INDICE
Introduzione
Questo quaderno, miscellaneo, sì apre con una lunga testimonianza di
Luigi Borgna, non comparsa, per motivi di spazio, nel numero cinque, interamente
dedicato a militanti comunisti degli anni '50 e '60.
Segue il ricordo di due dirigenti, Pietro Panero e Mario Pecollo (rispettivamente
del PCI e del PSDI), da poco scomparsi. Di Panero riportiamo una sua testimonianza
sulla attività di sindacalista CGIL, nei duri anni '50-60. Di Pecollo
una breve "storia" della socialdemocrazia cuneese e una lettera ad
un settimanale cuneese, sulle "occasioni perdute" dalla provincia.
Completa la breve sezione sulla socialdemocrazia locale, una scheda di Carlo
Benatti, sui congressi e gli "organigrammi", a partire dal 1976.
Chiudono questo ottavo quaderno un saggio di Carlo Giordano sulle lotte operaie
nel dronerese (anni '50) e l'elenco della attività (dibattiti, incontri,
conferenze ...). svolta con pochi mezzi, ma di grande valore, dal CIPEC e dei
quaderni sino ad oggi pubblicati.
Un po' atipico, una tantum, un breve racconto di Ines Cainer, cuneese di adozione,
recentemente finalista al Premio Internazionale di Letteratura, musica e arti
figurative di La Spezia.
I prossimi numeri di "Storia, cultura e politica" saranno dedicati
a ricordi e testimonianze sul PSIUP, sul PSI, sulla CGIL locali, nel tentativo
di fornire alcuni elementi per una ricostruzione di vicende, fatti, personalità,
ma senza alcuna presunzione di una completa disamina storica che ha altri canali
e strumenti e per cui le testimonianze personali non sono che una delle fonti.
Sempre in cantiere la ripubblicazione delle vite di militanti comunisti, comparsi
a fine anni '60 - primi anni '70, sulla "Voce", ad opera di Giuseppe
Biancani e un quaderno sui cinquanta anni del Consiglio provinciale (risultati
elettorali, gruppi politici, consiglieri, giunte ...).
Borgato
Sono nato nel 1923 a Mondovì Borgato. Borgato era diviso in due parti;
in quella collinare cerano ì contadini, quasi tutti mezzadri, perché
le cascine erano dei signorotti locali. La terra che oggi non vale più
molto, costituiva uno dei redditi maggiori ed era il sogno della borghesia del
tempo
Nella parte urbana c'erano invece gli operai che lavoravano alla fonderia e
alla ceramica e gli artigiani come lo zoccolaio, il calzolaio, il cestaio, quello
che aggiusta le fisarmoniche... Poi c'erano il mulino a pietra, due osterie,
alcuni negozianti, la fabbrica dell'acido che occupava una settantina di operai,
quella della birra e quella dei colori che però ricordo come in sogno
perché è stata chiusa quando ero ancora un bambino.
La fonderia Bongiovanni aveva una fabbrica a Mondovì, una a Fossano,
una a Cuneo. A Mondovì, all'officina meccanica, produceva le macchine
per la lavorazione del legno e alla fonderia, tra le altre cose, anche stufe
di ghisa.
Accanto a Borgato c'era il rione Rinchiuso, abitato da operai; la ceramica Beltrandi
ne occupava una ottantina.
Nelle fabbriche, era il ventennio fascista, lo sfruttamento era forte. Alla
Bongiovanni un reparto, quello degli sbavatori, era chiamato "Siberia",
perché era ad alto rischio. Gli operai erano tutti soggetti alla silicosì
e dopo otto-dieci anni di lavoro erano finiti. A Piazza viveva una famiglia
povera, in miseria, la famiglia Giusta, con quattro-cinque figli e due figlie.
Tutti venivano a lavorare a Borgato, alla fonderia, al reparto sbavatori. Sono
tutti morti molto giovani. La madre era donna di servizio in varie famiglie,
e per ironia della sorte si chiamava Libera, ma non era libera per nulla.
Il quartiere Piazza era chiamato il "rione misera-nobiltà",
perché negli scantinati e nei solai abitavano i poveri, i sottoproletari,
che non potevano permettersi l'affitto di un alloggio normale, mentre ai piani
nobili abitavano i ricchi, ad incominciare dai marchesi Montezemolo.
A Piazza c'era tutto: il tribunale, la fabbrica dei preti (il seminario), le
carceri, l'ospedale, le scuole, la casa dei disperati che era il monte di pegno.
Era proprio miseria e nobiltà, mentre a Borgato avevamo le fabbriche.
Il problema più sentito allora dai lavoratori era quello dei cottimi.
Molti operai, spìnti dalla necessita e anche per motivi culturali, producevano
più della quantità stabilita e rovinano la piazza. Nascevano discussioni
e liti, soprattutto con i contadini che "venivano a rubare il pane agli
operai" e che erano quelli maggiormente disponibili a lavorare di più.
Non si poteva discutere di fascismo e antifascismo, le polemiche erano tra operai
e contadini e tra operai ed operai sulla questione del cottimo.
Nei nostri rioni, alla sera, ci si incontrava sotto i portoni. Si leggeva poco,
molti erano analfabeti, non c'era la televisione e allora i vecchi discutevano
dei fatti nazionali, internazionali, del lavoro e i giovani giocavano.
Vicino a me abitava la famiglia di uno zingaro. La madre, una contadina di Calizzano,
si era innamorata di lui, uomo bellissimo, e lo aveva seguito.
Avevano non so se nove e undici figli. Alcuni di questi lavoravano alla Ceramica
e compravano i prodotti di seconda qualità che il padre, con il carretto,
andava a vendere in campagna.
Mio padre era un grande invalido di guerra, aveva la casa in proprietà,
si faceva il vino, comprava la legna a carate e non a miriagrammi come facevano
quasi tutti. Nel quartiere era quasi un benestante. Molti operai andavano all'osteria,
si ubriacavano e quando tornavano a casa, sentivamo litigi, scenate.
Mio padre criticava questi comportamenti e non voleva che io frequentassi il
più giovane dei figli dello zingaro che era il mio primo amico. A casa
sua erano generosi, mi trattavano bene, mi divertito a sentire il padre quando
tornava dalla campagna con il carro e raccontava.
Un ragazzo che veniva a scuola con me era finito in riformatorio. Era figlio
di una donna che aveva perso un braccio e che tutti aiutavano perché
sapevano che suo marito, che lavorava alla stazione, si beveva tutto lo stipendio.
Questo bambino, quindi, non aveva mai una lira in tasca e quando, all'uscita
dalla scuota, tutti andavano dal panettiere a comprarsi la merenda, entrava
e rubava qualcosa. Un giorno il panettiere lo aveva pizzicato ed era stato mandato
a Torino.
E' stata la sua rovina, perché ne è uscito peggio di prima. Era
scartato da tutti nel rione e aveva fatto amicizia con me e con il figlio dello
zìngaro.
Uscivamo insieme, eravamo grandicelli, 15-16 anni, guardavamo le ragazze.
Con loro, però, facevamo brutte figure; la domenica andavamo sul viale
(c'erano il viale dei ricchi e quello dei poveri, con una divisione netta) e
quando cercavamo di parlare alle ragazze, era impossibile perché il suo
linguaggio imparato a Torino ... Allora io mi sono allontanato e sono rimasto
solo per un po' fino a che ho iniziato a frequentare un mio cugino di Ceva che
era venuto a Mondovl per andare alle magistrali. Non potevamo più andare
negli oratori perché ci rifiutavano. Dopo l'oratorio bisognava andare
al vespro e noi a quel punto scappavamo. Un giorno mio cugino mi ha portato
al Circolo di Azione cattolica di Via Cigna, che dipendeva dalla parrocchia
di S. Pietro. Qui tutti mi conoscevano, ma mi hanno accettato.
Ho così iniziato a frequentare l'Azione cattolica. Ho scoperto qualche
cosa di nuovo. Gli anziani avevano in gran parte militato nel Partito popolare
e il fascismo, fino ai Patti lateranensi, li aveva perseguitati. Qualcuno di
loro aveva dovuto bere olio di ricino, la loro sede era stata assaltata, si
sentiva l'opposizione al fascismo, ad esempio si raccontavano barzellette antifasciste.
Quando dovevamo partecipare alle adunate fasciste, partivamo tutti insieme da
Via Cigna, senza divisa e arrivavamo alle manifestazioni sempre in ritardo.
A Borgato una vecchia aveva lasciato tutti i suoi soldi alia parrocchia, a patto
che venisse costruito un oratorio per togliere i bambini dalla strada.
Per un po', però, il parroco aveva affittato i locali per ricavarne guadagno.
Questa situazione era andata avanti finche don Giuseppe Bruno che era l'assistente
diocesano dell'Azione cattolica e segretario del vescovo, aveva fatto applicare
il testamento. Abbiamo, quindi, costruito l'oratorio e anche il teatro. Abbiamo
imparato a fare i muratori e tutti i lavori.
A Borgato pochi andavano in chiesa. Alla messa grande, la domenica, c'erano
sette od otto persone, tanto che il curato, don Bonada, che era professore al
seminano di Vicoforte, alcune volte, non voleva dire la messa, perché
in chiesa trovava solo quattro suore dell'asilo e due o tre pepie che non poteva
vedere.
Però, alla costruzione dell'oratorio hanno partecipato tutti.
Il lavoro
Ho iniziato a lavorare a undici anni, all'abitificio Rossi. Dalle sette del
mattino alle sette di sera. Chiudevo a mezzogiorno, portavo le chiavi al padrone,
all'una e mezza dovevo essere di nuovo sul lavoro.
Nel '39 sono entrato alla ceramica Besio. Qui mi chiamavano Previot, perché
ero sempre dal prete. La fabbrica era politicizzata, si trovavano ancora vecchi
anarchici, socialisti, comunisti: Consensi, Siccardi, Giuanilu, Cecu Preve,
Beppe Deorsola. Moltierano stati perseguitati e per paura di rappresaglie, nessuno
osava parlare. Conoscevano mille cose, mi parlavano di paesi che io non sapevo
neanche che esistessero. Anni dopo sarei andato a casa Siccardi a leggere “L'essenza
del cristianesimo” di Feuerbah che era vietato.
Sulla musica lirica sapevano tutti. A Mondovì funzionavano due teatri,
uno a Piazza, l'altro a Breo. Lavorava in fabbrica Mella che era un tenorino
di grazia. Mi trovavo in un ambiente meraviglioso, anche se non lo capivo, perchè
non avevo nessuna formazione culturale e politica. Mi prendevano in giro perchè
non ero d'accordo quando criticavano la Chiesa, i preti, il Papa, ma mi stimavano,
perchè capivano che ero onesto e in buona fede. Solo gli avvenimenti
successivi e la guerra hanno dimostrato l'esattezza di quanto dicevano.
Dopo tre anni alla ceramica sono diventato “garzone”. Alcuni, per
diventarlo, ne impiegavano sette od otto, ma io avevo Mella come maestro e ho
imparato in fretta. Dopo un altro anno, sono iniziati i dolori e il medico mi
ha detto di smettere di fare il ceramista perchè rischiavo l'artrite
deformante.
Il capo reparto mi stimava e mi aveva messo a fare lavoretti, in attesa che
partissi per il militare. Ma a me non andava passare le giornate perdendo tempo.
Mi avevano, allora, assunto in una officina che faceva parti di proiettili.
Mi avevano messo al tornio. Non ne avevo mai visto uno, ma me l'ero cavata subito.
Dopo poco tempo, però, il padrone aveva scoperto che avevo superato i
17 anni e voleva licenziarmi perchè gli costavo troppo.
Avevo continuato a presentarmi in fabbrica. Il padrone le tentava tutte per
cacciarmi. Si presentava con pezzi sballati, dicendo che era colpa mia, mi aveva
cambiato di mansione, mettendomi a tagliare. Si era accorto che lavoravo bene
e aveva ceduto. Mi avrebbe tenuto sino alla mia partenza per il militare.
Un giorno però, eravamo nel '42, siamo chiamati dai sindacati fascisti
per i controlli. Dico al sindacalista che alla ceramica guadagno quattro lire
all'ora, qui 1.18 e che una paga così ad un operaio di 18 anni era una
cosa vergognosa. Quello risponde che avrei dovuto ringraziare. Non sarei più
potuto essere apprendista, operaio specializzato non ero, quindi la paga andava
bene così. Dopotutto facevo girare solamente una maniglia. No, le maniglie
erano due.
Scopre che gli stipendi non sono regolari. Succede un finimondo. Il padrone
licenzia due operai perchè avrebbe dovuto pagarli di più.
La guerra
Poco dopo parto per il militare, a La Spezia, in marina.
Alla radio, Mario Appelius minacciava gli inglesi, dicendo che se avessero attaccato
le nostre piazzeforti, avrebbero trovato pane per i loro denti.
Sono a La Spezia da due giorni, quando c'è (non so se sia una risposta
a Mario Appelius) un bombardamento. Scappiamo nei rifugi (le gallerie della
ferrovia).
Finito il bombardamento, usciamo e la caserma non c'è più. La
contraerea ha resistito un'ora, poi l'unica difesa sono state le navi da guerra.
Il caos.
I militari saltano su tutti i treni per tornare a casa. Qualche ufficiale passa
a raccogliere gli sbandati (ci sono anch'io) e andiamo a estrarre la gente dalle
macerie, a rimettere in sesto quel che si può, perchè l'acquedotto
è rotto, le case sono diroccate. Ci mandano in una seconda caserma, ma
due giorni dopo, viene bombardata anche questa.
Per farla breve, ci mandano a Pola. Arriviamo affamati. A La Spezia si mangiava
solo una volta al giorno e solo ceci e qualche pagnotta. A Pola, la situazione
alimentare è drammatica. Per fortuna, incontro Gino Mellano, della mia
leva, siamo stati compagni di scuola, che mi da spesso del pane. A parte questo,
fame.
Dopo un mese, ritorno a La Spezia, dove frequento il corso da cannoniere. Due
o tre lezioni, poi tutto viene sospeso, ci danno la qualifica e ci mettono nella
compagnia di emergenza antisbarco, perche c'è il timore che gli inglesi
aprano il secondo fronte. Alla fine dì ogni bombardamento, ci mandano
a cercare le matite esplosive, perché si ha il timore che gli inglesi
buttino matite esplosive contro la popolazione. Facciamo questo perché
il porto è bloccato dai sommergibili inglesi. Il cacciatorpediniere Gioberti,
un mattino, alle otto, appena prova ad uscire dalla rada, è affondato.
Andiamo a raccogliere i naufraghi.
Il 25 luglio 1943 in caserma tolgono i ritratti di Mussolini. Nella mia compagnia
c'è qualche comunista, ma io non so neanche che esista il Partito comunista.
Qualche giorno dopo, ci armano, ci danno un tascapane carico di munizioni, ci
caricano sul camion e ci portano davanti ai cantieri navali. Gli operai minacciano
lo sciopero perché Badoglio ha pronunciato la sciagurata frase per cui
la guerra continua e invece la gente vuole la pace. Io ho una mitragliatrice
da otto, proprio davanti ai cancelli con l'ordine di sparare appena qualcuno
esce. La piazzo con le munizioni, poi torno in città a cercare qualcosa
da fumare, perché non si trovava neppure una sigaretta. Mi portano in
una caserma e mi vogliono denunciare. Poi tutto finisce bene.
Due giorni dopo, di nuovo sul solito camion. Ci scaricano in piazza Cavour,
dove sul palazzo della Banca d'Italia, c'è un fascio di marmo. Sono il
miglior fuciliere e mi fanno sparare a quel fascio in modo da farlo a pezzetti.
Ad ogni colpo, la gente applaude e aumenta di numero.
Accanto, in via del Prione, che é la via principale, si é formato
un corteo di operai che chiedono la pace. Ci mandano a fermarlo ma la gente
ci porta in trionfo: "Viva la Marina. Vogliamo che i nostri figli vengano
a casa!"
Fraternizzano con noi. Passa del tempo. Arriva un ammiraglio. Minaccia di usare
un gruppo di volontari per costringerci a sciogliere la manifestazione.
Estrae la pistola e minaccia di spararci se non spariamo alla folla. Alcuni
marinai sparano in aria. Vediamo una bandiera rossa e poi la donna che porta
la bandiera cadere a terra, colpita. lo grido, "Non sparate, siete pazzi!"
Dall'altra l'ammiraglio: "Sparate o vi ammazzo!”.
II nostro tenente mi chiama. Dalle finestre delle case alcuni fascisti sparano
sulla folla. Becchiamo uno dei cecchini e lo consegniamo ai carabinieri. Per
strada ci sono due o tre morti.
Passa qualche giorno e ci portano a S. Bartolomeo per imbarcarci sulla corazzata
Roma che era uno dei gioielli della nostra marina. Era stata colpita poco tempo
prima in un grosso bombardamento, alle due del pomeriggio, che avevo visto interamente
perché ero di sentinella in un posto da cui non potevo raggiungere i
rifugi. Allora l'avevano portata a Genova, ma di fatto, non l'avevano riparata.
Rifiutiamo di imbarcarci. Tutto il plotone si rifiuta. In guerra non sono cose
da poco. Ma non ci puniscono perché la nostra compagnia si era sempre
fatta un mazzo notevole, mentre altri non facevano nulla.
Ci trasferiscono nei posti che ognuno sceglie. Finisco a Villafranca, sulla
linea tra La Spezia e Parma, ad una polveriera della marina Qui mi trovo l'8
settembre. Un gruppo di sottufficiali e soldati vuole andare a sud, a raggiungere
gli alleati. lo vorrei solo tornare a casa
Cerchiamo un treno per Genova. Impossibile. Si può solo salire sui treni
diretti a Parma. Il treno è pieno di militari. Un ferroviere mi dice
che ci vogliono portare tutti in Germania, che l'unico modo per scappare é
buttarsi giù dai treno, prima della stazione di Solignano, quando il
treno rallenta a una grande curva. Lo fanno decine e decine di marinai. I tedeschi
sparano. Saliamo verso l'Appennino, come tanti altra sbandati. Finiamo a Varzì
di Parma, in una frazione di alta montagna dove la gente si lamenta perché
i tedeschi hanno requisito tutti i viveri e li hanno messi nel granaio del popolo
Sono armato (le armi si trovano per strada), vado con due altri marinai a questo
granaio Ci sono due fascisti di guardia Puntiamo le armi, li disarmiamo, li
facciamo correre via. La popolazione si riprende i suoi viveri, ci fa festa;
non vuol più lasciarci andare. Ci propone di nasconderci per qualche
giorno, finché non arriveranno gli alleati. Sono tutti convinti che la
guerra finirà in fretta.
Il mattino, però, me ne vengo via. Anche se non ho senso dell'orientamento,
riesco ad a Mondovì.
Dovrei andarmi a consegnare per avere la “tessera", ma questo vorrebbe
dire essere segnalato e forse arruolalo nelle truppe fasciste. Un amico mi dice
di aspettare per raggiungere i partigiani in Val Casotto.
Aspetto qualche giomo, si sente di rappresaglie dei tedeschi. Per evitare rìschi,
mi nascondo da una mia parente nei boschi di Vicoforte. Poi vengo a sapere di
essere ricercato. Me ne vado. Mi sposto a Pra di Roburent, dove incontro una
squadra di partigiani con un amico, Mario Crosetti, capo-squadra.
Sto con loro, finché ci segnalano che siamo circondati e che i tedeschi
stanno invadendo la Valle Casotto. Si sentono i colpi. Siamo in trappola
Crosetti ed altri decidono di fuggire verso i monti, ma a me la scelta non convince.
Con altri tre o quattro decido di scendere verso il piano. Conosco bene la zona.
Scendiamo a Fontane, poi a Corsagiia, ci nascondiamo durante il giorno e la
notte ci spostiamo. Arrivo a Mondovì, passando da una casa all'altra,
perché le strade sono pericolose. Vado in canonica e don Giuseppe Bruno
mi consiglia di andare a Savona dove ho cugini e uno zio che ha aperto un laboratorio.
Dopo qualche tempo i miei mi fanno sapere che la situazione si è un po'
normalizzata e torno a Mondovì, anche perché mio padre é
immobilizzato nel letto.
Don Giuseppe era andato a fare il cappellano per i partigiani. Un amico, Sebastiano
Vinai, mi dice che è pericoloso rimanere a casa senza lavorare e mi fa
impiegare presso una ditta di gazzose. Faccio il carrettiere, anche se non ho
mai visto un cavallo, giro nei paesi del monregalese portando le aranciate,
il ghiaccio e intanto consegno ai partigiam viveri e armi.
A Borgato un mio cugino era del Partito comunista clandestino, conoscevo Rita
Martini che era attivista. Molte sere anch'io portavo materiale di propaganda
comunista. A me il Partito comunista non faceva paura, perché in fabbrica
avevo conosciuto tanti anarchici e socialisti, ma mi facevano paura Stalin e
certi partigiani comunisti.
A questo punto sono disperato, non so dove andare. A Savona non posso, nelle
formazioni partigiane neppure, perché sono tutte attaccate.
Un giorno mentre torno a casa, un po' sollevato, a Breo, due tedeschi mi fermano
e mi portano in caserma. Sono con i rastrellati delle montagne. Poi. grazie
ad un prete della curia di Piazza (mi aveva fatto scuola di musica) mi mettono
con i rastrellati di Mondovì. Avevano preso più di tremila persone
nel grande rastrellamento del 20 dicembre 1944.
