vista della programmazione, ma alcuni di noi iniziano a temere, per dirla grossolanamente, che il sindacato divenga "parte del sistema".
Nel sindacato, sempre, la maggioranza dà all' esterno un orientamento univoco, mentre l' opposizione assume solamente un valore di testimonianza all' interno dei gruppi dirigenti.
A Cuneo manca un' opposizione. La sinistra sindacale organizza un dibattito con Rieser e Ranieri, c' è Elio Allario, Soria non è ancora funzionario a tempo pieno, ma sono posizioni di gran lunga minoritarie, marginali ed emarginate. Negli organismi dirigenti ogni critica è schiacciata. Nella stessa segreteria vi sono contrasti. Al termine, però, Angeloni prima e Trosso poi non danno mai conto delle posizioni diversificate, per cui queste non hanno mai riscontro nel corpo dell' organizzazione.
E' interessante il tentativo di costituire il Centro studi unitario sindacale. Viene data una sorta di delega a qualcuno di noi, perchè la questione non è mai assunta con convinzione dall' insieme del gruppo dirigente. Per la CGIL me ne occupo io, per la CISL Carli, Partecipa anche la UIL: Si impegnano Mario Cordero e Mamino. La cosa va avanti qualche anno e poi muore di morte naturale. Pochi i fondi destinati, ma molte le cose interessanti almeno abbozzate: la questione della casa e della citta con alcuni architetti come Carla Giordano, la questione della salute con alcuni medici, legata all' ambiente di lavoro (tema che abbiamo poi abbandonato). Su questo tema si muovono a Bra e si collegano anche al gruppo di Catellanza. Pubblichiamo un libro sugli organi collegiali e uno sulle questioni dell' urbanistica. Queste iniziative, però, non diventano mai parte integrante del sindacato e vengono sempre viste con un certo distacco.
Come componente della segreteria svolgo azioni di supplenza in varie categorie, mi occupo dei metalmeccanici, degli alimentaristi e di altre ancora, senza esserne segretario.
Nel 1980, vado a Saluzzo e lavoro per cinque anni con Gaspari che era segretario. In una logica di equilibri politici, lui del PSI, io del PCI. Quindi nel 1985 superiamo le tre zone per costituire le due Camere del lavoro e torno a Cuneo, come segretario, in sostituzione di Trosso. Il ricambio non è indolore; si preferirebbero Daniele o Borgna. A causa di questo c' è un pronunciamento della segreteria regionale, cioè di Bertinotti, che impone il mio nome.
Quindi torno a Cuneo nel marzo '85, anche perchè Trosso è stufo e vuole andarsene. La situazione non è facile, perchè sono quasi imposto dalla segreteria regionale e in quel periodo sto valutando molte cose, penso quasi di cercare un altro lavoro. E' Bertinotti a convincermi ad accettare.
In CGIL c' è una situazione difficile perchè molti compagni non si salutano neppure. Tento di introdurre mutamenti nei comportamenti, a cominciare dalla pari dignità di tutti. Poi di linea politica, partendo dalle posizioni di ognuno, quindi anche dalle mie. Anche con alcuni contrasti ed incomprensioni.Molti sforzi non sono coronati da successo. Il congresso dell' '85 è caratterizzato dalla costruzione delle vertenze territoriali, ma queste non decollano intanto per problemi unitari (non possiamo pensare di metterle in piedi con la sola CGIL), in secondo luogo perchè scontiamo un unanimismo interno a cui non corrisponde una sufficiente convinzione. E' un tentativo di non applicare semplicemenete linee che arrivano dal nazionale, ma di costruire nostre iniziative nel nostro modesto ambito territoriale, di riproporre il sindacato come soggetto nel suo rapporto con le istituzioni.

Nel PCI

La confluenza nel PCI dal PSIUP è molto piccola, localmente quasi ridicola. Qualche mese dopo la confluenza, faccio un giro nell' albese, richiesto da Ferro, per due o tre giorni, al fine di contattare alcuni compagni e di chiedere di entrare nel PCI. Non ottengo risultati.
Partecipo a tutte le riunioni di partito, anche a quelle che non servono a niente. A causa del mio percorso, sono in odore di sospetto e sono non facili i rapporti con i nuovi compagni. Mi servono parecchi anni per farmi riconoscere per quanto dico, esprimo e quindi ad ottenere prestigio, rispetto. Angeloni, con cui ho avuto infiniti motivi di contrasto, ma sempre un rapporto di amicizia, mi dice, come battuta, che quella per il PCI era l' occasione per schiacciare la zanzara un po' fastidiosa del PSIUP. Con questo la situazione si normalizza. L' unico avversario a sinistra resta Lotta Continua. Questo è il significato dell' operazione a Cuneo.
I segretari della federazione PCI sono Martino, Revelli e dal '75 Angeloni.
Negli anni '70 vi è una crescita enorme, ma il dibattito è sempre molto legato a quello nazionale, riflette le posizioni messe in campo nazionalmente. Questo anche durante il periodo dell' unità nazionale in cui alcuni contrastano questa prospettiva in termini ideologici, però con atti di testimonianza che non fanno testo e sono considerati con un po' di fastidio.
Non voglio far torto ai miei compagni che si sono spesi, hanno lavorato, ma i primi segnali di apertura nel partito si hanno solamente nella seconda metà degli anni '80.
Qualche segnale di diversità si avverte con la gestione Revelli, ma in modo piuttosto confuso, altalenante. Tutti i contrasti avvengono all' interno del gruppo dirigente, gli assetti di potere all' interno del partito son decisi all' interno, con quadri come me, nella CGIL, estranei a questo tipo di conflitto. Questo avviene anche per la fine della segreteria Angeloni, nel '79, con l' immissione di Soave e Riba, con un confronto ed una battaglia, ma soprattutto con un lavorio interno che ha scarsa eco nel partito e all' esterno. L' anno dopo, Anna Graglia non viene ricandidata alla Regione.
In molti casi vi sono state discussioni, ma ha sempre prevalso l' idea che il partito chiedesse o imponesse.
Non voglio essere sommario o ingeneroso, ma non mi sembra che da parte dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati, almeno sino a fine anni '80, ci siano mai state originalità, fantasia, la capacità di collocarsi, anche in termini dialettici, in contrasto con scelte e posizioni del partito.