Una mattina, ci mettono in colonna e ci portano a Cuneo, a piedi. Tre o quattro
riescono a scappare. I tedeschi sono pochi, noi più di mille. Se inseguono
i fuggitivi, gli altri scappano. La sera ci avevano minacciati, dicendo che
per ogni persona che fosse fuggita ne avrebbero fucilate dieci
Dopo un giorno, a Cuneo, iniziano ad interrogarci. Ci portano in Via Barbaroux,
dove ì tedeschi avevano adibito a carceri le scuole. Ci dicono che tutti
quelli che erano passati di li prima di noi erano stati o fucilati o mandati
in Germania. Intervengono il vescovo di Cuneo, quello di Mondovì, il
prefetto perché tanti parenti erano andati a manifestare
Riesco a venirne fuori.
A Mondovì riprendo il mio lavoro con carro e cavallo. Finché un
giorno, quattro aerei mi mitragliano uccidendo il cavallo. Devo smettere. Corro
troppi rischi perché ho un coraggio da leone o sono incosciente
Vado in Valle Maudagna con i partigiani autonomi. I comandanti sono Marco Rossetti,
proprietario del caffè della Posta a Mondovì e il tenente Ranieri
Dipendono da Dino Giacosa che era il commissario e dal capitano Cosa. La formazione
è disseminata nelle cascine perché i rastrellamenti hanno creato
scompiglio e bisogna riorganizzare tutta la struttura.
Vengo a sapere che Bastianin Vinai é stato catturato dai fascisti del
tenente Farina e che viene torturato. Don Giuseppe Bruno è stato arrestato
a Torino (sarà in carcere sino alla fine della guerra). Rita Martini
mi informa che in Val Corsaglia è stata formata la brigata Garibaldi
e che ha bisogno di uomini.
Sarò con loro sino alla Liberazione.
Il dopoguerra. Il partito
L'ultima colonna di tedeschi, prima di lasciare il santuario di Vicoforte, ha
ammazzato la famiglia Prato, padre, madre e due figli. II padre era tecnico
della ferrovia Mondovì-San Michele, membro del CLN di Vicoforte, la figlia
collaborava con i partigiani, il ragazzo aveva solamente 12 anni.
I funerali sono religiosi e sì tengono eccezionalmente al Santuario di
Vicoforte. Il vescovo di Mondovì, Sebastiano Briaca, ha fatto uno strappo
alla regola, perché nessun funerale si celebrava al Santuario. Il rettore
del Santuario, don Pisano, tra le altre cose, nella predica, dice che i morti
erano brave persone, oneste, ma ora erano quattro "carcasse". perché
non avevano la fede. Sbaglia perché la moglie e il figlio erano religiosi
e anche il padre non era un anticlericale.
Dopo il 25 aprile i partiti si ricostituiscono ufficialmente. Il segretario
dì federazione del PCI è Giacomo Castagnato di Imperia che ho
incontrato qualche volta durante la Resistenza. Dopo l'uccisione di Barale,
erano stati segretari Cinanni, Bava e Aimo, una specie di triumvirato, poi era
stato mandato Castagneto.
lo, cattolico, avevo discusso spesso con Enrico Tasso, democristiano, chiedendogli
perché fosse scomparsa l'Azione cattolica a vantaggio del partito. Lui
mi aveva detto che il mio posto era nella DC.
Gli amici di Borgato e mio cugino che è segretario della sezione comunista,
mi dicono che il mio posto è nel PCI. Mio padre é invece un vecchio
socialista.
Quando gli porto il primo numero dell'Avanti arrivato a Mondovì, piange
dalla gioia, lo bacia, sembra impazzito e mi dice che devo andare con i socialisti
A me i socialisti non piacciono, perché mi sembrano tutti parolai, ma
sui fatti concreti non fanno un tubo. Nelle cose pratiche ho sempre incontrato
i comunisti. Voglio fare attività, partecipare alla vita democratica
e mi iscrivo al PCI, come cattolico, il 1° maggio 1945. Avevo chiesto in
tanti dibattiti, conferenze, se era possibile per un cattolico iscriversi al
PCI e tutti mi avevano risposto che l'iscrizione non comportava adesione al
marxismo.
Mi presentano (allora ci volevano due presentatori) Giuseppe Gregorio, mio cugino
e Giovanni Cozzo, un operaio che abita vicino a me, ex partigiano
Mi mettono immediatamente a fare il bibliotecario. Ci sono pochi libri: "II
Tallone di ferro" di London, testo più rivoluzionario, “Le
memorie di un barbiere", difficile a trovarsi, "Furore", "La
madre". Per l'economia politica, abbiamo un testo russo di Leontief, che
poi metteremo un po' da parte.
Si organizzano dibattiti, conferenze.
Sono molto attivo e mi eleggono al comitato direttivo di sezione, poi a quello
federale, con Rita Martini e Mario Crosetti. Segretario provinciale è
Paolo Scarpone, partecipano Ezio Bazzanini, Ermes, comandante parttgiano e Gustavo
Comollo, il commissario Pietro.
Alcuni mesi dopo, rientro in fabbrica, alla ceramica Besio.
Divento segretario provinciale del sindacato ceramisti, sono spesso a trattare
a Milano, a Genova. Nel '49 mi mandano alla scuola di partito, a Bologna, per
otto o nove mesi. Ci sono già stati Crosetti e Anna Pagliero di Fossano,
Aldo Manassero di Mondovì rinuncia e Rita Martini sceglie me.
E' una esperienza meravigliosa: gli insegnanti sono formidabili e poi vengono
a tenere conferenze molti esponenti della cultura italiana, anche non comunisti.
Rientro a Mondovì a fine anno; poche settimane dopo, mi convocano in
federazione.
Dopo Scarpone era stato segretario Germanetto, rientrato dall'URSS. Dopo la
batosta elettorale del '48, il partito aveva mandato Milan a sostituire Germanetto
ed Ezio Bazzanini. Vi era stato un comitato federale (si tenevano nella palazzina
vicina al ponte nuovo) in cui tutti avevamo protestato perché ci venivano
tolti due quadri di prestigio, mandandocene uno che era stato un ottimo comandante
partigiano, in Valle Po, con Pajetta e Gioititi, ma molto giovane e meno esperto.
Milan, invece, è un organizzatore coi fiocchi e prende come segretario
organizzativo Crosetti che non ha "fantasia politica", ma interpreta
bene e applica le direttive, è attivo, onesto. In questa situazione,
Milan mi propone di andare a Bra, per costruire il centro zona. Cambio vita
Nelle campagne il PCI è debole.
Sono a Bra da poco tempo, quando vengono da me e mi chiedono di aiutarli a costituire
una sezione dei coltivatori diretti. lo di queste cose non capisco niente. Vengo
dalla fabbrica. Mi sembra assurdo che come PCI ci dobbiamo impegnare in questo.
Parlo con il compagno Galliano che è l'unico coltivatore diretto nel
PCI di Bra. Mi dice di organizzare un'assemblea, il venerdì, quando c'è
il mercato. Lui mi porterà molti contadini A Bra abbiamo la casa del
popolo, la Camera del lavoro, la sezione. Alla casa del popolo, prepariamo la
sala dove si balla e che si usa anche per le assemblee.
Il giorno fissato arrivano i compagni da Cuneo, alle 9 nessuno, alle dieci passano
due contadini, vedono la sala vuota e se ne vanno. Alle 11 arriva Galliano:
"Non c'è nessuno? Vado al mercato a chiamarli. Stai tranquillo".
Tutto fallisce così.
Tutti i lunedì passavo alla federazione, a Cuneo, per riferire sul lavoro
svolto. C'era un controllo settimanale del lavoro, perché si diceva,
con Lenin, che anche l'ottima teoria, se non è accompagnata dall'esecuzione,
non conta nulla.
Quella settimana me ne dicono di tutti i colori. Addirittura che sono scemo
ad essermi fidato di Galliano. Mi metto addirittura a piangere. Però
Milan ricorda a me, che sono stato partigiano, che abbiamo vinto nella lotta
di Liberazione perché avevamo i contadini con noi e che il socialismo,
in provincia, non si costruirà senza i contadini.
Organizzo il convegno. Giro nelle frazioni con i giovani della FGCI che sono
quasi tutti disoccupati (a Bra la disoccupazione è spaventosa). Partiamo
con le biciclette, portiamo i volantini nelle cascine, parliamo con gli agricoltori,
organizziamo riunioni. In alcuni paesi veniamo scambiati per quelli della Coltivatori
diretti e addirittura facciamo assemblee nelle case parrocchiali, nei saloni
degli oratori. Nonostante tutto, ci va sempre bene.
A pochi giorni dal convegno, il compagno Brizio, socialista, coltivatore diretto,
(non é il Brizio famoso di Bra che è medico) mi dice che hanno
scoperto che sono i comunisti ad organizzare il convegno, che ci sono minacce
... Sembra che tutto debba crollare. Per di più si mette a piovere e
non smette più.
Che cosa faccio? Stampo un manifesto in cui scrivo in piccolo "Sono stati
invitati" e in grande i nomi di tutti i parlamentari del PCI, del PSI,
della DC, di tutti i partiti. Riprendo il lavoro da capo.
La domenica mattina, al convegno, il cinema non contiene tutti. Un pienone.
Ci sono persino parroci che hanno accompagnato i contadini all'assemblea. Un
successo strepitoso. Il relatore è Nazzari che conosce perfettamente
i problemi delle campagne. I parlamentari non si fanno vedere. Alla fine, arriva
l'onorevole Castagno di Torino che conclude.
Si preoccupano la Coltivatori diretti e la Democrazia cristiana (non si capisce
dove finisca una e cominci l'altra). Quindici giorni dopo, il senatore Sartori
organizza un contro convegno, ma raccoglie trecento contadini, meno della meta
di quelli che avevamo avuto noi. Parlano il sindaco e tutti i parlamentari,
ma non lasciano parlare i contadini. Al nostro incontro era accaduto il contrario.
Costituiamo l'Alleanza contadini a Bra e inizio lo stesso lavoro nella Langa
A Bra aderisce il professor Torrengo della direzione del Partito dei contadini
e mi da molte indicazioni. Nell'astigiano i contadini sono molto organizzati,
ma nell'aibese non c'è nulla. Per il sabotaggio del Partito dei contadini,
però, non riesco a mettere in piedi un convegno ad Alba
L'Alleanza contadini di Bra elegge presidente Brizio, forma dei quadri e posso
riprendere la segreteria di zona del PCI che avevo lasciato a Cambieri. L'esperienza
di Bra dura solo sei o sette mesi, ma mi arricchisce moltissimo. In questo periodo
organizziamo anche uno sciopero generale contro uno dei tanti eccidi avvenuti
nel meridione. Aderiscono tutte le fabbriche, tranne la FIMET.
Il corteo va davanti a questa fabbrica: dalle finestre, gli operai ci dicono
che li hanno obbligati ad entrare, che il padrone li minaccia. Tutti vogliono
entrare in fabbrica per "liberarli". Per evitare incidenti, chiedo
di parlare con il direttore. Entro con cinque compagni del comitato sindacale.
Il portiere non chiude più i cancelli. Il direttore ci insulta. Per lui
siamo pelandroni, scansafatiche, mentre i suoi operai sono tutti onesti e lavoratori.
Mentre parla, i suoi lavoratori escono e si uniscono agli scioperanti.
Lui si arrabbia, urla: "figli di puttana", telefona ai carabinieri
che però non si muovono. Addirittura ci denuncia e veniamo processati
in Pretura a Bra. Siamo assolti perché eravamo entrati in fabbrica per
comunicare le modalità dello sciopero. Questo è il primo dei processi
che ho subito.
Il partito mi chiama a Cuneo. Milan mi propone di dirigere la Camera del lavoro.
Poco tempo prima, Crosetti aveva sostituito Giraudo nella direzione della Camera
del lavoro. Giraudo era un compagno meraviglioso, onestissimo, esemplare, ma
si perdeva su cose di poco conto e la Camera del lavoro richiedeva impegni diversi
e più pressanti. Per questo motivo, la federazione del PCI aveva proposto
la sua sostituzione. Però Giraudo era talmente popolare che gli operai
non avevano condiviso la scelta e anziché frequentare la sede sindacale
andavano a casa sua. Crosetti, che a Mondovì aveva avuto ottimi risultati,
si era dovuto dimettere.
Nel settembre del '50, così, divento segretario della Camera del lavoro.
E' un impegno più grosso di me. Il mattino, prima di andare in sindacato,
passo sempre al partito. Con Milan e Crosetti impostiamo il lavoro.
La prima vertenza importante è quella della SNOS di Savigliano che era
scesa da 2.800 a 1.800/1.900 occupati. La direzione per ridurre il personale
chiedeva molti licenziamenti. Nascevano proteste e lotte. Dopo qualche settimana,
riduceva il numero dei licenziati. CISL e UIL firmavano, la CGÌL rimaneva
sola, resisteva per un po' e poi firmava i licenziamenti. Noi non accettiamo
più questa situazione. Vado alla SNOS di Torino, perché lì
hanno gli stessi problemi, faccio venire a Savigliano e impostare uno studio,
reparto per reparto e preparare un piano di ristrutturazione aziendale, in cui
si dice quello che ogni reparto può produrre, con quanti operai, quanti
tecnici ... C'è anche Gianni Allasia che poi diventerà consigliere
regionale, parlamentare...
Quando andiamo a discutere i licenziamenti, a noi risulta che debbano riassumere
duecento operai per attuare questo piano. Quattrocchi, direttore dell'Unione
industriali, ci dice che sono sciocchezze, che noi non possiamo sapere nulla
della fabbrica, che non siamo in Russia.
Organizziamo una conferenza economica al cinema di Savigliano, per dimostrare
che il piano della direzione mira alla chiusura della fabbrica, mentre il nostro
incentiva la produttività. Proponiamo anche di costruire trattori, perché
Cuneo è una provincia contadina e gli elettrodomestici perché
si intuisce che il settore decollerà. Quindi trattori, elettrodomestici,
materiale ferroviario, condotte forzate, tutte le produzioni che sono possibili
essendoci la fonderia
Contro i licenziamenti, organizziamo lo sciopero in città, tutti i negozi
vengono chiusi. Tiene il comizio Negarville. Il PCI agisce, il sindacato agisce,
c'è collaborazione.
Alla Camera del lavoro abbiamo problemi economici enormi, perché gli
avvocati ci hanno dissanguati. Ci proponevano dì seguire gratuitamente
le pratiche, poi ci mandavano, dopo anni, conti che ci dissanguavano. Cerrina
che era l'amministratore, sta ancora pagando debiti, quando ci arriva un conto
di due-tre milioni da un avvocato. Mi faccio spiegare bene tutta la faccenda,
poi vado da lui e gli dico che non gli avrei dato neanche un soldo e che avrei
pubblicato tutta la storia sui giornali, dimostrando che era un filibustiere.
Quello fa finta di cadere dalla nuvole, dice di non saperne niente, che la responsabilità
è della segreteria che girando le scartoffie ha trovato vecchi conti...
Per rimettere in sesto la CGIL, rivediamo anche le quote. All'inizio del mìo
incarico c'è stato addirittura uno sciopero di chi lavorava alla Camera
del lavoro, perché le condizioni erano terribili. Eppure riusciamo a
rimettere in sesto le cose. Contribuisce a questo il fatto che il padrone di
casa ci chiede di lasciar libero l'alloggio e ci offre dei soldi. Propongo al
PCI di spostarsi nella palazzina di corso Soleri dove c'è la FGCI e la
CGIL si trasferisce nella ex sede del PCI, sopra al cinema Nazionale. Un altro
risparmio, un po' di ossigeno.
Il carcere
Il 21 gennaio 1951 dovrei andare a tenere il comizio per il trentesimo anniversario
della fondazione del PCI. Pochi giorni prima, il ministero aveva mandato cartoline
di preavviso ai militari che erano stati congedati qualche anno prima e questo
aveva creato panico. Molti avevano paura di essere mandati in Corea, a far la
guerra con gli americani. Il movimento dei Partigiani della pace aveva dato,
non in modo ufficiale, la direttiva di rimandare le cartoline ai distretti,
non per rifiutare il militare, ma contro una nuova guerra. Era una forma di
protesta politica, non una disubbidienza militare.
Pochi giorni prima, sei giovani di Ruffia erano andati a Savigliano a parlare
con Giraudo che era segretario della FIOM. Giraudo aveva consigliato dì
rispedire la cartolina al Presidente della Repubblica che era Einaudi. un senatore
della nostra zona che poteva capire che i nostri giovani non volevano più
andare in guerra. Einaudi, ricevute queste cartoline, le aveva passate al procuratore
della repubblica. Il brigadiere di Scarnafigi aveva, quindi, minacciato questi
giovani, dicendo che stavano rischiando la galera. Questi erano tornati da Giraudo,
molto spaventati.
Il 21 gennaio, Giraudo dovrebbe andare a Ruffia, per difendere davanti al paese,
la scelta di questi giovani. Invece, preferisce parlare a Fossano e chiede a
me di andare a Ruffia, perché io ho il motorino e mi è più
facile spostarmi
Tengo, quindi, il comizio. Parlo della fabbrica di Savigliano, del rapporto
tra operai e contadini. Lo facevo sempre perché mia madre era contadina
ed ero amico di tutti i contadini della zona di Mondovì. Non parlo delle
cartoline, accenno appena al problema della pace. Alla fine del comizio, i giovani
invitano me e il brigadiere a prendere l'aperitivo
Al bar, il brigadiere mi dice che finirò in galera. La prendo per una
battuta, ma dopo due giorni, ricevo il mandato di cattura. In tutta Italia,
sulla questione delle cartoline stanno arrestando a tutto andare. Mi nascondo
perché il partito mi dice di nascondermi. Dopo parecchi giorni, mi dicono
di andare a Cuneo. Mi viene a prendere Prunotto, con la macchina. Mi porta alla
Camera del lavoro. Finita la riunione, scendo in strada con lui. In Corso Soleri,
siamo circondati dai carabinieri che mi portano in caserma e poi a Torino in
carcere.
Qui trovo tanti compagni che conosco, Tomatis di Mondovl, Torre di Torino, Nebbia
... una quarantina. Vogliono vestirci da militari. Quando tocca a me, "rifiuto
senza rifiutare" perché il regolamento dice che se rifiuti sei passibile
di denuncia. Dico: "Non me lo metto, ma non rifiuto". Al primo processo,
quello contro Tomatis, gli avvocati pongono il problema della divisa, e il Tribunale
militare di Torino decide che noi dobbiamo rimanere vestiti in borghese. Siamo
militari, ma vestiti in borghese
Poi, siccome io vengo dalla marina, mi mandano a Peschiera, perché a
Torino manca il giudice per i marinai.
Il partito incarica per me un famoso avvocato di Torino, Gino Colla. Si é
costituito un comitato di solidarietà democratica per difenderci e pagare
le spese processuali. Colla mi dice che mentre gli altri accusati rischiano
un anno e 14 giorni, io rischio di essere condannato a cinque anni, perché
avrei detto che bisogna distruggere l'esercito, le caserme...
Gli racconto quello che ho detto al comizio; sono segretario della Camera del
lavoro, non sono matto. Era successo che il brigadiere aveva mandato a chiamare
in caserma i sei giovani di Ruffia, li aveva minacciati. Per non finire al fresco,
quelli, spaventati, avevano firmato tutto quello che lui aveva voluto.
lo non ho testimoni a favore. Anche dopo gli scioperi, spesso succedeva che
nessuno testimoniasse per i sindacalisti e gli attivisti.
L'avvocato mi propone di ammettere di aver commesso il reato. In questo modo
non saranno più sentiti i testi e la cosa si sgonfierà un po'.
Lui é l'avvocato del partito e faccio quello che mi dice. Quando mi interrogano
ammetto di aver proposto di respingere le cartoline (non era vero), ma non al
distretto, al senatore Einaudi che è della nostra provincia. Sono condannato
a un anno e 14 giorni. Gli altri, alcuni a sei mesi, altri a diciannove.
In seguito, altri avvocati mi diranno che Colla ha sbagliato ad impostare il
processo. lo non sono in grado di dirlo. Fatto sta che mi faccio un anno e 14
giorni. Nel carcere militare siamo un gruppo di venticinque-trenta. Tutti piemontesi.
Il carcere é brutto, vecchio, tanto che poi sarà demolito. Il
comandante é un ex partigiano, anche se molto lontano politicamente da
noi e ci rispetta. In cella siamo tutti "politici". Con i comuni abbiamo
qualche ora di aria nei cortili. Organizziamo le scuole di partito anche per
passare il tempo.
Con me é Tomatis che era nella commissione interna della Bassani e Manfredi
di Mondovl. E' il suo avvocato che solleva la questione di principio sul rifiuto
della divisa per noi carcerati. La spunta. La scelta ha valore su scala nazionale
e tutti gli ex militari condannati vestono in borghese.
Poi iniziamo la battaglia per far entrare i libri in carcere. La cosa è
molto diffìcile, ma la spuntiamo. Riceviamo libri della Passionaria,
di Longo, “Furore", "II tallone di ferro", "Guerra
e pace". Su questi discutiamo in cella.
Il mattino ci danno acqua sporca - lo chiamano caffè - con una pagnottella
piccolissima. A pranzo una brodaglia che chiamano minestra, due volte alla settimana
una pastasciutta con cui si potrebbero attaccare i manifesti, una mela. A cena
un pochino di verdura e una fettina di formaggio o di mortadella attraverso
cui sì poteva vedere il Monviso. Possiamo scrivere a casa due volte al
mese. Nel primo periodo, ci avevano tenuti separati, isolati, non potevamo avere
nessun giornale, ci era proibito avere matite, penne. Cercavamo di procurarci
le mine dette matite per scrivere qualche cosa.
Poi ci mandano al carcere di Peschiera del Garda, una vecchia caserma fatta
costruire dagli austriaci. E' migliore del carcere di Torino, ma ci sono anche
ergastolani e molti che hanno subito condanne gravi. Sono reclusi anche partigiani
condannati per delitti comuni, operai, persone per bene.
Noi siamo più di quaranta in una cella, non abbiamo neanche quella specie
di gabinetto che c'era a Torino. Abbiamo dodici boioli per più di quaranta
persone. Entriamo in cella alle cinque di sera e fino alle nove del mattino
non possiamo uscire. Alle dieci i boioli sono già pieni. Il lato positivo
è che passiamo molte ore nel cortile e prendiamo molta aria.
Ci organizziamo. Iniziamo la scuola di partito. Riusciamo a procurarci i libri
La biblioteca fa pena. Riusciamo quasi a distruggerla. Strappiamo pagine dei
libri e le buttiamo nell'immondizia. Il comandante, il capitano Volterra minaccia
di denunciarci. E' un uomo che vede i comunisti come nemici della patria, però
è molto ligio al dovere, giusto, rispettoso
Allora, mi pare tramite Moscatelli, ci rivolgiamo alla casa editrice Einaudi
e questa e altre case editrici ci mandano libri. Ne arrivano tanti, stupendi,
da riempire tutto il carcere. Formiamo una commissione e ordiniamo la biblioteca
Il comandante è contento, anche se il procuratore della repubblica interviene
e non vuole che noi leggiamo alcuni libri.
In un periodo in cui il comandante è assente, il tenente, un ex repubblichino,
cerca di farci lavorare, ma noi difendiamo il principio che i prigionieri politici
non lo debbono fare. La spuntiamo noi.
Poi otteniamo il laboratorio artigiano per i detenuti comuni, la scuola elementare
e quella media. Noi politici ci distribuiamo due o tre per classe per aiutare
i comuni e anche per garantire l'ordine, perché vi sono anche pericoli,
soprattutto quando l'insegnante è una donna. In cella, con i comuni,
si corre il rischio di essere violentati.
Per noi politici è una fortuna avere celle separate da loro. Noi siamo
puliti, ordinati, siamo di esempio, tanto che il comandante è ammirato
della nostra autodisciplina.
Otteniamo il cinema e qualche volta si proiettano film, cosa che non era mai
avvenuta. Poi, un giorno, mentre noi siamo all'aria, una perquisizione trova,
in cella, una copia dell'”Unità" e ci danno quaranta giorni
di isolamento. Il generale Solinas, il pubblico ministero di quasi tutti i processi,
minaccia di riprocessarci e di condannarci duramente. Siamo condotti nelle celle
sotterranee dove rimaniamo per qualche giorno. Qualcuno dorme su un materassino,
altri su un tavolaccio, perché cerchiamo sempre di favorire chi è
di salute più cagionevole.
Cantiamo, dalla mattina alla sera. "Bandiera rossa", "L'inno
dei lavoratori", "L'intemazionale", le canzoni partigiane finché
si stufano e ci tirano fuori.
Ci tengono per qualche giorno in cella di punizione, poi ci mettono in altre
celle, a due a due, in una parte del carcere che non era mai stata utilizzata.
Per quaranta giorni non possiamo avere i colloqui, ricevere pacchi, scrivere
a casa. Tutto questo perché hanno trovato in cella una copia dell'”Unità".
Gli unici giornali che ci vengono concessi sono quelli sportivi o di enigmistica,
anche se non possiamo fare le parole crociate, perché non possiamo tenere
matite o penne. In questi mesi, si manifesta anche un principio di epidemia
di tifo. Muoiono cinque o sei detenuti giovani che incontravamo in cortile,
all'aria.
Riceviamo sempre lettere, telegrammi, a volte pacchi, anche dai grandi nomi
della cultura nazionale e intemazionale. Ci viene sempre consegnato tutto, ma
spesso censurato. E' censurata anche la nostra posta; a casa arrivano lettere
quasi illeggibili
Dopo undici mesi e venti giorni di detenzione. accolgono il mio ricorso e mi
rifanno il processo. Ho chiesto che mi venga applicato il "piccolo reato"
e che mi vengano riconosciute motivazioni morali e sociali. Ho scontato quasi
tutta la pena. Non mi difende più il mio avvocato di Torino e così
pronuncio io l'autodifesa. Il pubblico ministero sostiene che noi comunisti
vogliamo distruggere l'esercito e gli rispondo che sono fandonie, anzi che Togliatti
alla Costituente, ha difeso l'esercito obbligatorio contro Pacciardi, l'attuate
ministro alla difesa, che chiedeva l'esercito volontario.
Mi diminuiscono la pena, riducendola a otto mesi e nove giorni, con la condizionale
Le lotte contadine
Sono liberato nel febbraio 1952. Panero dirige la Camera del lavoro. Per due
mesi faccio il "lavoro di massa", poi ad aprile, in federazione, parlo
con Moscatelli e con Germano che erano a Cuneo per dare man forte al partito.
Moscatelli mi dice che in provincia c'è una grande maggioranza di contadini,
che anche gli operai sono di origine contadina, che il problema delle campagne
è di fondamentale importanza per il partito. Mi chiede quindi di occuparmi
di questo, anziché rientrare nel settore operaio. Non ne sono motto contento,
ma apprezzo molto la sincerità di Moscatelli e un po' ingenuamente scelgo
il mondo contadino. Divento segretano della Associazione coltivatori diretti,
mentre Nazzari dirige la Confederterra.
La prima iniziativa riguarda la questione dei canali di Boves. Partecipo alla
campagna elettorale del 1953 contro la legge truffa. A Mondovì, la DC
ha addirittura formato una squadra di giovani che disturbano i miei comizi,
istigando la gente a picchiarmi. Su una ventina di contraddittori, però,
a scappare sono sempre loro. Ho sempre la soddisfazione di batterli.
La campagna è appassionata, lunga, difficile. Negli ultimi giorni abbiamo
a Cuneo Togliatti che tiene un discorso davanti a 12.000 persone.
Nell'aprile del '53 ci capita un episodio curioso. La moglie di Biancani lavora
come telefonista In quegli anni, la telefonista, anche senza volerlo, sente
la telefonata. Le capita quindi di sentire che vengono chiamate le forze di
polizia di Alessandria, perché a Cortemilia è scoppiata la rivoluzione
e i contadini hanno assalito il municipio.
Biancani mi cerca e mi chiede di prendere la vespa e di andare a Cortemilia.
Là non conosco quasi nessuno, solamente due fratelli, braccianti, che
abbiamo battezzato i fratelli Karamazov. Questi mi fanno incontrare Enrico Nervi
che ferrava i cavalli e i buoi e conosceva tutto il paese. Lui é in contatto
con quelli che hanno assalito il municipio e si sono ritirati nelle frazioni
di Doglio e Bruceto. La protesta nasce dal fatto che gli abitanti di Doglio
e Bruceto chiedono che venga costruita una strada perché le frazioni
si trovano sulla destra del Bormida e non esiste nessuna strada percorribile.
Raggiungo la frazione con la "raccomandazione" di Nervi, come corrispondente
dell'Unita", con la scusa di andare ad intervistare gli abitanti. Mi fermo
con loro alcune ore, discuto, ragiono, propongo che si trovi una uscita perché
sono stati commessi reati. Tornato a Cortemilia parlo con moltissima gente.
C'è l'impegno di costruire subito la strada (in realtà la faranno
venti anni dopo).
Un episodio simile, in provincia, non era mai accaduto.
Nello stesso periodo, formiamo una cooperativa a Chionea, una frazione a sei
chilometri da Ormea. Si lotta per ottenere la mutua ai contadini. Giolitti che
è sempre a Cuneo il venerdì sera o il sabato mattina e il lunedì
rientra a Roma, ci informa della approvazione della legge sulla mutua. La domenica
teniamo dodici comizi contemporaneamente per farla conoscere, organizziamo dappertutto
convegni, riunioni. Un parroco ci denuncia per un comizio non autorizzato, ma
veniamo tutti prosciolti in istruttoria perché il parroco ha dato informazioni
sbagliate. Un altro parroco denuncia Corino di Alba. Questi si difende dicendo
che non ha tenuto comizio, ma ha solo parlato con molte persone che conosceva
per informarle della legge. Il parroco insiste: "Se dico che ha tenuto
un comizio ha tenuto un comizio. Non era una chiacchierata, tantè vero
che io ho fatto il contraddittorio" Viglione, che difende Conno, fa interrompere
l'udienza. Se il parroco ha tenuto il contradditorio, rischia di andarci di
mezzo anche lui. Quindi ritratta tutto e tutto si chiude.
Alle politiche del 53, il PCI in provincia diventa la seconda forza. La DC,
invece, perde un sacco di voti. Milan ha lasciato Cuneo nel '51 e segretario
di federazione è stato etetto Crosetti. Nel '53 il segretario regionale
è Negarville, vicesegretario è Paolo Cinanni, mandato a Torino
dalla Calabria, dove ha diretto le lotte per l'occupazione delle terre. Nel
periodo clandestino ha svolto un ottimo lavoro in provincia, conosce il cuneese,
è in ottimi rapporti con Biancani e quindi ha una particolare attenzione
verso di noi.
Ad un comitato federale, ci critica perché discutiamo in modo generico,
della pace, delle lotte di fabbrica, ma non affrontiamo mai i problemi concreti,
non abbiamo una strategia per Cuneo che si inserisca in quella nazionale e ci
faccia tradurre la linea politica complessiva in "pane quotidiano".
Poco tempo prima, Panero, segretario della Camera del lavoro, era stato chiamato
a Pradleves che era uno dei pochi comuni con sindaco comunista. Il sindaco voleva
costruire una strada che collegasse il paese alla frazione Cialancia. Per costruirla,
occorreva far saltare delle rocce, usando la dinamite. La questura non dava
il permesso, boicottava i lavori perché il sindaco era comunista.
Al comitato generale stiamo discutendo di temi internazionali. Dopo il successo
elettorale c'è grande entusiasmo, aria di ripresa dopo la batosta del
48.
Panero porta questo argomento e Cinanni sospende la discussione su tutti gli
altri punti, perché la strada della Cialancia è una questione
di fondo
Ha ragione, perché riusciamo ad organizzare in provincia il primo sciopero
alla rovescia che consiste nel lavorare gratuitamente. Parla della cosa "La
Voce", il giornate della federazione, ne parla sull'Unità Gianni
Dematteis, il nostro corrispondente molto attivo, capace, che lavora giorno
e notte.
Allora, il questore non può più negare l'autorizzazione all'uso
della dinamite
Partendo da queste prime esperienze, iniziamo a ridiscutere il ruolo della classe
operaia e del PCI, partito della classe operaia, in una provincia come quella
di Cuneo.
Organizziamo un convegno per la utilizzazione delle acque del Tanaro
Collaborano Cinanni, Tullio Benedetti di Torino. Per merito di Bertolotto di
Savona, che é consigliere provinciale, rispolveriamo il progetto Nervi
sull'utilizzazione delle acque del Tanaro che é diverso da tutti gli
altri, perché pone il problema dell'uso delle acque non solo dal punto
di vista energetico, ma anche irriguo. Il problema è di dare energia,
ma anche di irrigare le province di Savona e Imperia, la piana di Albenga, la
riviera dei fiori e poi le province di Cuneo, Asti, Alessandria e l'area di
Poirino nel torinese.
E' un progetto gigantesco, difficile perché le società elettriche
sono private ed é diffìcile far passare il principio di usare
le acque a fini irrigui.
Ingaggiamo questa lotta contro i monopoli perché assolvano un ruolo sociale.
Svolgiamo una intensa campagna contro i monopoli elettrici. Il convegno di Garessio
nasce su questo. L'introduzione è di Giolitti, le conclusioni sono di
Vittorio Foa. Per l'Alleanza contadini partecipa il vice presidente nazionale
Giorgio Veronesi. Dopo il convegno, il consorzio delle cinque province che si
era costituito molti anni prima, ottiene dal ministero la concessione delle
acque. E' una grande vittoria.
In questa fase, il problema della montagna è morto assillante, perché
a sud vi sono state le lotte per la terra, in fabbrica stanno partendo le vertenze
sindacali, ma la montagna si sta degradando. Organizziamo a Torino il convegno
dell'arco alpino, subito dopo la conferenza economica a Bra.
Nel partito si apre il dibattito politico su questo nuovo modo di fare politica.
Noi vogliamo costruire la politica di rinascita che era nata nel mezzogiorno,
ma nell'alta Italia deve assumere altri aspetti, deve continuare la resistenza
e avere come centro la classe operaia, forza dirigente dell'intera società,
capace di farsi carico dei problemi complessivi e di costruire un rapporto con
il mondo contadino, non sostituendosi ad esso, ma collaborando con esso, come
era avvenuto nella resistenza dove, per la prima volta, i contadini hanno lottato
al fianco degli operai contro i fascisti e i tedeschi
Questa proposta di unire tutte le forze del lavoro, perché il coltivatore
diretto, anche se ha proprietà, é un lavoratore, non viene capita
da una parte dei compagni della federazione, Crosetti, il segretario, su questo
ha molto dubbi, e molte perplessità, come lui, manifestano i dirigenti
sindacali che non capiscono perché si debbano seguire i contadini che
votano tutti per la DC.
In questo quadro si svolge il quarto congresso provinciale. L'importanza é
tale che partecipano Longo, vice segretario nazionale, Negarville, esponenti
della direzione del partito. Passa la politica di rinascita
Sull'onda del congresso organizziamo le conferenze operaie di Bra, Mondovì,
Saluzzo. Però le organizziamo Biancani ed io, da soli In alcune sezioni,
ci sono difficoltà, perché non viene capita qualunque questione
non sia strettamente operaia. Crosetti viene trasferito a Roma, per evitare
tensioni in federazione.
Dovrebbe rimanere sei mesi, ma non tornerà più a Cuneo, per contrasti
con Biancani. Sbagliano quanti oggi lo criticano. Con Crosetti sono cresciuto
politicamente, sono stato partigiano con lui, non condivido sue posizioni e
suoi comportamenti, ma è sempre stato battagliero, ha fatto sacrifici,
non ha mai rinuncialo alla lotta.
La crisi dell'agricoltura é tale che siamo trascinati a spostare la gran
parte dell'impegno verso le campagne.
La prima tappa é il manifesto per la rinascita delle Langhe, scritto
in un convegno all'Hotel Savona di Alba, con la partecipazione dì grandi
nomi della cultura, Beppe Fenoglio, Mucci, Lajolo, Pinot Gallizio, Arpino ...
Sono l'unico a conoscere qualche cosa della Langa e vengo trasferito. Parto
con Achino, in vespa, portandomi la macchina da scrivere. Il quartiere generale
è a San Benedetto Belbo, in una specie di osteria di un compagno socialista,
Fiesco, che era stato in Francia. L'”ufficio” é il caffè
sulla piazza di Murazzano.
Il convegno che organizziamo a Murazzano interessa i comuni di Belvedere Langhe,
Marsaglia, Montezemolo, Sale San Giovanni, Paroldo, Niella Belbo, Mombarcaro,
la parte alta di Camerana. Tocchiamo il problema dell'isolamento dell'alta Langa
dal resto della provincia. Mancano le strade, mancano i servizi pubblici: c'è
un solo autobus il sabato per Alba, per Ceva è solo il mercoledì,
per il mercato.
Poniamo anche la questione dei servizi, del problema igienico-sanitario (a Murazzano
l'infermeria è orrenda), dell'approvvigionamento idrico, del degrado
economico. Ad Alba, la Ferrero sta iniziando a svilupparsi e inizia ad utilizzare
le nocciole della Langa. I noccioleti producono dopo molti anni. Si pone il
problema di avere una legge che permetta di fare gli impiantamenti e di poter
avere contributi per sei-otto anni, finché inizia la produzione
Al convegno di Murazzano partecipa il dottor Gallizio di Alba che ha un laboratorio
farmaceutico e propone lo sviluppo della coltivazione di erbe officinali. Conclude
Giolitti. Partecipano duecento persone. E' un successo, tenendo conto che non
vi sono mai state iniziative in zona e che mancano i mezzi pubblici.
Subito dopo, organizziamo il convegno di Canale e dei Roeri. Prendiamo una sede
nel centro di Canale per il nostro Comitato per la rinascita della Langa e di
qui partiamo ogni giorno per andare a tenere le riunioni nei paesi. Vi sono
le questioni delle pesche, delle culture specializzate, intorno a Sommariva
Perno, del vino a Guarene, Vezza ... Il convegno si svolge il 23 ottobre 1955.
Inizialmente non c'è nessuno perché hanno fatto andare tutti i
contadini a messa, li la DC è molto forte e i suoi dirigenti sono tutti
settari, anticomunisti. Poniamo il problema della crisi vinicola e soprattutto
dei frigoriferi per conservare la frutta, la verdura che spesso si deve buttare
perché non si riesce a conservarla. Partecipa l'onorevole Walter Audisio
(Valerio).
Il 25 ottobre convegno a Dogliani che ho preparato girando dappertutto con la
vespa.
Qui parliamo ai mezzadri e chiediamo l'applicazione della nuova legge che prevede
per loro non più il 50%, ma il 53% del prodotto. Proponiamo l'aumento
della percentuale per i mezzadri e che il 2% vada a benefìcio dell'azienda
per le migliorie.
A Dogliani ci sono le cascine del Presidente Einaudi.
Il 30 ottobre, altro convegno, questa volta a Cortemilia, zona poverissima.
Abbiamo difficoltà a trovare il locale. L'unico teatro del paese é
del parroco, don Sampò, che l'ha concesso in gestione. Quando il parroco
sa che l'abbiamo affittato, ce lo vieta. Ci mette i bastoni fra le ruote, ma,
per assurdo, ci favorisce perché la popolazione sente l'esigenza di riunirsi,
di affrontare i problemi. Il convegno si deve tenere in piazza, con l'onorevole
Ronza del PSI.
Qualche giorno dopo, altra assemblea a Gorzegno, organizzata da Martino e Romano
(ci siamo divisi un po' le zone perché il lavoro è moltissimo).
Quindi, riunioni continue nella zona di Neive, Mango, Santo Stefano Belbo. Questo
lavoro capillare porta al convegno per la rinascita delle Langhe e del Monferrato,
il 6 novembre 1955, ad Alba, al teatro Corino, organizzato con Asti ed Alessandria.
Partecipano duemila persone. Intervengono Giolitti e Veronesi.
Da qui escono i programmi per la rinascila delle Langhe e del Monferrato e da
questa data iniziano a partecipare il Partito dei contadini e una parte della
Coltivatori diretti e del mondo cattolico. Quando abbiamo incominciato erano
tutti contro di noi, ma ora, visto che le cose vanno bene...
Il 6 maggio 1956, domenica, a Neive, si svolge la prima passeggiata dimostrativa.
Gli agricoltori st radunano sulla piazza di Neive da Mango, Barbaresco, da tutta
la zona, con i carri (nessuno possiede ancora i trattori, ce ne saranno due
o tre in tutta l'area). In corteo, andiamo verso Castagnole Lanze. Da Castagnole,
invece, vengono verso Neive. A metà strada, i due gruppi si incontrano
e fraternizzano. La strada rimane bloccata dalle due alle cinque del pomeriggio,
con grandi discussioni con la polizia.
La domenica successiva prima marcia a Cengio contro i danni della Montecatini.
Non sappiamo come andrà a finire. Lunedì 7 maggio mi trasferisco
in Valle Bormida, dove Martino e Romano stanno lavorando da tempo. Dobbiamo
organizzare gli autobus (da Cortemilia a Cengio a sono quaranta chilometri).
Nessuno, però vuole affittarceli Allora con Prunotto, che aveva vinto
al Totocalcio e andava in ferie a Varazze, affittiamo gli autobus da una ditta
di Varazze, dicendo che stavamo organizzando un pellegrinaggio al santuario
di Oropa che non sapevamo neppure dove fosse. Con questo trucco, riusciamo ad
avere due autobus da Cortemiha, mentre da Gorzegno, Monesiglio, Camerana vanno
sino a Cengio a piedi. La manifestazione è grande: 1.500-1.600 contadini.
Una parte di questi ha i parenti che lavorano alla Montecatini. Vogliamo l'unità
tra operai e contadini, tutti insieme per la rinascita della Valle Bormida.
Molti operai, uscendo dalla fabbrica, si uniscono al corteo
Al comizio finale interviene anche, con Gioititi, il segretario della Camera
del lavoro di Savona, Giacomo Calandrone
II 23 luglio si svolge la prima passeggiata in montagna, a Demonte, in Valle
Stura, dove la CELI sta costruendo la centrale di Vinadio, ha fatto dighe a
Trinità di Demonte, e ha tolto l'acqua ai contadini, persino l'acqua
delle fontane. Oltre al problema dell'acqua, si protesta per la crisi del mercato
delle patate che non si riesce più a vendere. Con questa manifestazione
e una seconda, in Valle Stura, il 23 settembre, otteniamo che la CELI conceda
l'acqua. In seguito il governo assorbirà una parte delle patate per il
vitto alle forze armate.
C'è già stato il convegno per la rinascita della Valle Po. Da
questa valle partecipano a tutte le manifestazioni.
Il 9 settembre, a Gallo Grinzane, mettiamo in piedi una nuova grande passeggiata,
investendo oltre trenta comuni della Langa. Un gruppo di contadini disarma i
carabinieri. Ci sarà il processo; tra gli accusati Giolitti, che però
ha l'immunità parlamentare e Prunotto
II 3 novembre siamo, per la seconda volta, a Cengio, con più di duemila
contadini. Una delegazione è ricevuta dal direttore della Montecatini.
La Montecatini ha sempre avuto un atteggiamento negativo, sprezzante e anche
dalle autorità governative abbiamo sempre avuto solo parole.
Una delegazione di sindaci della Valle Bormida, a Roma, è ricevuta dal
ministro dell agricoltura, Colombo che si impegna. Invece, il ministro dell'industria,
Silvio Gava promette di telefonare all'amico presidente della Montecatini, per
vedere se è possibile fare qualcosa
Nella primavera '57, passeggiata a Gorzegno, sempre sul problema della Valle
Bormida. Le strade vengono bloccate sino alle dieci di sera e deve venire un
commissario della prefettura a prendere impegni precisi. Per questa manifestazione,
ci sarà un processo ad Alba, con sessanta imputati
L'ultima passeggiata si svolge il 28 aprile 1957 a Barge. Da Barge molti contadini
avevano partecipato alle iniziative nelle Langhe e alcuni di loro avevano proposto
di organizzare lotte simili anche nella loro zona.
E' impossibile organizzare nello stesso giorno iniziative in Langa e in montagna
perché non abbiamo gli uomini che possano seguire tutto e quindi ci spostiamo
da un luogo all'altro.
In questa passeggiata emergono i contrasti che da tempo covano. Mentre noi vogliamo
seguire le modalità già attuate in Valle Bormida, Giolitti dice
di essere per il rispetto della Costituzione e minaccia di non partecipare se
vi saranno blocchi stradali. Gli garantiamo che non vi saranno blocchi. Più
che una giornata di lotta diventa, però, una processione. Nel comizio
finale, a causa di tutti i contrasti intemi, non vengono fuori chiaramente le
proposte e le rivendicazioni dei contadini.
Il rapporto con Giolitti diventa sempre più difficile. La manifestazione
di Barge è l'ultima. Con i fatti di Ungheria dell'autunno '56, la questione
si sposta da temi pratici a temi politici complessivi, teorici: la libertà,
la democrazia, la questione del governo.
Con l'uscita di Giolitti dal PCI abbiamo un danno enorme, sia a livello operaio
che contadino, perdiamo in tutti i settori, salta l'intreccio che abbiamo tentato
tra iniziativa operaia, contadina, presenza degli intellettuali...
Dopo Giolitti. Gli scontri nel
partito
Alle elezioni del '58 perdiamo secco. Avanza il PSI. Biancani lascia la segreteria
della federazione e al suo posto viene Nestorio che è funzionario a Cuneo
già da due anni e cura l'organizzazione. In questo periodo, Nestorio
aveva portato un contributo positivo, politico ed organizzativo, partecipando
a tutto il dibattito senza mai assumere atteggiamenti schematici.
Io sono a Mondovì, demoralizzato, non faccio più parte della segreterìa.
Ho anche ricevuto attacchi personali dopo la conclusione delle lotte contadine.
Nestorio mi chiede di rientrare in segreteria e di trasferirmi a Cuneo.
La federazione è retta da Nestorio e Romano che puntano su un forte rinnovamento,
sui giovani, oltre a Romano, Martino, Corino .... ma in modo troppo ardito.
Veniamo da un perìodo di contrasti morto forti. Ora non esiste più
il contrasto tra politica verso il mondo operaio e quello contadino, ma nasce
sui modi di conduzione della federazione. Nestono e Romano pensano di risolvere
le difficoltà con la bacchetta magica, usano forme troppo personali.
Questo è il periodo più negativo della federazione. lo sono poco
al centro, giro continuamente nelle sezioni per organizzare, costruire
Al congresso provinciale del novembre '62 sono eletto vicesegretario e sono
in segreteria con Nestorio, Romano, Izzi, Martino. Da un forte contributo anche
Biancani che è deputato dal '61, ma per un certo periodo è stato
isolato e ha sviluppato posizioni critiche, anche umanamente moto comprensibili.
Nell'autunno 63, sostituiamo Nestono con Panero. In segreteria, con lui, sono
Martino, Graglia, Ferro. E' molto attivo Mario Izzi, sempre, però, in
contrasto con Biancani. Il 28 giugno 1963, quindi ancor prima del cambio di
segreteria nel partito, tomo ad essere dirigente dell'Alleanza contadini.
In questo settore vi sono nuove iniziative. Un anno dopo, nel settembre 1864,
abbiamo nelle Langhe, la guerra del moscato. La fa scoppiare il professor Cerruti,
del Partito dei contadini, sindaco di Cossano Belbo
A Santo Stefano Belbo, sul mercato, un mercoledì, un rappresentante di
una ditta sbeffeggia un gruppo di contadini, dicendo che se non avessero venduta
l'uva a lui, al prezzo che lui proponeva, sarebbe marcita. Cerruti prende le
difese dei contadini, schiaffeggia il rappresentante. Da questo fatto parte
la protesta
Il moscato è un'uva diversa dalle altre. Deve essere trattato e per questo
servono gli impianti industriali. Se il contadino non ha la attrezzatura per
trattarlo, va a male. Gli industriali, approfittando di questo, pagano il moscato
meno di quanto paghino le altre uve
Vengo avvertito del fatto, parto subito da Cuneo e mi trasferisco nella zona
II mattino stesso, i contadini vanno da Santo Stefano a Canelli a manifestare
davanti a Gancia e Riccadonna. Al pomeriggio, invece, con le macchine, con le
moto, a piedi, tutti davanti alla Cinzano, a Santa Vittoria d'Alba.
Le manifestazioni continuano finchè gli industriati sono costretti a
trattare.
A capo della delegazione degli industriali c'è Vallarino Gancia, persona
in gamba, capace, moderna. Otteniamo una grande vittoria, perché per
la prima volta, costringiamo gli industriali a rispettare un prezzo concordato
collegialmente. Solo dopo molti anni, quando assessore regionale sarà
Bruno Ferraris del PCI, presidente dell'ACA, l'associazione dei contadini astigiani
e che aveva vissuto questa preziosa esperienza, vi sarà una legge regionale
per cui i prezzi del latte e del vino saranno concordati regionalmente da produttori
e industriali.
Al partito, con Panero, c'è una certa ripresa. Panero è sempre
stato dirigente sindacale, è ottimo organizzatore, preciso, ma la carica
di segretario di federazione gli pesa. A differenza che nel sindacato, sente
il peso della carica politica. Il 26 novembre 1966 lascia la segreterìa
di federazione, è sostituito da Martino e viene con me all'Alleanza contadini.
Uno è presidente e l'altro segretario.
Con Martino, il partito vive il periodo migliore, incontra una congiuntura favorevole,
recupera tutte le posizioni perse in seguito all'uscita di Giolitti. Segretario
della Camera del lavoro, in questo periodo, è Sparla.
lo ho, intanto, vissuto, vane vicissitudini personali. Nel '60 mi sono trasferito
a Cuneo con mia moglie. In coincidenza con l'elezione a vicesegretario mi ammalo.
Temo di avere un tumore. Mi operano a Roma, anche su indicazione di Togliatti.
Dopo l'operazione, dovrei andare in convalescenza in URSS, poi, invece, vengo
mandato in Ungheria, sul lago Balaton. Qui si trovano Longo, Moranino, molti
esponenti di partiti di molti paesi.
Conosco dirigenti algerini, siriani, del partito comunista di Israele.
Improvvisamente mi sento male. Torno a casa, convinto di avere vita breve, non
ne parlo con mia moglie che è malata di cuore, ma cerco una sistemazione
per lei. Affittiamo un negozio. Nella Langa conosco molti produttori di vino
e vendiamo vini e liquori. Poi otteniamo la licenza per la drogheria. Biancani
ci garantisce per i debiti, il grossista Bruno ci rifornisce il negozio sulla
fiducia e gli paghiamo la merce quando incassiamo qualche cosa. Con suo figlio,
anni dopo, fonderemo il CONAD. Quando gli chiederò perché si era
fidato di me senza conoscermi, mi dirà che conosceva la gente dalla faccia,
che ero un piemontese, che non lo avrei fregalo.
In questo modo abbiamo salvato il negozio che poi abbiamo tenuto per 16 anni,
dal '64 all'80. Gestione familiare: io tengo i conti. Quando introdurranno l'IVA,
lo farà mia figlia.
Candidato. Borgo San Dalmazzo
Sono stato candidato tre volte alla Camera e tre volte al Senato, però
sempre sicuro di non uscire. Nel 1958, quando Giolitti passa al PSI, io sono,
per i compagni e anche per il regionale, il candidato naturale: sono molto conosciuto
dappertutto, ho fatto le lotte. Viene, invece, scelto Biancani. lo sono un lavoratore,
lui è un dirigente che si impegna da anni, in federazione. Cinanni lo
ha appoggiato dandogli incarichi di maggiore importanza, trasferendo Crosetti
perché lui potesse muoversi più liberamente. Biancani ha dato
un grande contributo in federazione, tenendo i contatti con la cultura, il mondo
politico, gli altri partiti.
Io, al contrario, ho sempre svolto il ruolo di dirigente con le masse. Ad esempio,
dopo i comizi di Giolitti, la gente chiedeva che parlassi io, perché
ero più semplice e facevo la "traduzione".
Sono candidato nel '56 al consiglio provinciale, nel collegio dì Garessio-Ceva.
Nella tornata precedente, li era stata eletta Lucia Canova, ma il partito ha
bisogno di un consigliere che si occupi di tutta la provincia, delle strade,
del manicomio, cosa che lei non può fare. Vengo designato io, ma in quel
collegio perdiamo molti voti. Mi rendo conto, solo in seguito, che è
stato un grave errore mettere un candidato estemo, non candidare la persona
del posto, tanto più se è popolare come Lucia. Sono eletti Cogo
del PCI, Cipellini del PSI e Viglione nel collegio di Chiusa Pesio-Boves. Viglione
è popolarissimo. Sarebbe eletto in qualsiasi lista. Nelle liste comuni
PSl-PCl, i socialisti non lo considerano proprio candidato e quindi lo assumiamo
noi come nostro.
Nel '56, prima delle politiche, Biancani, nelle discussioni personali, mi fa
presente che il lavoro di parlamentare è complesso, che occorrono capacità
che non ho. Mi preoccupo di questo gli lascio via libera. Nel partito rimangono
tutti stupiti nel vedere che il candidato è lui e non Borgna.
Io avrei fatto il parlamentare in modo diverso. Lui ha svolto attività
sulla Cuneo-Nizza, sul processo a Peiper, il massacratone di Boves, verso il
mondo partigiano, ma io sarei stato più di "movimento", mi
sarei fatto sentire dappertutto. Oggi, invece, di alcuni non ci si accorge neppure
che siano parlamentari. La direzione del partito chiede che il parlamentare
dia garanzie sul piano tecnico, che sappia fare le leggi, che dia un contributo
al gruppo parlamentare. Questa impostazione va bene per province che siano vicine
a Roma, che abbiamo due o tre deputati, ma non va bene per Cuneo. Un nostro
parlamentare deve andare a Roma quando ci sono le scelte importanti, le votazioni
importanti, ma nella gran parte del tempo deve essere sul territorio, fra la
gente. Da questa presenza di base debbono emergere le proposte da portare a
Roma ai parlamentari con maggiori capacità tecniche.
Nel 1964, con la legge che introduce il sistema proporzionale in tutti i comuni
con più di 5.000 abitanti, abbiamo la possibilità di ottenere
molti eletti in più. Dopo la batosta di Ceva e la delusione del '56,
credevo di avere chiuso.
Invece, Biancani mi propone di fare il consigliere comunale a Borgo.
Non ci sono altri nomi possibili, sono l'unico conosciuto e accetto.
Così, vado a Borgo, ho pochi giorni per fare la lista. Metto quattro
o cinque iscritti di Borgo che non sanno neppure che cosa sia il consiglio comunale,
Andrea Dalmasso di Robilante, il padre di Anna Graglia che è di origine
di Borgo, un ex tranviere di Torino, bravissimo compagno, che però a
Borgo nessuna conosce. Riesco a mettere insieme una lista di tredici nomi. Nonostante
tutto, il PCI riceve l'8,8% dei voti ed elegge un consigliere, con due liberali,
sei socialdemocratici, tre socialisti e otto DC Sono candidato anche al consiglio
provinciale, con nessuna speranza
Inizio a svolgere attività a Borgo, organizzo la sezione, facciamo lotte
contro le cave, con Giorgio Giraudo affrontiamo il problema dei danni che l'Italcementi
causa ai contadini della zona di Madonna Bruna.
Alle elezioni del 1970, da un consigliere passiamo a tre. E io divento consigliere
provinciale. Borgo aumenta la popolazione, diventa zona industriale, e svolgiamo
molto lavoro sul piano politico, anche se esiste una grande disorganizzazione
e non abbiamo appoggio sul piano sindacale
Nel 75 da tre passiamo a cinque. E io sono riconfermato alla provincia. Anche
nel 1980 eleggiamo cinque consiglieri e io vengo rieletto consigliere provinciale
con Graglia, Angeloni e Franciosi di Bra che poi lascia il posto a Livio Berardo.
A questo punto, la federazione mi prega di dimettermi. Lascio il consiglio provinciale,
sostituito da Lido Riba e anche quello comunale perché sono nominato
al CORECO.
Così chiudo la mia carriera politica. Sono comunista, credo che morirò
comunista, però non ho più incarichi pubblici, sono un compagno
che cerca di fare quello che può.
Sindacalista
Diressi la CGIL provinciale negli anni più difficili e duri del dopoguerra,
gli anni '50 e in parte '60. Il movimento sindacale, dopo la scissione del 1948,
era debole e frantumato. Le confederazioni camminavano ognuna per conto proprio
e per il padronato cuneese fu facile attuare parte dei suoi disegni.
Per anni fu condotta una lotta difensiva contro i licenziamenti, lo sfruttamento,
le violazioni contrattuali, le rappresaglie, contro dirigenti e attivisti sindacali,
contro i membri di Commissione Interna.
Si condussero delle battaglie importanti per migliorare il tenore di vita e
di lavoro dei lavoratori. Sul piano salariale si ottennero risultati discreti.
Vale la pena di ricordare la lotta del 1951 per perequare l'indennità
di contingenza che era al di sotto delle altre zone d'Italia; quella delle Falci
di Dronero che durò parecchi giorni, con scioperi intelligenti che colpivano
il padrone e meno i lavoratori; quella degli operai della Burgo di Verzuolo
per i premi di produzione. In quelle aziende la CGIL contava su capaci e coraggiosi
dirigenti sindacali; quella degli operai dell'ltalcementi di Borgo San Dalmazzo
che durò 40 giorni con uno sciopero ad oltranza e che trovò la
solidarietà di altre categorie di lavoratori e della cittadinanza che
con soldi e generi alimentari consentirono agli operai di resistere. Sempre
in quegli anni, positivi risultati salariali si ottennero alla Locatelli di
Moretta, alla Bertoni di Saluzzo, alla Quarzite di Barge.
Per quegli anni si deve soprattutto parlare dei veri protagonisti. Credo non
si dirà mai abbastanza della dedizione, della passione, dei sacrifìci
di decine di compagni comunisti e socialisti, attivisti sindacali che hanno
profuso tempo e sacrifici per fare grande la CGIL, spesso sottoposti a rappresaglia
padronale, a pressioni di ogni sorta per fiaccarne la resistenza.
Compagni che per anni entrarono perché votati dai lavoratori a far parte
delle Commissioni Interne, esponendosi al rischio d essere licenziati e sicuramente
con scarse possibilità di passare a categorie superiori, Compagni che
resistettero alla politica paternalistica.
Quante volte si sono sentiti dire: se stai bravo, se non fai politica, ti do
un aumento di paga, ti passo di categoria. Grazie a questi compagni che con
pazienza subendo anche delle umiliazioni, facevano il tesseramento sindacale
nella fabbrica contattando ad uno ad uno gli operai, e raccoglievano la quota
sindacale dagli iscritti, grazie a questi compagni la CGIL anche in provincia
si rafforzò, aumentò gli iscritti e preparò anni migliori.
Questa fatica per fare nuovi proseliti. II padronato continuava a dire che il
sindacato in fabbrica non lo voleva e quando non poteva evitare le liste della
CGIL, ricorreva a far fare liste addomesticate e ossequienti. Classica la politica
della Ferrero di Alba e della Cinzano di S. Vittoria d'Alba che per anni hanno
usato il bastone e la carota.
Il sindacato non aveva vita facile in fabbrica e anche nella società.
II predominio democristiano, la mentalità piccolo borghese ostacolavano
lo sviluppo organizzativo e politico della CGIL che era considerata socialcomunista.
Ogni sciopero promosso dalla CGIL veniva dai mass media bollato come sciopero
politico e per un certo periodo CISL e UIL ripetevano il ritornello.
In quel periodo in provincia di Cuneo si contavano 25 000 lavoratori dipendenti,
i salari si aggiravano sulle 30-35 000 lire al mese, la disoccupazione era tanta,
alla Unione Industriale si andava sovente per contrastare le richieste di licenziamenti.
Fu in quel periodo (anni 54-56) che la Camera provinciale del Lavoro promosse
alcune conferenze economiche per denunciare l'incapacrtà della classe
dirigente che governava la provincia, a sviluppare una politica di investimenti
per accrescere l'occupazione e tutta l'economia provinciale. La CGIL avanzò
molte proposte. Esse si inquadravano nel "Piano del Lavoro" che la
CGIL nazionale aveva proposto al Paese appena uscito dalla disastrosa guerra
fascista.
Ci furono scontri duri; a Mondovì gli operai della Bassani Manfredi occuparono
per alcuni giorni la fabbrica per salvare il salvabile di fronte alla dichiarazione
di fallimento dell'azienda.
Alla SNOS di Savigliano, la lotta operaia salvò la fabbrica dalla chiusura
totale anche se centinaia di lavoratori furono licenziati.
Ci furono compagni che pagarono con il licenziamento, rei di essere alla testa
di sacrosante lotte per far valere i diritti dei lavoratori: Dino Groppo della
Fissore di Savigliano, Drocco della Ferrero di Alba, Domenico Trosso della Bongioanni
di Fossano, Fina della Vetreria di Vernante.
Era difficile "coprire" tutta la provincia con le strutture di cui
disponeva la CGIL. L'apparato era tirato all'osso I 6 compagni a tempo pieno
dovevano correre dappertutto. Non c'era orario di lavoro per i dirigenti sindacali
sottopagati. Le riunioni dei lavoratori si tenevano alla sera, o alla domenica
mattina; l'orario di lavoro per tutti gli operai era di 48 ore settimanali,
quindi anche al sabato si lavorava
Non si parlava di permessi sindacali retribuiti
Se c'è stato il 68 è perché ci sono stati questi anni,
queste lotte, questa resistenza; grazie a tutto questo fu spianata la strada
della riscossa della classe Operaia e si aprirono i cancelli delle fabbriche
al Sindacato e si affermarono il diritto alla contrattazione aziendale, alla
nascita dei delegati e dei consigli di fabbrica.
Ci fu in quegli anni un perìodo terribile quando la FIOM fu sconfitta
nelle elezioni per le Commissioni Interne alla FIAT di Torino.
Di quei risultati si ebbero ripercussioni in tutto il Paese. In provincia, ci
furono momenti di demoralizzazione e di smarrimento. Si dovette lavorare molto
per infondere coraggio e fiducia; più diffìcile era trovare compagni
disposti ad entrare nelle liste per le Commissioni Interne. I licenziamenti
dei compagni Battista Santià, Egidio Sulotto, Pugno e Pace fecero grande
impressione.
Con tenacia, pazienza e perseveranza quei momenti furono superati. La CGIL non
si stancò mai di combattere il settarismo e non abbandonò mai
la sua politica unitaria che più tardi diede i suoi frutti.
Si cominciò a vedere la stampa di volantini firmati da CGIL, CISL e UIL;
i rapporti anche personali, fra dirigenti delle tre organizzazioni furono sempre
più fraterni, frequenti e costruttivi. La divisione sindacale fu una
grande lezione per tutti e insegnò la via dell'unità.
Si cominciò a respirare aria nuova, a parlare di unità di azione,
a ricercare le cose che univano. CGIL e CISL fecero l'esperienza del tesseramento
unrtario alla Bongioanni di Fossano, ottenendo risultati significativi
Dal 1948 al 1960 ci furono anche scioperi politici. I lavoratori di molte fabbriche
della nostra provincia parteciparono. Ricordo gli scioperi dopo l'attentalo
a Palmiro Togliatti, quelli contro la legge truffa, quelli del 1960 contro il
Governo Tambroni. Furono organizzati per difendere la democrazia e la libertà
conquistate con la lotta di Liberazione.
Nel 1953, Giuseppe Di Vittorio tenne un comizio in piazza del municipio a Cuneo
contro la legge truffa che la DC voleva imporre al Paese.
Nel 1960 si scioperò alla Ferrero di Alba. Fu il primo sciopero della
maestranza di quella grande fabbrica. Fu molto difficile il lavoro di preparazione.
La CISL iniziò per prima l'agitazione senza informare la CGIL, ma subito
capì che da sola non l'avrebbe spuntata. Cominciarono così gli
incontri unitati per esaminare la situazione. Il clima che presto crearono i
dirigenti padronali si può definire da "fronte del porto".
Le operaie venivano prelevate sui luoghi di residenza, chiuse nei pullman e
scaricate all'interno dello stabilimento Ciò per impedire ai sindacati
di prendere contatto, di parlare loro. I dirigenti sindacali venivano apostrofati,
insultati con la volontà di malmenarli. Lo scopo era di incutere paura.
La polizia e i carabinieri sono più volte intervenuti non certo per far
rispettare il diritto di sciopero.
Alcune operaie sono state picchiate durante gli scioperi; davanti ai cancelli
si formarono i picchetti: operai e operaie più coraggiosi affiancavano
l'opera dei dirigenti sindacali per convincere gli incerti, gli intimoriti a
uscire dalla fabbrica e a partecipare.
Credo che la città di Alba non aveva mai assistito ad una lotta così
dura. Piazza Savona un mattino, avvolta nella nebbia, vide alcune centinaia
di lavoratori al comizio, che fu tenuto dal sottoscritto per la CGIL e da Delpiano
della CISL.
Quella lotta consentì poi di formare le liste per la elezione della commissione
intema e la CGIL ebbe un importante risultato. Un nuovo capitolo sì aprì
anche alla Ferrero di Alba.
Una vita spesa bene
Ho conosciuto Panero, alla fine degli anni '60. lo nei piccoli gruppi della
nuova sinistra, nel tentativo, purtroppo mai andato in porto, di un profondo
rinnovamento della sinistra tutta e di costruzione di un'alternativa alle scelte
politiche di PCI, PSI e CGIL; lui, che sempre - per età, scelte di vita,
ruoli, interessi, lavoro politico accomunavamo a Luigi Borgna. - nel maggior
partito della classe operaia e dirigente di grandi organizzazioni di massa
Erano anni di intenso dibattito politico e di discussioni accese
I gruppi giovanili che si stavano costituendo agivano spesso in modo iconoclasta,
operando una rottura violenta con la storia e la tradizione, o recuperando di
questa quelle parti e quelle figure (Rosa Luxemburg, Trotskij, lo stesso Guevara.
la parte più radicale e classista della Resistenza ...) che erano state
sconfitte e che sembravano poter essere riattualizzate.
Ci dividevano profondamente la valutazione sull'URSS e sui paesi dell'est, che
noi non abbiamo mai chiamato socialisti, sulla situazione internazionale, sulla
necessità di una diversa strategia in Italia che desse spazio e voce
alle spinte studentesche ed operaie, rifiutando sbocchi a livello governativo,
la richiesta di un diverso regime interno in partiti e sindacati
Vi erano immaturità, impazienze, estremismi (in senso classico). Per
molti, la certezza di un imminente sbocco rivoluzionano, la sopravvalutazione
della realtà internazionale, la mitizzatone della classe operaia e della
Resistenza legavano valutazioni politiche a motivazioni esistenziali. Sempre
l'incomprensione di quanto la sinistra storica fosse radicata profondamente
nella società e di quanto, soprattutto nel cuneese, fosse passata per
un tunnel difficile fatto di isolamento, ostracismo, pregiudizio.
Lo scontro URSS/Cina, l'internazionalismo di Cuba, le lotte anticoloniali in
Africa, il Vietnam facevano pensare alla possibilità di una alternativa
anche a livello internazionale
La proposta di compromesso storico, avanzata da Berlinguer nel 73, dopo il drammatico
colpo di stato in Cile, rendeva ancor più gravi le differenze.
In molti militanti del PCI (diverso il discorso per il PSI, più duttile
e dialogante con gli "estremisti") un maggior moderatismo nelle scelte
(per tutte l'accettazione della NATO e un diverso giudizio sulla DC) si accompagnava
ad una polemica sempre più netta verso i "gruppetti".
Inevitabili, quindi, le divergenze anche con i militanti, come Biancani, Borgna,
Panero e i tanti quadri del sindacato, a cui si riconoscevano l'impegno, la
coerenza e la dedizione.
La conoscenza con Pietro Panero si trasformava poi in collaborazione anni dopo,
quando iniziavo a ricostruire parzialmente la storia della sinistra provinciale.
La sua testimonianza era preziosa e si incastrava con altre in un mosaico incompleto,
fatto di storie individuali con molti elementi comuni (l'antifascismo, il partito,
il sindacato, anche alcune delusioni).
La nascita a Saluzzo. La giovinezza a Mondovì, i primi sentimenti di
opposizione alle ingiustizie sociali."Davanti a noi viveva una grande famiglia,
ricca, che teneva sempre le finestre aperte. Dalla mia finestra vedevo la tavola
sempre imbandita; noi, invece, non avevamo niente, neanche la tessera del pane".
L'esperienza della fabbrica e l'iscrizione al "Partito", quando si
sente dire che "vuole togliere i padroni". La carica di segretario
provinciale delta CGIL, dal '51 al '62, con il trasferimento a Cuneo, quando
un sindacalista guadagnava meno di un operaio, non esistevano i permessi sindacali,
le riunioni si tenevano i sabati e le domeniche e la parola ferie era sconosciuta.
Le difficoltà: dalle strutture deboli all'anticomunismo, dall'isolamento
delle poche avanguardie di fabbrica alle rappresaglie, dalla mancanza di fondi
alla scarsa preparazione politica e culturale. Lo scrivere giornali, volantini,
manifesti, quando nessuno aveva più della quinta elementare e c'era il
timore di sbagliare.
Il primo comizio, con mille timori, iniziato leggendo il titolo dell'”Unità"
e continuato, quasi per inerzia, quando alla prima interruzione, qualcuno gli
aveva gridato: "Ma che fai? Vuoi tenere un comizio di quattro parole?"
E poi le Iotte (temine che compare mille volte) e le conquiste. Nelle sue parole,
tornavano a vivere l'Italcementi di Borgo e il suo isolamento, il settore tessile,
la Ferrero di Alba, le vertenze a Barge, a Moretta, a Dronero, la mobilitazione
contro il governo Tambroni nel '60, i primi passi della politica unitaria con
CISL e UIL, le lotte contadine e le divisioni nel partito "Gli obiettivi
erano l'abolizione del dazio sul vino, ma anche la conquista della mutua e delle
pensioni contadine. Quelle conquiste sono state strappate anche dal movimento
operaio, il merito non è di Bonomi e di quelli della Coltivatori diretti".
Dalla CGIL all'Alleanza contadini, dove tutto era da ricostruire e le difficoltà
ancor maggiori che nel sindacato. Anche qui una crescita progressiva, nei numeri
e nelle competenze.
E il partito. I nomi dì Biancani, Borgna, Prunotto, Angeloni, Nestorio,
Martino, il succedersi delle generazioni. Gli anni duri con le polemiche e gli
scontri intemi sulla priorità chiesta da alcuni per te lotte contadine
e da altri per i centri operai. La segreteria in un momento difficile e la scelta
successiva per i movimenti di massa (Alleanza contadini sino al 1980) Le candidature
alla Camera (1958, 1968) e al Senato (1963) Gli errori, ma anche le speranze,
i sogni "C'erano tante utopie, la maggiore quella di distruggere il capitalismo,
ma quella era la molla che caricava. Vi è stata la delusione quando è
caduto il mito di Stalin, ma sotto quella bandiera siamo andati avanti, abbiamo
resistito anche in situazioni difficili"
La breve permanenza al Consiglio provinciale e le tante legislature, invece,
al consiglio comunale di Savigliano. I dieci anni di sindaco a Pradleves, uno
dei pochi sindaci comunisti, riferimento per tanti amministratori, soprattutto
di montagna.
Con la pensione, nel 1980, a 60 anni, l'impegno nel sindacato pensionati.
Poi, la fine del PCI, la nascita del PDS e di Rifondazione. Panero era stato
contrario alta scelta di Occhetto, letta come troppo discontinua rispetto alla
storia e alla tradizione del partito di Togliatti, quasi liquidatoria di un
patrimonio che non si poteva disperdere. Già in un precedente congresso,
si era opposto all'elezione nel comitato federale di un iscritto che si era
dichiarato non comunista.
Per questi motivi aveva seguito Rifondazione con interesse e simpatia
Ricordo la prima iniziativa pubblica, a Cuneo, con Sergio Garavini che, entrato
in sala era corso ad abbracciarlo, quasi ripercorrendo una comune militanza
sindacale e le difficoltà della provincia bianca. Il primo congresso,
nella povera sala del Foro Boario, quando, anche in loco. l'idea di rimettere
in vita una forza comunista, era sembrata riprendere corpo.
Le prime elezioni. A Panero avevamo chiesto di candidarsi, anche non iscritto,
per il Senato. Aveva rifiutato. Troppe le delusioni, troppi gli anni di non
attiva militanza. Gli aveva telefonato anche Gianni Allasia, una delle più
belle figure della CGIL e del movimento operaio regionale. Anche a lui, con
un po' di imbarazzo, il no.
Il tentativo comune di riaprire una discussione nella CGIL con "Essere
sindacato", anche grazie a lui, molto presente fra i pensionati.
Poi, il disaccordo. La destituzione di Garavini prima, la segreteria Bertinotti
poi, troppo discontinua rispetto alla tradizione e ad una pratica che parevano
consolidate. Il trauma per il no al governo Dini, a ragione o a torto, da Panero
letto come una sorta dì governo Badoglio, di compromesso e di salvaguardia
rispetto alla destra. La difficoltà nel comprendere una politica che
tentava di parlare a settori anche non politicizzati che invertiva alcune priorità
che in Togliatti e in Berlinguer sembravano consolidate. A Cuneo, poi, Rifondazione
non aveva raccolto molte adesioni dall'ex PCI e sembrava a molti troppo vicina
agli ex gruppi della nuova sinistra.
Un distacco, nel '95 (ricordo una lunga telefonata), con dispiacere e rispetto
reciproci.
Ancora qualche incontro e qualche breve chiacchierata. II suo ricordare gli
impegni amministrativi davanti alla mia nuova, breve esperienza di consigliere
provinciale. La soddisfazione nel '96 per lo scampato pericolo elettorale e
la sua adesione al PDS e il ritorno nella maggioranza della CGIL, quasi come
segno di continuità rispetto ad una militanza cinquantennale.
Con Pietro Panero scompare non solo una delle figure che hanno fatto la storia
della sinistra cuneese. Scompare non solo l'unico dirigente che sia stato segretario
di un partilo, il PCI, e di due organizzazioni di massa, la CGIL e l'Alleanza
contadini. Scompare un pezzo di cultura politica, propria di una generazione,
basata su un antifascismo oggi messo in discussione, su una concezione del classismo
e dell'internazionalismo con cui, personalmente ho spesso polemizzato, ma con
cui esistevano matrici comuni.
Per un eretico come me, nell'asprezza del dissenso, erano maggiori con la sinistra
maggioritaria gli elementi comuni, trentanni fa, di quanto siano oggi, quando
anche alcuni cardini elementari sembrano definitivamente scomparsi
La vita delle formazioni politiche è stata costruita dai grandi dirigenti,
dagli intellettuali, da un grande numero di quadri intermedi e dirigenti locali,
ma soprattutto da una massa sterminata di militanti che hanno costruito una
società nella società, che hanno ipotizzato un modo alternativo
di pensiero e di vita, che hanno giocato in sacrifici, lotte, speranze, illusioni,
gran parte della propria esistenza, dando vita ad un'epopea di umili e di vinti.
La sconfìtta frontale e la quasi scomparsa dì una sinistra alternativa
e di una prospettiva socialista (anticapitalista ed antimperialista) non cancella
e non annulla questo patrimonio a cui anche Pietro, nei suoi quasi 77 anni,
ha dato un contributo non piccolo.
Per questo, per i momenti di consenso e quelli di dissenso, lo ricordiamo con
affetto e con rimpianto profondi.
Sergio Dalmasso
Appunti sul PSLI-PSDI
A Cuneo, il PSLI - Partito Socialista dei Lavoratori Italiani - fu fondato il
10 gennaio 1947, contemporaneamente al congresso di Palazzo Barberini in Roma.
Il congresso dello PSIUP di Cuneo aveva delegato al congresso nazionale l'On
Domenico Chiaramello, per la mozione di Critica sociale. Primo Silvestrini per
quella facente capo all'On. Menni, Chiaffredo Belliardi e Raviola di Savigliano
per la mozione locale, Mario Pecollo per Iniziativa socialista (Matteotti, Zagari,
Vassalli, ecc). Di questi delegati Chiaramello e Pecollo aderirono subito al
PSLI, mentre Belliardi vi aderiìdopo circa un mese; Raviola e Silvestrini
restarono nel PSI.
Segretario politico della Fed. PSLI fu nominato l'avv. Spartaco Beltrand, vice
segretario l'avv. Martorelli, segretario organizzativo Mario Pecollo.
In seguito a nuove adesioni, fu costituito un nuovo Comitato Direttivo e, a
seguito delle dimissioni dell'incarico provvisorio dell'avv Bettrand, per ragioni
di lavoro, il nuovo segretario politico venne indicato nel geom. Chiaffredo
Belliardi allora Presidente della Provincia, mentre Pecollo assumeva l'incarico
di vice segretario, mantenendo l'organizzazione.
Il congresso del gennaio 1948 indicava anche le candidature politiche, oltre
che nominare gli organi statuari.
Quando queste diventavano operanti per le prossime elezioni politiche del 18
aprile 1948, Belliardi lasciava temporaneamente la segreteria assunta, in forma
provvisoria, da Mario Pecollo, riconfermato dopo le elezioni. Queste segnarono
un successo per le liste di "Unità socialista", specie al Nord
ed in particolare a Cuneo e provincia, ove ottennero con circa quarantaquattromila
voti, oltre il 12%. Risultarono eletti senatore l'avv Spartaco Beltrand e deputati
gli On.li geom. Chiaffredo Belliari di Dronero e il dott. Domenico Chiaramello
originario di Savigliano, in questa città già eletto consigliere
provinciale prima del fascismo.
Il PSLI si consolidò organizzativamente con 112 sezioni e 39 nuclei,
per un totale di iscritti di 2.340 circa entro il settembre dello stesso anno.
Anche in provincia di Cuneo, si costituì alla fine del 1949 • inizi
1950 - il PSLI -Partito Socialista Unitario • su iniziativa dei cosiddetti
"Romitiani" usciti dal PSI (Giraudo di Cuneo, Raviola di Savigliano,
Dotta di Ceva, Di Paola di Cuneo, Renaudo dì Saluzzo, Mondini di Mondovì,
ecc con il loro seguito): PSU a cui diede vita il sen. Giuseppe Romita e la
sua corrente. A questo partito aderirono pure esponenti del PSLI in campo nazionale
come Matteotti e in campo provinciale l'On. Belliardi. La riunificazione dei
due partiti avvenne agli inizi del 1951, prima delle elezioni amministrative
dello stesso anno. Il nuovo partito assunse prima la denominazione dì
Partito Socialista Sezione italiana dell'Internazionale Socialista, PS-SIIS
e in seguito quella definitiva di PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano.
Il risultato elettorale fu lusinghiero a Cuneo città e in provincia -
oltre trentottomila voti - con eletti a Cuneo sei consiglieri e due consiglieri
provinciali (per le elezioni provinciali vigeva una legge particolare, per cui
nei venti collegi in cui era divisa la provincia la Democrazia Cristiana ne
conquistò 19; il ventesimo, quello di Togliatti toccò al Geom.
Tarico, liberale e amico del Presidente Einaudi.
Per accordi preelettorali, in provincia si costituì una giunta DC - PSDI
(a questo partito toccarono il vice presidente, ing. Gino Rossi e un assessore
l'avv Giuseppe Fantini), come al Comune di Cuneo (20 DC + 6 PSDl) con vice sindaco
e due assessori al PSDl. In totale, in provincia, il PSDl ebbe eletti trentun
sindaci e oltre ottocento consiglieri comunali.
Le elezioni politiche del 1953 videro eletti due deputati. L'On. G. Romita e
l'On. Chiarameilo, con primo non eletto Mario Pecollo (questi all'inizio del
1958 diventò deputato alla morte di Romita, ma, pochi mesi dopo, il Presidente
Gronchi sciolse la Camera dei Deputati per equipararla al Senato)
Nel 1956 si ebbero le elezioni amministrative e il PSDI confermò i due
consiglieri provinciali nelle persone del dott. Giacinto Rovella di S Michele
di Mondovì e geom. Bernardo Fino di Cortemilia; a Cuneo città
quattro consiglieri, mentre la DC conseguiva 22 consiglieri, costituendo così
monocolori alla Provincia e a Cuneo, come nei maggiori centri della provincia.
Nei comuni minori sempre buono il risultato elettorale del PSDl, presente con
liste proprie o in coalizione con PSI - PCI.
Elezioni politiche 1958: un solo deputato con un grosso resto (l'On. Pier Luigi
Romita, figlio del defunto On. Giuseppe): da queste eiezioni Cuneo non ebbe
più deputati
Elezioni amministrative del 1960: buon risultato a Cuneo città che vedeva
primo eletto Mano Pecollo (sempre segretario politico della Federazione) con
la riconferma di Nello Streri. Armando Palagi e Giovanni Silvia
Alla Provincia eletti Bernardo Fino e Mario Pecollo.
Negli anni precedenti il PSDI era stato molto attivo sul piano amministrativo
e, con un Ministro di Lavori Pubblici Giuseppe Romita, era stata iniziata la
costruzione del nuovo Ospedale di Cuneo; sempre a Cuneo era pure iniziato il
risanamento del centro storico con costruzione di Piazza Boves, mentre le vecchie
e fatiscenti case della zona venivano sostituite con il 1 ° lotto di "Case
mìnime" in Corso Gramsci.
Iniziavano il finanziamento e la costruzione della strada di Fondovalle Tanaro
Ceva-Bra con fondi per le aree depresse
Veniva costituito il Consorzio tra comuni per la costruzione del grande acquedotto
delle Langhe e Alpi Cuneesi, ottenendo il primo finanziamento dallo Stato alla
fine del 1958 (800 milioni - altro successivo di 500 milioni). Per iniziativa
di Mario Pecollo e Bernardo Fino, verso la fine del 1960, grazie ad un accordo
DC-PSDI, l'Amministrazione Provinciale entrava nel Consorzio e nominava i suoi
rappresentanti: da quel momento il Consorzio ebbe sede nel Palazzo della Provincia
e l'acquedotto fu realizzato nella sua prima parte: acqua per caduta a 87 comuni,
serviti con oltre quattrocento chilometri di condutture. La seconda parte dell'opera
va avanti con la captazione delle acque del Tenda e della Valle Vermenagna;
la nuova conduttura ha praticamente raggiunto Beinette e entro qualche mese
avranno l'acqua Limone Piemonte, Vernante, Robilante, Roccavione, Boves, Pevaragno,
Pianfei.
Nel partito a fine anni '50 si ebbe una scissione che toccò anche la
provincia di Cuneo: uscirono l'On. Belliardi, l'avv Vineis ed altri che poi
confluirono nel PSI
Alla fine del 1962, vi fu un cambio di dirigenza nel PSDl: nuovo segretario
politico della Federazione fu eletto il dott. Armando Palagi.
Le elezioni del 1963 segnarono una flessione per il PSDl, tranne che nel monregalese-cebano:
infatti fu eletto Senatore nel collegio di Mondovl-Fossano-Ceva il dott. Giacinto
Rovella. L'On. PL Romita continuò ad essere l'unico deputato della Circoscrizione
con un resto di quoziente ridotto al minimo.
Nel 1965 elezioni amministrative con un buon risultato per Cuneo (5 consiglieri)
e Provìncia (tre consiglieri).
Nel 1966 unificazione con il PSI ed elezioni politiche nel 1968 a partiti unificati.
Eletti parlamentari Deputati: Romita, Giolitti. Abbiamo Senatori: Burzio, Cipellini
nel collegio Piemonte Sud. Nel 1969 nuova scissione: PSI e PSLI, il primo con
segretario l'On. Mancini, il secondo con l'On. Ferri. Anche a Cuneo si ricostituirono
i due partiti: il PSDI con una segreteria plurima: Bonardi, Benatti, Franco,
Palagi e Pecollo.
Elezioni amministrative nel 1970 regionali, provinciali e comunali. Risultato
discreto ma non esaltante in provincia di Cuneo, che non ebbe eletto il consigliere
regionale: due consiglieri Provinciali, Altare di Dogliani e Mauro a Dronero
Tre consiglieri eletti a Cuneo (Pecollo ed altri non si candidarono più)
Streri, Mellano e Burdese
Gli ultimi due uscirono poi dal partito.
Congresso del 71 : già in precedenza Palagi si era dimesso dopo le elezioni
amministrative ed era stato sostituito da Mimmo Bonardi con grosso successo
personale di Mario Pecollo, risultato il primo eletto nel Comitato direttivo
nel 71. Ancora segretario Bonardi, poi sostituito da Ugo Cerrato pure di Alba
(Bonardi era stalo eletto segretario Regionale).
Dimissionario Cerrato nel 1990, fu eletto segretario Piero Franco di Ceva Presidente
dell'IACP.
Nessun consigliere regionale eletto nel 1975 e 1990.
Sempre solo Romita Deputato nel 1972/1976/1979/1983/1987 con costante diminuzione
di voti.
Buoni risultati alle amministrative di Cuneo: tre consiglieri nei 1975. quattro
nel e ancora quattro nel 1985, ottenuti per l'azione dell'assessore Nello Streri
e del gruppo consiliare.
Dopo il congresso del dicembre 1986, venne eletto segretario politico della
Federazione l'avv. Maurilio Fratino di Alba e presidente del Comitato Direttivo,
proclamato dal congresso, Mario Pecollo.
La Federazione PSDI non ebbe eletto alcun consigliere regionale alle elezioni
amministrative del 1985; due consiglieri provinciali eletti: Mauro - assessore
ed Altare, confermati dopo le elezioni del 1980.
Presunzione: vecchio vizio dei
nostri politici
In "La Masca" 4 febbraio 1988
Ho letto con ironia divertita su un settimanale cuneese le relazioni trionfatistiche
di due anni e mezzo di amministrazione provinciale e comunale nel settore delle
opere pubbliche.
Ironia divertita, dicevo, perché si tratta per lo più di buoni
propositi o nel migliore dei casi di opere già in programma da anni e,
in qualche caso, di completamenti. Sono questi, comunque, argomenti su cui si
potrà tornare.
Ora vorrei, piuttosto, richiamare l'attenzione dei lettori sui grandi problemi
della provincia granda rimasti insoluti negli ultimi trentanni per mancata volontà
politica, se non in qualche caso per presunzione.
A) Fiume Tanaro - da oltre ottantanni esiste un consorzio per la regolamentazione
e lo sfruttamento delle acque del fiume Tanaro. Nel dopo guerra 1945 - 46 l'idea
riprese rinnovato vigore e venne costituito un consorzio a cinque (tra le Province
di Cuneo, Asti, Alessandria, Imperia e Savona), con sede e presidenza a Cuneo
presso l'Amministrazione Provinciale. I presidenti e i consigli di Amministrazione,
a ogni tornata elettorale, erano rinnovati; i tecnici, chiamati a collaborare
pure, ma studi e progetti rimasero sempre nei cassetti. Furono spesi centinaia
di milioni in prebende, gettoni, rimborsi spese e in studi buttati al vento,
come la clamorosa offerta di finanziamento - circa dieci miliardi di lire anni
sessanta della Liguria per realizzare la prima opera con la centrale elettrica
di Mendatico (Imperia) e conseguente irrigazione della Piana di Albenga e limitrofe.
Ciò avrebbe significato la prima entrata certa per il consorzio con l'energia
elettrica già acquistata sulla carta dalle ferrovie italiane con prefinanziamento
e ricavato della vendita a prezzo remunerarlo ai liguri. Ma spuntò la
prima presunzione politica: "Faremo noi con i nostri soldi" e il Tanaro
con la sua ricchezza non sfruttata, scorre più o meno tranquillo verso
il Po.
B) Grande Viabilità 1) Traforo del Ciriegia o del Mercantour;
ancora anni sessanta, offerta della Si.Tra.Ci - Società Emanazione Fiat
- per la realizzazione dell'opera, ma nuovo disco rosso "lo faremo noi,
chiamando a raccolta gli enti pubblici e le loro risorse” si proclamò
dalla provincia. Né venne accolta la proposta ragionevole "si costituisca
la società di enti pubblici, ma per la cogestione dell'opera con i privati,
a difesa dell'utente: tanto dovrà sempre essere un privato a fare i lavori".
Ancora la presunzione politica dell'amministrazione monocolore, con la collaborazione
di parte dell'opposizione - sempre contrari socialdemocratici e liberali -.
entrata così nel consiglio d'Amministrazione della società tra
provincia, comune di Cuneo, Camera di C.I.A.S. e altri Enti Pubblici costituita
per realizzare l'opera. Il tutto si tradusse con la spesa inutile di circa un
miliardo per fare il "Buco" iniziale, diventato una delle barzellette
Cuneesi.
2) Allacciamento autostradale. La maggioranza bianca al comune
di Cuneo degli anni 60-65 si rifiutò di richiedere alla società
autostradale Torino-Savona" una bretella ed un apposito casello terminale,
come suggeriva una parte della minoranza che già aveva operato sondaggi
al riguardo
Così Cuneo e la Provincia persero due grandi occasioni "Gratuite,
per risolvere due problemi di grande viabilità".
C) Inquinamento - Negli anni 55-60 l'inquinamento della Valle Bormida
era già cosa fatta allora dalla Montecatini, poi Montedison. Marce, convegni,
proteste delle Amministrazioni comunali e delle popolazioni non trovarono eco
negli organismi provinciali; non si mossero né la prefettura, né
la provincia. E dire che, a quei tempi, il problema era più facilmente
risolvibile, considerando la possìbile riconversione della produzione
al momento della ristrutturazione degli impianti, attuata proprio negli anni
seguenti.
Mi pare che basti per rinfrescare la memona di qualcuno.
PSDI - Per una cronologia sintetica. 1976/1991
28 febbraio 1976 - Cuneo - Teatro
TOSELLI
La mozione "Sinistra Democratica" presentata da Romita ottiene la
maggioranza assoluta.
Con tale documento il PSDI Cuneese si apre al dialogo con ì partiti della
sinistra ipotizzando la formazione di una area socialista (PSI-PSDI).
Vivacissimo il dibattito conseguente alla novità della posizione Romitiana
ed alla presenza di una mozione locale presentata da Pecollo
Principali esponenti a sostegno della posizione di Romita: Cerrato, Streri,
Benatti, Franco, Viglietta, Romeo.
Attiva la componente giovanile guidata da Beppe Tassone.
Iscritti: n° 1926.
Segretario: Cerrato Ugo.
Vice Segretario: Benatti Carlo.
16 dicembre 1979 - Cuneo - Sala
Contrattazioni
La mozione "Sinistra Democratica" ottiene l'unanimità.
Di rilievo l'apertura al Partito Comunista che ha avviato un serio processo
interno di revisione.
Iscritti: n° 1920.
Delegati al Congresso Nazionale: Cerrato, Streri, Berardo, Viglietta, Franco,
Guarino, Vadda Silvana, Arnorfo, Segretario a partire dal 1980: Piero Franco.
14 marzo 1982 - Cuneo - Sala PROVINCIA
La mozione "Sinistra Democratica" ottiene l'unanimità.
Nella mozione si evidenzia per la prima volta la proposta di un'alleanza alternativa
all'egemonia della DC attraverso la formazione di un polo di aggregazione Socialista
Democratico.
Iscritti: n° 1888.
Delegati al Congresso Nazionale:
Piero Franco, Streri. Pecollo, Asselle, Cerrato, Arnolfo, Viglietta, Tassone
Beppe, Ferrato
Segretario: Piero Franco.
14 APRILE 1984 - Borgo San Dalmazzo
- Salone ex Protette
Il congresso é conflittuale.
Si delinea la contestazione alla leadership di Romita basata sui seguenti motivi:
- la confluenza della corrente "Sinistra Democratica" con quella del
Segretario Longo;
mancanza di una politica di rinnovamento nei quadri Dirigenti del Partito;
formazione di una corrente Nicolazzi.
La votazione sui documenti rimane peraltro unitaria, ma tra i delegati al Congresso
Nazionale ne vengono eletti due, ufficialmente schieratisi con "Iniziativa
Socialista" di Nicotazzi.
Delegati al Congresso Nazionale: Cerrato, Franco, Fratino, Pecollo, Streri,
Viglietta, - Mauro e Barbano (con Nizolazzi).
Si ferma la corrente nicolazziana guidata da Mauro Ermanno.
Iscritti: n° 1888.
Segretario: Franco.
14 dicembre 1986 • Saluzzo
- Sala d'arte
La fronda contro Romita si manifesta apertamente, ma le affinità tra
i documenti congressuali presentati da Romita e Nicolazzi non consentono che
si formi una opposizione organizzata.
Il congresso approva all'unanimità un documento locale nel quale pur
esprimendo consenso unanime alla mozione Romitiana denominata "Prospettiva
Socialista Democratica" elegge i delegati al Congresso Nazionale con spirito
unitario e da loro mandato di operare affinchè in sede nazionale abbia
termine il contrasto delle correnti.
Iscritti: n° 1155
Delegati al Congresso Nazionale:Franco, Streri, Fratino, Cerrato, Mauro, Pecollo,
Neberti.
Segretario Provinciale: Fratino (legato a Romita).
Vice Segretario: Benatti Carlo
26 febbraio 1989 - Centallo - Frazione
Roata Chiusani
II congresso sancisce la scissione Romitiana (U.D.S.) ma dimostra la permanenza
nel partito del 60% degli aderenti. Escono Cerrato, Franco, Fratino.
Confermano l'adesione al PSDI tutti i consiglieri provinciali e i consiglieri
comunali di Cuneo, di Dronero. Bra. Fossano. Savigliano. Saluzzo e di molti
Comuni del Cuneese. della pianura, delle Langhe.
Iscritti: n° 1.100.
Delegati al Congresso Nazionale: Del Prete Cristiana, Garnero, Marchetti, Massa,
Pecollo, Testone, Tropea, Vicario.
Segretario Provinciale Carlo Bennati.
Vice Segretari: Mauro - Streri.
1990 Congresso di programma
Si propone una legge speciale per la provincia di Cuneo chiedendo il riparto
dei trasferimenti dello Stato di Comuni
1991 Convegno organizzativo
Semplice verifica organizzativa.
Il PSDI è nella Giunta Provinciale e nei Comuni di Alba, Cuneo, Saluzzo,
Fossano. Ha Sindaci in alcuni piccoli centri.
Ancora nel 1992, il partito ha più di 400 tesserati.
E' retto da un direttivo di 21 componenti, un esecutivo di 11 e una segreteria
di 3 (Benatti, Mauro, Streri).
Carlo
Giordano - LO SCIOPERO DEI PUMET
Dronero. Primavera 1954
GLI ANNI DEL CENTRISMO
La scena politica italiana della prima metà degli Anni Cinquanta fu caratterizzata
da una formula di governo in riferimento alla quale è stato coniato anche
un apposito vocabolo entrato poi a far parte del linguaggio corrente con tanto
di segnalazione sui dizionari: "il centrismo". Si tratta di una definizione
che sta ad indicare l'alleanza tra i quattro partiti allora posizionati nell'area
di centro dello schieramento delle forze costituzionali (Democrazia Cristiana,
Partito Socialista Democratico, Partito Repubblicano e Partito Liberale). La
formula del centrismo era nata in seguito alle elezioni del 18 aprite del 1948,
che avevano decretato il definitivo allontanamento delle sinistre, socialisti
e comunisti, dal governo del paese. Le infuocate consultazioni dell'aprile '48
avevano sancito, nella provincia di Cuneo, il trionfo della Democrazia Cristiana
come partito di maggioranza assoluta. Anche a Dronero, capoluogo della Valle
Maira, i suffragi della DC erano risultati nettamente superiori a quelli racimolali
dal Fronte Democratico Popolare, rispettivamente 2.625 e 432. (1).
Alla bruciante sconfitta elettorale le forze di sinistra, in modo particolare
il Partito Comunista, reagirono con una sorta di "arroccamento", organizzativo
e ideologico, obiettivo rafforzare i collegamenti con la base operaia, attraverso
l'attivazione delle commissioni interne e nel contempo rafforzare i contatti
con i lavoratori del comparto agricolo. La linea dell'irrigidimento e dell'intransigenza
era stata ulteriormente rafforzata con l'attentato a Togliatti del 14 luglio
1948. Per i comunisti il sindacato tornava ad essere la cinghia di trasmissione
per il collegamento masse-partito. I venti della "Guerra Fredda" ghiacciarono
ben presto anche i rapporti tra le varie componenti sindacali. Sempre nel luglio
del 1948, nel corso delle elezioni camerali provinciali, la corrente democristiana
e i saragattiani decisero, per protestare contro l'egemonia comunista sulla
CGIL, il parziale ritiro delle proprie liste dalla consultazione. Nonostante
le polemiche le elezioni si tennero però ugualmente, le urne decretarono
nel Cuneese (tra cui anche la zona di Dronero) il rafforzamento della componente
comunista. (2)
Lo scontro all'interno della CGIL era quindi ormai insanabile anche nella "Granda".
Il 30 luglio 1948 "L'Unità" riportava la notizia che il democristiano
Carlo Novara aveva chiesto alla magistratura il congelamento dei fondi liquidi
della Camera del Lavoro provinciale di Cuneo. Nelle stesse settimane a livello
nazionale si consumava lo strappo che avrebbe dovuto portare di lì a
poco (settembre '48 e giugno 49) alle scissioni sindacali e alla costituzione
della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (di area cattolica) e all'Unione
Italiana del Lavoro (di area socialdemocratica e repubblicana).
Allora la provincia di Cuneo si trovava ad affrontare una situazione non rosea
dal punto di vista economico. Per quanto riguarda l'emergenza lavoro, nel dicembre
del 1948 la federazione provinciale del PCI denunciava la presenza nella "Granda"
di circa 21 mila disoccupati. (3)
Nello stesso periodo a livello nazionale i senza lavoro erano 2.142.474, su
una popolazione di 46 milioni di abitanti (4)
Erano i primi effetti della svolta economica deflazionistica, sostenuta con
vigore dal ministro delle Finanze, Giuseppe Pella, che, proprio grazie al massiccio
aumento della disoccupazione, puntava al contenimento dei salari. Alle questioni
economiche di carattere intemo si aggiunsero ben presto anche spinte di condizionamento
politico provenienti dall'estero: gli schemi della divisione imposti dalla "guerra
fredda" si andavano consolidando a livello internazionale coinvolgendo
tutte le nazioni europee, Italia in primo luogo, per la sua posizione strategica
all'interno del Mediterraneo. All'ipotesi di costituire un patto militare-economico
delle nazioni atlantiche in funzione anti-sovietica i partiti di sinistra risposero
innescando un grande movimento pacifista di massa Allineandosi alle direttive
delle segreterie nazionali, a partire dall'ottobre 48, anche le forze di sinistra
cuneesi si impegnarono nella campagna per la pace, contro l'adesione dell'Italia
alla NATO.
L'opera di sostegno al "Movimento Partigiani della Pace" portò
a intensificare, pure a livello provinciale, la diffusione della stampa alternativa.
In occasione della giornata dello strillonaggio, indetta per la domenica 20
febbraio 1949, a Dronero le vendite de "L'Unità" avevano fatto
registrare un aumento del 60 per cento. La notizia fu riportata tre giorni dopo
dal quotidiano del PCI, senza però precisare quante copie erano state
vendute.
Dronero contava allora una popolazione di oltre 6 mila abitanti (il censimento
del ne accerterà 6.615, 122 in più rispetto al 1936). I 12 Comuni
a monte stavano invece attraversando allora, come le altre località dell'arco
alpino cuneese, una fase di spopolamento (paradossalmente solo Canosio registrava
un saldo positivo di 76 unita rispetto al censimento del 1936. Nell'arco di
15 anni il numero di abitanti del piccolo centro era infatti salito da 194 a
270 unità. Sempre nell'arco di 15 anni (1936 - 1951) l'intera Valle Maira
aveva complessivamente perso 1715 abitanti. (5)
I dati dimostrano dunque che Dronero non era riuscita (e non riuscirà
in futuro), con le sue attività industriali, artigianali e commerciali,
a impedire ta fuoriuscita dalla Valle Maira di un grande flusso di manodopera
destinato con il passare degli anni ad ingrossarsi in termini esponenziali.
Nonostante questo Dronero manteneva, rispetto a Caraglio e Busca, la valenza
di polo industriale della zona. Il Dronerese poteva allora vantare una serie
di importanti stabilimenti che operavano nei diversi comparti produttivi, dalla
lavorazione del legno, alla fabbricazione di laterizi, dal settore tessile.
al metalmeccanico. Non è dunque azzardato parlare dell'esistenza di un
movimento operaio dronerese organizzato, i cui quadri avevano partecipato attivamente
alla lotta di Resistenza e che aveva la sua roccaforte e all'interno delle “Fabbriche
Riunite Falci", azienda, con oltre 200 addetti, costituita nel 1920 (in
seguito all'associazione di diverse fucine artigianali che operavano nella bassa
Valle Maira) e specializzata nella produzione di piccoli attrezzi per l'agricoltura:
falci e falciole. La società a nome collettivo ha sede in viale Stazione,
allora zona periferica della città, lungo la strada nazionale per Cuneo.
Una delle tante prove sull'organizzazione del locale movimento operaio è
la notizia riportata su "L'Unità" del 13 dicembre 1950, secondo
la quale anche i lavoratori delle industrie droneresi erano stati invitati (il
16 dicembre) ad uno sciopero di un'ora proclamato in solidarietà con
i dipendenti delta SNOS di Savigliano che rischiavano il licenziamento. Mobilitazione
pienamente riuscita. (6) Era attiva in
città, anche se dal punto di vista elettorale i risultati restavano limitati,
una sezione del Partito Comunista: la sede era in via Torino, una sorta di locale-ritrovo
con tanto di biblioteca, saletta per le discussioni politiche, sala da ballo,
che i droneresi chiamavano "La Tampa". La sezione aveva tra ì
suoi principali esponenti ex partigiani come: il meccanico Mario Scaglione,
primo sindaco del Dopoguerra; il maestro Nini Acchiardi; il fotografo, Mario
Giolitto; l'operaio delle "Falci" Mario Castellano. Nel 1951, alle
elezioni per l'assemblea provinciale, l'Unione Democratica, lista di ispirazione
frontista contraddistinta dalia scritta "Libertà, Pace e Lavoro",
aveva candidato nel collegio Dronero-Busca, proprio Mario Scaglione, nome di
spicco dell'antifascismo locale. (7) Nella
primavera 1953 anche la provincia di Cuneo venne interessata dalle mobilitazioni
contro la legge Truffa* Un provvedimento legislativo, ideato dai partiti di
centro per isolare ulteriormente le forze di sinistra, che introduceva una drastica
riforma elettorale su base maggioritaria, secondo la quale se un gruppo di forze
politiche "apparentate" avesse superato la soglia del 50,01 per cento
dei voti, avrebbe automaticamente ottenuto come premio di maggioranza il 65
per cento dei seggi alla Camera dei deputati.
Pure gli operai della bassa Valle Maira presero posizione contro la "Legge
Truffa", lanciando un appello, l'11 gennaio 1953, agli onorevoli Antonio
Giolitti, Bima e Chiaffredo Belliardi, nel quale si richiamavano i nobili principi
di uguaglianza, libertà e giustizia: "Gli iscritti della Camera
del Lavoro di Dronero si permettono di rivolgersi a lei onorevole deputato,
affinchè impedisca, con il suo voto l'approvazione della legge elettorale
che vorrebbe porre distinzione di valore tra i voti dei vari cittadini italiani,
tutti uguali di fronte alla Costituzione della Repubblica. I lavoratori droneresi,
come i lavoratori di tutta Italia, parte attiva della nazione, al cui benessere
contribuiscono con la loro diuturna fatica, desiderano che i principi di libertà,
di uguaglianza e di giustizia, conquistati con la lotta di Liberazione, durante
la quale la classe operaia italiana ha dato prove di fermezza e di valore, siano
rispettati e mantenuti perché solo così potranno essere garantiti
la pace, la libertà e il lavoro". Il comunicato era firmato da Giuseppe
Gay, membro della Commissione esecutiva della Camera del Lavoro. (8)
Il 25 gennaio su "La Voce", settimanale della sinistra cuneese, veniva
pubblicato anche un appello agli onorevoli Chiaffredo Belliardi e Antonio Giolitti,
con data 12 gennaio 1953, a firma però delle maestranze delle "Falci":
"I sottofirmatari operai delle FRF di Dronero seguono ogni giorno con attenzione
vivissima, le discussioni che in Parlamento avvengono sulla legge elettorale
truffaldina, che il Governo vorrebbe far approvare, ravvisando in essa non solo
un attentato alla libertà ed all'uguaglianza di ogni singolo elettore,
ma il tentativo di avere, artificiosamente, una maggioranza che consenta in
seguito l'approvazione di leggi antisindacali" (9).
Anche a Dronero, come in altri importanti centri della provincia si tennero
dibattiti e comizi contro il premio di maggioranza. La CGIL proclamò
uno sciopero nazionale contro la "legge truffa" il 19 gennaio 1953.
(10)
A livello provinciale la campagna elettorale fu caratterizzata da un comizio,
in piazza Galimberti a Cuneo, del segretano nazionale del PCI, Palmiro Togliatti
(11). Per soli 57 mila voti DC, PSDI,
PRI e PLl, non riuscirono ad ottenere il premio di maggioranza. Se in ambito
nazionale la DC accusò una netta flessione passando dal 48.5 al 40.1
per cento, in provincia di Cuneo lo scudo crociato riuscì a raccogliere
il 50,05 per cento delle preferenze. A Dronero il Partito Comunista ottenne
438 voti, mentre il PSI 357 (complessivamente 363 voti in più rispetto
ai suffragi raccolti dal Fronte Popolare nel 1948) La Democrazia Cristiana ottenne
nel capoluogo della Valle Maira 2.166 preferenze (12)
Settimane di attività e di soddisfazione anche per quanto riguarda la
sezione dronerese del PCI, nell'estate '53 il maestro Nini Acchiardi partecipò,
infatti, con una delegazione cuneese, al IV festival mondiale della gioventù
di Bucarest. Un resoconto sul viaggio e alcune riflessioni sulla manifestazione
vennero pubblicate sul settimanale "La Voce". (13)
II 30 agosto '53 "La Voce" riportava inoltre la notizia che nel corso
della festa dronerese per la stampa democratica, organizzata in viale Stazione,
due stand espostivi erano stati riservati alle "Fabbriche Riunite Falci"
e al “Tappetificio Roascio".
LA MOBILITAZIONE
Nonostante il mancato raggiungimento del quorum necessario per far scattare
il premio di maggioranza previsto dalla "legge truffa" e la fine della
leadership di De Gasperi, alle elezioni politiche del '53 seguirono ben due
governi monocolori DC. Nel contempo andò crescendo la conflittualità
nelle fabbriche anche perché ai progressi economici che iniziavano a
registrarsi nel paese non corrispondeva un'adeguata crescita dei salari
A pagina 401, del capitolo “anni dell'industrializzazione 1951-1952",
de "La Storia D'Italia", Einaudi, viene riportata a proposito questa
analisi: "II reddito pro capite stava superando i livelli d'anteguerra,
tuttavia non era molto lontano dal limrte superiore del reddito individuale
calcolato dall'Onu nei paesi sottosviluppati.. Il movimento ascendente dell'economia
italiana raggiunse invece proprio dopo il 1953 alti livelli espansivi e risultò
comunque più agevole e spedito che in qualsiasi altro periodo storico"
II quadro viene ulteriormente chiarito alte pagine 407 e 408: "In termini
reali, gli indici dei salari rimasero pressoché stazionari fra il 1950
e il 1954 e ancora fra il 1956 e il 1961, mentre la conflittualità nelle
fabbriche fu un elemento marginale della vita economica, tale da non turbare
affatto ì meccanismi di accumulazione del sistema.. Di fatto secondo
i calcoli della Banca d'Italia, ad un aumento dei salari pari, fra il 1953 e
il 1961, ad appena il 46,9% corrispose una crescita media della produttività
dell'84%, ma nelle industrie più moderne meccanica e chimica le sperequazioni
furono ancora più accentuate"
Secondo Sergio Turone: "II guadagno medio mensile dell'operaio (calcolato
dividendo il monte-salari per il numero dei lavoratori occupati), veniva indicato
nel 1951 dal ministro del Lavoro in 26.790 lire, mentre il costo della vita
per famiglia tipo oscillava sulle 50.000 lire al mese". (14)
Anche l'economia provinciale iniziava a dare segni di ripresa un dato significativo
viene offerto dagli indici di consumo dell'energia elettrica. Un'indagine della
Camera di Commercio che poneva come base di riferimento del consumo 1951-52
= 100, per il biennio 1954-55 l'indice saliva a 102,2. Sempre secondo la stessa
indagine il costo della vita, nel capoluogo provinciale (con base 1938 = 1),
era lievitato nel 1952 a 49,59. Gii aumenti maggiori si erano registrati nei
settori dell'ablazione, dell'alimentazione, elettricità, combustibili
e abbigliamento. (15)
Messe da parte le aspre polemiche pre-elettorali sulla "legge truffa",
polemiche che avevano diviso anche le confederazioni sindacali, nella seconda
metà del 1953 si riaccesero le lotte operaie a sostegno della vertenza
che prevedeva aumenti salariali e nel contempo il conglobamento nella paga base
del'assegno di carovita e di altre indennità minori. Le forze sindacali,
com'era naturale per quegli anni caratterizzati dalla logica della "guerra
fredda", sì presentarono però ancora divise all'appuntamento.
La UIL infatti rivendicava l'aumento del 10% del salario base mentre per la
CISL gli aumenti dovevano essere differenziati secondo il livello di produttività
dell'azienda. La CGIL invece inizialmente avanzò una richiesta d'aumento
del 20 per cento poi ridotta al 15%. (16)
Nell'autunno del 1953 scattarono gli scioperi generali. La prima fermata fu
indetta il 24 settembre, la seconda tre mesi dopo, il 15 dicembre. A quest'ultimo
sciopero di 24 ore. proclamato dalla CGIL e CISL aderirono il 100% degli operai
delle "Falci", degli stabilimenti di laterizi e delle fornaci della
bassa Valle Maira (17) Di fronte alla
intransigenza della Confindustria, disposta a conglobare nella busta paga le
diverse indennità retrìbutive senza però concedere aumenti
salariali, la CGIL abbandonò il tavolo delle trattative. (18)
LO SCIOPERO DEI "PUMET”
La vertenza del conglobamento entrò nel vivo nel gennaio del 1954.I sindacati,
dopo una riunione a Milano, proposero di intensificare la lotta nel triangolo
industriale del Nord-Est (Milano-Torino-Genova). Per l'occasione la Camera del
Lavoro di Cuneo inviò un messaggio di solidarietà ai compagni
di Milano: "Noi sappiamo quindi di essere nel giusto se affermiamo che
tutti i lavoratori dell'industria della Provincia di Cuneo risponderanno in
modo unitario e con entusiasmo alla lotta qualora venissero chiamati, così
come già hanno risposto negli scioperi generali del 24 settembre e del
15 dicembre....Dalla riunione di Milano è partito un appello a tutti
i lavoratori nel quale si pone l'accento sul carattere nazionale che assumono
le lotte dei lavoratori del triangolo industriale e sulla necessità di
rafforzare e consolidare l'unità di tutti i lavoratori per raggiungere
in tutto il paese un tenore di vita migliore per tutta la popolazione. I lavoratori
delle tre regioni riassumono quindi un ruolo di importanza nazionale. Da troppo
tempo ormai i problemi relativi al conglobamento dei salari, alla perequazione
delle contingenze, all'avvicinamento delle paghe femminili a quelle maschili
attendono una giusta soluzione con grave danno per l'economia di tutto il paese-
(19)
"II 17 febbraio iniziano nel Cuneese le lotte per piegare la resistenza
padronale" è il titolo de "La Voce" del 14 febbraio 1954.
"Senza essere degli specialisti in economia politica - si leggeva nell'articolo
-, è facile dimostrare che un lavoratore che guadagni 24.000 lire mensili
non può far fronte alle esigenze economiche della famiglia, calcolate
in 60 000 mensili (dati forniti dall'Ufficio di Statistica)". Il settimanale
della sinistra cuneese faceva poi un paragone sui profitti dei gruppi industriali:
nel 1952 la "Burgo" aveva avuto un utile netto di 3 miliardi, cifra
che corrispondeva all'incirca a mezzo milione di guadagno per ogni dipendente.
"Al successo di questa grandiosa lotta non sono solo interessati i lavoratori
- ribadiva il settimanale - ma da esso ne trarranno indubbiamente vantaggio
anche i commercianti e gli artigiani poiché guadagnando di più
i lavoratori potranno anche spendere di più, acquistare maggior quantitativi
di generi di abbigliamento, di alimentazione, ecc , quindi si avrà certamente
di riflesso un aumento del volume di affari". In conclusione un appello
alla mobilitazione: "Avanti dunque lavoratori della provincia di Cuneo:
difendiamo con la nostra lotta il diritto alla vita, rivendichiamo l'esigenza
dì vivere in condizioni più umane, di assicurare a noi e ai nostri
figli un avvenire migliore". (20)
La lotta ebbe dunque inizio il 17 febbraio 1954. Quattro gromi dopo. "La
Voce" uscì con un titolo trionfalistico "Sciopero compatto
a Garessio, Dronero e Verzuolo" Secondo la CGIL il 90% per cento degli
operai avevano aderito alla mobilitazione malgrado la CISL avesse organizzato
azioni dì crumiraggio. Alle "Falci" le astensioni dal lavoro
toccarono, sempre secondo fonti sindacali, il 100%. Lo sciopero riguardò
anche le autolinee "SATIP", i collegamenti Torino-Saluzzo-Cuneo furono
infatti interrotti dalle 5 alle 13.
Piero Panero, della CDL di Cuneo così descriveva la giornata di sciopero
nel capoluogo della Valle Maira "A Dronero i lavoratori usciti dallo stabilimento
alle 10, si sono portati in paese, in corteo, con dei cartelli i quali denunciavano
ai cittadini il perché del loro sciopero; una delegazione si recava in
Comune e la manifestazione si è conclusa con un grande comizio alla Camera
del Lavoro" (21) Da quanto risulta
dai giornali solo a Dronero le maestranze sfilarono in corteo fuori dagli stabilimenti.
Sui cartelli che gli operai delle "Falci" portarono alla manifestazione
campeggiava la scritta "Con 23.000 lire mensili non si può vivere".
Ovunque le Commissioni interne formularono la richiesta di un accordo (da concordarsi
con le direzioni aziendali) sui futuri miglioramenti stabiliti in sede nazionale.
Inoltre i sindacati ribadirono la necessità del rinnovo dei contratti
di lavoro dei tessili, ceramisti e chimici.
A Dronero nel corso della sfilata, come ha scritto Panero, una delegazione di
operai fu dunque ricevuta in municipio. Quasi una prassi per le manifestazioni
sindacali: la salita delle scale del palazzo comunale di Dronero da parte dei
rappresentanti della Commissione interna delle “Falci" assumeva però
un tono particolare, infatti, l'allora sindaco del capoluogo della Valle Maira,
Giovanni Battista Conte, era anche il proprietario dello stabilimento.
Le maestranze consegnarono alla Giunta un comunicato nel quale sì spiegavano
le quattro richieste avanzate alla direzione aziendale: "Aumento di 22
lire sulla indennità di mensa, in quanto la misera cifra attuale di 8
lire è appena sufficiente per l'acquisto di 1 Kg e mezzo di pasta al
mese; sia garantito a tutti un cottimo in quanto il sistema di produzione delle
Falci è a catena e quindi i lavoratori hanno una produzione controllata,
motivo per cui non possono essere considerati ad economia, ed hanno diritto
ad un minimo di cottimo: un'acconto sui futuri miglioramenti che verranno concordati
in sede nazionale a riguardo il problema del conglobamento e della contingenza:
il rispetto integrale delle leggi e dei contratti di lavoro". (22)
II comunicato si chiudeva con una serie di dati relativi al costo della vita
e alle ripercussioni negative sul locale tessuto economico: "La Commissione
interna a nome della maestranza ha formulato tali richieste, preoccupata della
situazione economica in cui essa vive. E' bene l'onorevole Giunta sappia che
attualmente un manovale percepisce lire 23 mila al mese, un operaio qualificato
lire 26.700, un operaio specializzato lire 30.400, mentre il costo della vita,
denunciato dall'istituto Centrale di Statistica per la nostra Provincia ammonta
a lire 60.000 per una famiglia tipo. E' chiaro che con questi salari non si
può tirare avanti e ne consegue che vengano ad essere colpiti commercianti,
artigiani, contadini di questa nostra città, in quanto i consumi riflettono
le misere paghe dei lavoratori. I lavoratori sono convinti che il loro datore
di lavoro può dare ma non vuole dare, ed è per questo che si rivolgono
all'onorevole Giunta, che essi sono disposti a continuare la loro lotta, perché
sanno di essere nel giusto, ma soprattutto sono convinti di fare l'interesse
dell'economia cittadina, perché una maggiore retribuzione consentirebbe
a loro un maggior consumo I lavoratori confidano nell'interessamento della onorevole
Giunta, mentre riaffermano che sono disposti a cessare l'azione in corso, qualora
il datore di lavoro voglia prendere in considerazione le loro giuste richieste".
(23) II documento portava le firme di
Panin, Campana, Beltramo, Micelatto. Lo stesso giorno, con protocollo 388, l'assessore
anziano del Comune di Dronero trasmetteva il comunicato presentato dagli esponenti
della Commissione interna alla direzione delle “Falci”. (24)
Pronta la replica dell'amministratore delegato dell'azienda, Giovanni Battista
Conte, nonché sindaco della città, che in una lettera indirizzata
alla Giunta comunale, specificava: "Questa direzione crede di fare presente
quanto segue: 1 ) che la mensa fino dai tempi della sua istituzione è
sempre stata corrisposta in natura, e la ditta non è tenuta a cambiare
il sistema dì corresponsione: 2) gli operai dipendenti lavorano parte
a cottimo, parte ad economia, e tutti ricevono quanto è fissato dai contratti
collettivi di lavoro: 3) la ditta corrisponde periodicamente (ad ogni 3 mesi
circa) dei regali che rappresentano, per ogni dipendente, da 5 a 7 mila lire,
oltre al pagamento dei normali salari e non ritiene conveniente il pagamento
di un acconto. Se fra le Confederazioni dei lavoratori e degli industriali interverranno
degli accordi, questa ditta li applicherà come ha sempre fatto; 4) la
Ditta afferma che le leggi e gli accordi sindacali sono completamente rispettati,
e non soltanto, ma la Ditta corrisponde dei regali oltre alte competenze che
sono dovute". (25)
Secondo Conte le cifre dichiarate dalla Commissione interna e inalberate sopra
i cartelli del corteo erano inesatte: "Un manovale specializzato, scapolo,
non guadagna lire 23.700 al mese, bensì un mensile medio di lire 27.304:
un manovale specializzato, con famiglia a carico (moglie e 2 figli), guadagna
una media mensile di 38 000, un operaio qualificato cottimista, con famiglia
a carico, guadagna in media lire 42.000 al mese (e non 26.700); un operaio specializzato,
con famiglia, guadagna una media mensile di lire 47 000 (e non 30400). In queste
cifre sono compresi i salari, il caropane, la mensa, le festività, le
ferie, la gratifica natalizia e gli anzidetti regali della ditta, che tiene
a disposizione i registri per ogni eventuale controllo. Siccome le inesatte
dichiarazioni della Commissione Interna, che per quanto ci risulta sono state
rese pubbliche, possono essere motivo di turbamento della pubblica tranquillità,
abbiamo ritenuto di dare suddetti chiarimenti perché le autorità
possano in ogni caso valutare i motivi delle agitazioni promosse". (26)
Alla replica della direzione aziendale la Commissione interna rispose con la
mobilitazione. Una seconda fermata venne proclamata ed eseguita il 20 febbraio.
Seguì un terzo sciopero, di un'ora e mezza, il 22 febbraio, durante la
quale gli operai sfilarono nuovamente fin davanti al palazzo Comunale per chiedere
l'interessamento della Giunta. Alla manifestazione intervenirono però
anche i carabinieri che, secondo "La Voce", invitarono i manifestanti
a non esporre i cartelli sui quali era scritto che con 23.000 lire al mese non
si poteva vivere. (27)
"Paghe da fame - riportava La Voce -, un manovale specializzato con 189
ore di lavoro ha percepito nel mese di gennaio lire 22.703, una donna di terza
categoria con 201 ore di lavoro ha percepito lire 19.700, un operaio qualificato
con 192 ore di lavoro ha percepito lire 25.413; un giovane con 206 ore normali
e 8 di straordinario ha percepito 11.718 lire. La ditta da durante l'anno un
premio pari a 200 ore di lavoro, le paghe però non superano la media
di 24 000 mensili. Non si chiede la luna, infatti da calcoli fatti gli operai
nel complesso chiedono che il loro padrone tiri fuori 800.000 in più
al mese" (28)
Significativo il confronto tra la girandola di cifre offerta dalla direzione
aziendale e Commissione interna e la tabella dei prezzi al minuto, relativa
al 1954, redatta dalla Camera di Commercio di Cuneo: pane confezionato con farina
tipo 0, forme da gr 130, 118,38 lire al Kg; pasta alimentare confezionata con
farina di grano duro di prima qualità. 164,25 al Kg; patate comuni, 41
al Kg; carne bovina (vitello) primo taglio senz'osso, 1.195 al Kg; carne suina,
916.9 al Kg; baccalà secco 282.40 al Kg; uova fresche, 31,65 al pezzo;
latte di mucca intero, al negozio, 70 al litro; lardo di prima qualità,
459.65 al Kg; olio di oliva fino 514.35 al litro; zucchero raffinato semolato
260 al Kg; caffè tostato "Santos", 2.273 al Kg; vino da pasto,
gradi 11, 107,35 al litro; scarpe basse per uomo, misura 42, 5,225 al paio;
sapone da bucato 177,15 al Kg. (29)
Sempre secondo la Camera di commercio di Cuneo al 30 giugno del 1954, un addetto
all'industria metalmeccanica con qualifica di aiutante percepiva un salario
minimo contrattuale giornaliero di 1.064 lire. (30)
Oltre che alle "Falci" di Dronero richieste di aumenti salariali e
di anticipi rispetto ai contratti di categoria in fase di discussione a livello
nazionale venivano avanzate anche in altri stabilimenti della provincia. All'inizio
del marzo 1954 giungeva la notizia che anche la direzione aziendale della "FOMB"
di Mondovì rifiutava concessioni ai sindacati, i quali promettevano che,
in vista di un accordo, si sarebbero impegnati a sospendere le agitazioni (31)
II 4 marzo 1954, con protocollo 496, l'assessore delegato del Comune di Dronero,
generale Carlo Lombardi, inviava alla Commissione interna delle "Falci"
copia della lettera che l'amministratore delegato Conte aveva inviato in municipio
come risposta al comunicato sindacale del 17 febbraio. (32)
L'agitazione delle maestranze proseguiva intanto ad oltranza. Alle 10.45, del
5 marzo 1954 la Questura di Cuneo, con un fonogramma, informava il sindaco di
Dronero che la Camera Confederale del Lavoro aveva avanzato la richiesta per
svolgere, domenica 7 marzo, alle 10, un comizio in piazza Martiri della Libertà,
oratore Piero Panero sul tema "azione lavoratori per aumenti salariali".
(33) La direzione delle "Falci"
arroccata su una posizione intransigente rifiutava ogni trattativa con la Commissione
intema. Il sindaco di Dronero e amministratore delegato dello stabilimento,
tentò allora di giocare la carta della divisione del fronte sindacale,
arrivando ad improvvisare un comizio agli operai. Obiettivo fallito secondo
"La Voce": "II signor Conte, proprietario dello stabilimento,
è sordo alle richieste dei suoi dipendenti, i quali, si noti bene, non
chiedono la suddivisione dei lauti profitti che ricava dall'attività.
Non avendo argomenti ha cominciato col fare un comizio ai lavoratori, nel corso
del quale ha tentato di dimostrare che i suoi dipendenti erano i meglio pagati
ed i più ben trattati (anche se, malgrado le prescrizioni dell'Ispettorato
del lavoro, non si è curato per niente di applicare gli aspiratori e
gli altri servizi igienici) (34)
Conte propose allora agli operai di sospendere la mobilitazione, in cambio l'azienda
avrebbe concesso 30 ore di premio all'anno (valore 10 lire di aumento al giorno).
L'offerta, che Conte aveva messo ai voti dell'assemblea dello stabilimento,
venne bocciata dalla Commissione interna. La vertenza, nonostante la dura contrapposizione
tra le parti, venne animata anche da una nota di colore destinata poi a contrassegnare
l'intera mobilitazione: durante un appello agli operai Conte, nel tentativo
di spiegare che le richieste della Commissione interna erano ingiustificate,
poiché anche la parte patronale stava attraversando tempi duri, essendo
i profitti degli industriali non così "elevati" come sostenevano
i giornali, invitò le maestranze a ridurre, come già faceva la
sua famiglia, le spese alimentari mangiando, anziché le mele grandi e
saporite, i "pumet" meno costosi e altrettanto nutrenti. (35)
Proprio in seguito a questo intervento di Conte la mobilitazione del 1954 alle
"Falci" prese il nome di "sciopero dei pumet”.
Il braccio di ferro tra Commissione interna e responsabili dello stabilimento
intanto proseguiva, si giunse anche alla minaccia di non accendere i forni.
A quel punto la direzione aziendale inasprì ulteriormente lo scontro:
lunedì 1 marzo, senza consultare la Commissione interna, Conte decise
di sospendere 26 lavoratori per 21 giorni. All'azione di rappresaglia da parte
dì Conte la Commissione interna rispose con un'ulteriore mobilitazione
delle maestranze. Il giorno successivo all'emissione del provvedimento di sospensione
i dipendenti incrociarono nuovamente le braccia uscendo dallo stabilimento.
Di fronte allo sciopero compatto degli operai la direzione fece marcia indietro
ritirando le sospensioni. (36) La vertenza
delle “Falci" rimbalzò anche sulle pagine del quotidiano del
Partito Comunista, "L'Unità”, che il 6 marzo titolava un articolo
di tre colonne: "La fabbrica del sindaco di Dronero in lotta da venti giorni
per i salari. Comizi e manifesti di un padrone che non vuol sentire ragioni,
la sospensione di 26 lavoratrici ritirata sotto il peso della lotta".
Fallito il tentativo di appellarsi agli operai con un comizio la direzione aziendale
decise allora l'affissione di un manifesto per spiegare ai droneresi la "reale"
consistenza delle paghe degli operai il cui ammontare, secondo le "Falci",
variava dalle 22 alle 45 mila lire. La Commissione interna chiese allora l'intervento
del Prefetto che, il 5 marzo, convocava a Cuneo una delegazione sindacale. Ecco
come Gianni De Matteis, allora corrispondente da Cuneo de "L'Unità",
descriveva quei concitati giorni di tensione e di lotta: "Che cosa poteva
ancora fare questo industriale? Saputo che la Camera del Lavoro aveva affisso
un manifesto in cui si spiegavano alla popolazione i giusti motivi della lotta
dei 230 lavoratori delle Falci, ecco che anche lui fa stampare un altro manifesto
con il quale tenta di far credere che i suoi dipendenti guadagnano paghe alte,
superiori a quelle reali. E si è arrivati all'ultima battuta. Stamane
infatti una delegazione delle Falci, accompagnata dal compagno Giorgio Giraudo,
segretario della Camera del lavoro di Cuneo è stata ricevuta dal prefetto
che aveva sul tavolo entrambi i manifesti di cui abbiamo detto.
Gli operai hanno allora tirato fuori una busta paga...smentendo clamorosamente
il manifesto dell'industriale e sindaco di Dronero. II prefetto di Cuneo ha
pertanto promesso dì intervenire presso l'industriale recalcitrante e
di fornire una risposta ai lavoratori al più presto". (37)
Il 19 e 23 febbraio e il 5, 9, e 11 marzo si registrarono brevi fermate, di
2 ore per turno, anche alla "Burgo" di Verzuolol con un'alta percentuale
di adesioni. Come le "Falci" anche la direzione del gruppo cartario
respingeva la concessione di un acconto, in questo caso di 3.500 mensili. Umberto
Nardo, sulle colonne de "La Voce" scriveva a proposito: "Nella
posizione della Burgo si può intravedere la intransigente posizione di
tutti i gruppi monopolistici e della Confindustria nel loro voler assolutamente
concludere la vertenza sul conglobamento e sulla perequazione delle contingenze,
esasperando la situazione sindacale e costringendo i lavoratori alla lotta"
(38)
Il 7 marzo, come annunciato, Piero Panero tenne un affollato comizio a Dronero
per spiegare agli operai e alla cittadinanza gli sviluppi e la portata della
vertenza "Falci" Proprio Panero, sulle colonne de "La Voce"
del 14 marzo, nel fare un resoconto sulla manifestazione pubblica riprese, con
ironia, la questione dei "pumet": "E' pur vera che il signor
Conte ha consigliato gli operai a mangiare pumet in quanto costano poco, dicendo
che così fanno i suoi figli, però è altrettanto vero che
per fare un lavoro del tipo di quello delle Falci ci vuole ben altro, con i
pumet è necessario ci sia qualche bistecca, vino e bollito di tanto in
tanto" (39)
Dopo trenta giorni dì mobilitazione la situazione si sbloccò giovedì
18 marzo: a sorpresa infatti Conte accettò l'accordo (3 200 lire di premio,
22 lire al giorno in più per la mensa e il pagamento delle percentuali)
(40)
"La Voce" dava notizia della svolta domenica 21 marzo con un titolo
in prima pagina: " Pattuglia avanzata del proletariato cuneese Vittoriosi
i 220 delle Falci". A proposito Gianni De Matteis scriveva, senza risparmiare
frecciate polemiche alla direzione dello stabilimento: "Conte per sole
800 mila lire mensili perde soltanto qualche milione, ma in compenso lui crede
di apparire l'uomo forte, il Valletta in sedicesimo, l'industriate che pensa,
e si illude, di piegare la tenacia di 220 operai che stanno scrivendo in questi
giorni molte tra le più belle pagine di lotta operaia del Cuneese".(41)
Nell'articolo De Matteis ripercorreva le ultime fasi della vertenza. Il sindaco
Conte inizialmente aveva invitato le delegazioni sindacali ad aspettare l'esito
delle trattative nazionali in corso a Roma e nel contempo, secondo l'articolista
de "La Voce", aveva cercato di ottenere il sostegno della CISL, il
cui rappresentante, tale Simonini, mercoledì 17 marzo, aveva tenuto un'assemblea
in fabbrica alia quale avevano assistito una ventina di operai. In concomitanza
con il comizio della CISL, nei locali della Camera del Lavoro di Dronero, si
era svolta una contro-assemblea alla quale erano intervenuti Piero Panero e
il consegretario della CdL di Cuneo Franco Viara.(42)
“Tratti pure la CISL - disse Panero - ma che l'accordo, se mai riuscisse
ad ottenerlo, sia come lo vedete voi lavoratori, non come lo vuole il padrone.
La grande CGIL non ha posizioni esclusiviste, ma sono i vostri interessi quelli
che contano e che devono essere difesi" (43)
Per la CGIL l'unico margine possibile di trattativa era la concessione da parte
dell'azienda di un aumento medio di 3 - 4 mila lire mensili, cifra che permetteva
l'adeguamento dei salari alla metà del costo della vita per una famiglia
media. (44) Con l'aumento di 22 lire
giornaliere dell'indennità di mensa Conte aveva accettato pienamente
una delle richieste formulate dalla Commissione Interna delle "Falci”.
Anche per quanto riguarda il premio di 3.200 lire erano stati "centrati"
i parametri richiesti dalla CGIL.
Nelle stesse ore giungeva anche la notizia della firma di un accordo all'Audoli-Bertola
di Mondovì, dove la direzione aziendale aveva concesso la somma di 3
mila lire, come premio mensile, agli operai specializzati, 2 mila lire agli
operai qualificati e 1500 lire ai manovali e apprendisti. (45)
Il 2 giugno "La Voce" riportava la notizia che a livello provinciale,
dopo gli accordi ottenuti alle "Falci", "Audoli-Bertola"
e alla "Bongioanni", le lotte operaie proseguivano alla "Burgo",
alla “Fimet", alla "Boglione”, alla "Blesio",
alla "Bassani”. (46)
CONCLUSIONI E RIFLESSIONI
A Roma intanto continuavano le trattative tra Confindustria e CISL e UIL, mentre
la CGIL restava lontana dal tavolo delle trattative. In provincia di Cuneo la
Confindustria arrivò ad offrire un aumento di 57,2 lire al giorno, mentre
la CISL ne aveva proposte 56 lire e la UIL 38 lire. Di tutt'altro tono le richieste
della CGIL: 160 lire al giorno e l'avvicinamento delle paghe femminili a quelle
maschili (47). Nel giugno venne siglata
una base di accordo nazionale che prevedeva aumenti salariali (conglobate le
voci retributive) inferiori al 5 per cento. Alcuni esempi: la paga oraria di
un manovale comune aumentò a Milano da 139,05 lire a 142,50 lire; a Torino
da 133,55 lire a 139,30 lire, cifre notevolmente inferiori al costo della vita.
(48) La CGIL parlò apertamente
di accordo truffa tra Confindustria, CISL, UIL e CISNAL (49)
II 22 luglio la FIOM proclamò uno sciopero contro l'intesa. Aumentavano
così le lacerazioni all'interno del fronte operato e sindacale, il tutto
a vantaggio della Confindustria; significativo è il testo della circolare
che la direzione aziendale delle "Falci" diffuse il 1 luglio, in risposta
della mobilitazione indetta dalla FIOM: "Gli operai che non hanno scioperato
martedì 22 giugno sono pregati di presentarsi, questa sera, nell'ufficio
della mano d'opera per ritirare un premio corrispondente all'importo di una
giornata di lavoro". (50)
Sabato 11 settembre 1954, nel piazzale del municipio di Cuneo, tenne un comizio
Giuseppe Di Vittorio, segretario nazionale della CGIL, che annunciò la
riapertura delle trattative: "Come primo risultalo politico, si è
avuto l'accettazione da parte della Confindustria, della proposta della CGIL
di rinnovare i contratti di lavoro, per conseguire su questa via miglioramenti
salariali legittimamente attesi dai lavoratori" (51).
La CGIL tornava dunque in gioco ma la classe operaia italiana, sfiduciata, accolse
in prevalenza con sollievo la conclusione della controversia, tanto che CISL
e UIL poterono presentare l'accordo come un successo della loro politica sindacale
che apriva le porte alla contrattazione aziendale (52)
Iniziava così una stagione contraddittoria per l'intero movimento sindacale
e operaio italiano. Secondo Sergio Turone la vertenza del conglobamento ebbe
un merito nell'evoluzione della politica sindacale italiana: "L'accordo
riconobbe per la prima volta ai sindacati nazionali di categoria la facoltà
di negoziare modifiche migliorative -in sede di stipulazione dei contratti -
in merito ai minimi salariali fissati nella contrattazione di vertice. Fu un
pur modesto avvio a quel decentramento sindacale che diversi anni dopo avrebbe
valorizzato le categorie ed accresciuto il peso anche politico del movimento"
(53)
Nel 1955 la CGIL darà il via ad un processo autocritico che la porterà
a rivedere e rivalutare il rapporto fra condizione operaia e processo tecnologico
e l'influenza del controllo operaio sull'apparato produttivo. Nel 1983 la FIOM-CGIL
pubblicò un calendario storico per ricordare l'ottantesimo anniversario
di fondazione (1901-1981) del sindacato dei metalmeccanici. Nella tabella cronologica
degli avvenimenti, per quanto riguarda quegli anni, si legge: "Da questo
momento inizierà la contrattazione aziendale La CISL già la praticava
ma in modo tale da non intaccare la produttività delle imprese e l'efficienza
del sistema capitalistico".
Anche nelle vicende dello sciopero dei "pumet" erano emersi, seppur
in una realtà periferica come quella delle "Falci", i contrasti
tra CGIL e le altre confederazioni, in modo particolare la CISL. Quest'ultima
infatti, proprio grazie alla contrattazione aziendale riuscì a ritagliarsi
uno spazio di azione politica nelle fabbriche. Allora le forze di sinistra guardavano
con sospetto a quella formula di accordo che rischiava di mettere in crisi la
compattezza dell'intero movimento operaio, facendo prevalere quelle categorie
contrattualmente più forti a scapito di altre la cui mobilitazione, se
condotta separatamente, risultava poco incisiva. Dunque l'azione della CISL,
se da un lato divideva il fronte sindacale, isolando la confederazione marxista,
dall'altro incrinava i rapporti di solidarietà che univano l'intera classe
operaia. Allo stesso tempo però la contrattazione aziendale presentava
sia degli aspetti negativi sia dei lati positivi: "Questa linea circoscriveva
ad ogni singola fabbrica l'impegno di lotta dei lavoratori e decentrava i problemi
disinnescandoli dalla polemica politica generale, ma aveva il pregio di presentare
traguardi immediati e possibili" (54)
La vertenza sul conglobamento deve dunque essere considerata una vittoria o
una parziale sconfitta per il movimento operaio'? L'unica cosa certa è
che nel 1956 l'”Economist” in base ai risultati di un'inchiesta
calcolò che, nonostante il conglobamento, le buste paga degli operai
italiani, seppur cresciute di 88 volte rispetto agli indici dell'anteguerra,
rimanevano inferiori del 50% a quelle inglesi e di un terzo a quelle francesi,
tedesche e del Belgio.
Comunque sia il 1954 fu dunque un anno di importanti lotte per il movimento
operaio cuneese. Nell'ambito delle mobilitazioni locali le maestranze delle
"Falci" avevano saputo conquistare un ruolo d'avanguardia; posizione
che la commissione interna dello stabilimento dronerese seppe poi mantenere
per alcuni decenni sulla scena politica e sindacale della "Granda”.
II 25 dicembre del '54, anche Giuseppe Biancani, esponente della federazione
provinciale del PCI, nel consultivo di fine anno, ricordava l'impegno nelle
lotte degli operai delle "Falci" (15 sospensioni di lavoro, per un
totale 9 mila ore). (55)
A parte gli sviluppi nazionali, la vertenza dei "pumet" venne assunta,
a livello locale, come episodio simbolo, quasi mitico, della lotta tra operai
e datori di lavoro, tanto che la vicenda, tramite le varie versioni orali tramandate
di generazione in generazione, è entrata a far parte di quel bagaglio
di ricordi collettivi che accomuna le famiglie della zona di origine operaia.
A tale proposito basti pensare che 42 anni dopo, nel marzo 1996, un gruppo di
anziani "Falci" ha voluto ricordare le fasi di quella vicenda con
una lettera al mensile cittadino "II Drago"; tale documento è
riportato in appendice a questa ricerca.
Grazie alla sua combattività e al ruolo di "avanguardia", pienamente
dimostrato con gli scioperi del '54, la Commissione interna delle "Falci"
seppe mantenere, anche in futuro, sufficienti margini di contrattazione rispetto
alla controparte patronale; cosa che non sì può dire per gli altri
stabilimenti del Dronerese dove il movimento sindacale rimase, ed è tuttora,
un fenomeno molto marginale se non del tutto inesistente. Significativa la testimonianza
rilasciata, 17 anni dopo lo sciopero dei "pumet", dal delegato sindacale
Mario Castellano: “Per quanto riguarda i salari in confronto alle altre
fabbriche, la situazione delle Falci è la più soddisfacente. In
alcune fabbriche di Dronero non solo non ci sono dei super minimi, ma non è
applicato nemmeno il contratto di lavoro: questo ad esempio è accaduto
fino ad oggi alla Cead. Le industrie della nostra città dovrebbero fare
uno sforzo per adeguare il salario al costo della vita e mantenere le posizioni
rispetto alle maggiori industrie provinciali anche per frenare l'esodo operaio...
I servizi sociali delle aziende droneresi sono nulli; non abbiamo colonie, dopolavoro,
mense aziendali, mutue aziendali". (56)
APPENDICE (57)
II racconto potrebbe iniziare così.. era una tiepida mattina primaverile
quando i lavoratori delle Falci di Dronero, esasperati dalla situazione di miseria
in cui si trovavano, decisero di scendere in sciopero vista l'intransigenza
padronale a non voler discutere le modeste richieste salariali presentate. Lo
sciopero che portavano avanti era fatto di mezze giornate di astensione dal
lavoro, due ore al mattino ed una al pomeriggio o viceversa, ed era denominato
sciopero a singhiozzo. Questo sistema di lotta faceva molto pressione sulla
controparte padronale che non si aspettava una reazione del genere. Una mattina
la direzione Falci informò i membri della Commissione interna (Gustavo
Panin, Chiaffredo Micelatto, Pietro Barbero e Mario Campana), che avrebbe preso
dure contromisure se l'agitazione fosse continuata fino ad arrivare alla serrata
(la chiusura dello stabilimento con la conseguente messa in libertà dei
dipendenti). I lavoratori, vista la gravità della situazione si riunirono
in assemblea presso la “Tampa", il locale in via Torino, con il responsabile
sindacale di allora, Pietro Panero, che tutti ricordiamo volentieri, e si decise,
per evitare la serrata, di occupare l'azienda formando piccoli gruppi di lavoratori
che a turno sarebbero sempre rimasti presenti all'interno dello stabilimento.
In quei giorni mamme e spose di quei lavoratori passavano dai cancelli della
fabbrica quel po' da mangiare che potevano portare ai loro congiunti. Quanti
di questi lavoratori, non più giovani, passavano le notti seduti su sgabelli
pensando a quello che sarebbe potuto succedere se avessimo perso la lotta, ma
tuttavia non si persero mai d'animo. Manifestazioni con cortei partivano dalle
Falci e attraversando il paese giungevano al cinema teatro Iris dove si svolgevano
le assemblee per informare la popolazione, o in Comune dove delegazioni dei
lavoratori chiedevano di essere ricevute dal sindaco di allora il comm. Giovanni
Battista Conte che era anche il nostro datore di lavoro. Ovviamente tutto questo
non poteva passare inosservato alla cittadinanza, e tanto meno alle autorità
locali, che furono solidali con la vertenza dei lavoratori. Finalmente dopo
32 giorni di sciopero una mattina si sgretolò l'intransigenza padronale
e si andò al tavolo della trattativa. Il successivo accordo stipulato
con la direzione permise di passare dalle 3 lire giornaliere di indennità
mensa a 30 lire e si ottenne un premio di 50 ore annue da corrispondersi in
prossimità della Pasqua, ovviamente anche negli anni successivi. Non
era molto ma per i lavoratori in lotta fu motivo di grande soddisfazione l'aver
ottenuto questo risultato anche se i sacrifici sopportati furono molti. Si ebbe
la consapevolezza di aver infranto quel bel giocattolo che si chiamava strapotere
padronale. Negli anni successivi molti furono gli accordi aziendali con significativi
miglioramenti e ben altre 150 ore annue vennero aggiunte al premio istituito
nel 1954 e sono corrisposte ancora oggi come premio di collaborazione ad operai
ed impiegati (anche se questi ultimi non hanno mai aderito alla lotta). Vorremmo
ancora accennare ad un fatto accaduto 9 anni più tardi, quando, durante
la vertenza per il rinnovo del contratto nazionale, nel 1963, in provincia di
Cuneo tutte le aziende del settore metalmeccanico avevano sospeso lo sciopero
in atto su pressione padronale firmando accordi aziendali separati di acconto.
I lavoratori delle Falci furono gli ultimi a siglare tale accordo, ma con significativi
miglioramenti rispetto agli altri e ad un livello anche superiore a quello che
si raggiunse qualche giorno dopo a Roma tra associazioni industriali e sindacato.
Si ottennero un 5% in più di aumento salariale e ulteriori quattro giorni
di ferie. Questo risultato probabilmente non si sarebbe mai verificato se non
fosse stato per quella lunga, storica battaglia di alcuni anni prima duranta
32 giorni.
Un gruppo di anziani Falci
Il Quadro
Non sono una scrittrice, né credo che un giorno lo sarò. Non possiedo
né il talento né la volontà necessarie per riuscirci. Ma
quanto mi piacerebbe! Perché ciò che ora mi accingo a raccontarvi,
i miei figli lo racconteranno ai miei nipoti e questi ai loro figli. Sarà
così che questo racconto farà parte della storia stessa.
Ma questo non basta, io vorrei che questo lo sapessero in migliaia, in milioni,
così gli increduli diventerebbero creduli, capirebbero che queste cose
sono successe e continueranno a succedere mentre ci saranno uomini sulla terra
che innalzeranno le bandiere del fascismo.
Ed è per questo che mi piacerebbe fare la scrittrice e far si che migliaia
o milioni lo sapessero, perché soltanto in questo modo ognuno di noi
farà germinare il seme dell'antifascismo, facendolo crescere vigoroso.
Sono nata a Santa Fé, capitale della provincia dallo stesso nome, a 160
chilometri da Rosario, città del Che.
Sono cresciuta tra colpi militari, Peron ed Evita, nel seno di una famiglia
dal padre comunista. La visita della Federal (organo della polizia che possiede,
tra le altre cose, il potere d'irrompere nelle case senza mandato giudiziario)
era molto frequente a casa nostra in epoca peronista. Questi arrivavano sempre
di notte e vestiti con colori oscuri. Si limitavano a "rovistare"
tutto e finivano col portarsi via quello che loro ritenevano "materiale
compromettente", il più delle volte libri di autori russi. E' così
che abbiamo perso i nostri libri migliori. E questo era tutto, tutto almeno
per quello che riguardava la mia famiglia.
Passarono gli anni, i colpi di stato, i fantomatici governi. lo sono cresciuta,
sono diventata adulta e l'ideale comunista è cresciuto con me. Me lo
sono portato dietro nei nuovi sentieri che prese la mia vita. La Rivoluzione
Cubana ha dato a tanti argentini l'illusione che un giorno la nostra patria
sarebbe diventata una nuova Cuba.
II nostro povero, piccolo e perseguito Partito Comunista si divide tra quelli
che ritengono il Che un awenturiero e quelli che, come me credono in lui.
La sua politica e la sua immagine ci da un'aria di freschezza che spazza via
l'odore putrido che già emana da una Mosca padrona, autoritaria, interessata
e a mio parere specchio del capitalismo.
Fu in un tristissimo giorno di ottobre nell'anno 1967, grigio anche se di primavera,
che il padre dei miei figli entrò in casa con la velocità di un
fulmine e mi diede la dolorosa notizia della morte di Ernesto. Chi può
crederci? Perchè avrei dovuto crederci? No ...! E' soltanto una bugia,
lo hanno già detto tante volte! Era stato dato per morto in Africa, a
Cuba o assassinato da Fidel. Anche questa volta potrebbero essere fantasie.
E poi... Non era possibile ... il Che non poteva né doveva morire.
Passarono i giorni e la terribile notizia prese forma. II Che é morto!
Le riviste a grande tirata e poco contenuto pubblicano fotografie; gli americani
dicono di avere l'ultimo diario del Che, il quale soltanto infanga il nome dei
Partiti Comunisti di Bolivia e Argentina. I compagni pro-Mosca dicono che si
tratta soltanto di una strategia degli americani per indebolire ancora di più
il comunismo in America Latina.
America Latina...
Via dal Cile! Via dall'Argentina! Via gli yankee dall'America Latina ... Quello
che si canta a viva voce in tutte le manifestazioni, quelle che si possono ancora
fare.
E mentre il Che diventa tabù, nulla di fatto. Finché un giorno,
un amato compagno, segretario del Partito nella zona sud del Gran Buenos Aires,
che si guadagnava da vivere vendendo libri quasi sempre proibiti, mi porta con
l'intenzione di venderlo, un quadro del Che.
Si tratta in realtà di una grande fotografia in bianco e nero, dalla
squisita presentazione su di una tavola di polisterolo.
Una immagine profonda e difficile da spiegare: in una mano un'avana e nell'altra
un fiammifero sospeso nell'atto di accenderlo. A quanto sembra, il fiammifero
non funziona. Il compagno Josè - questo era il suo nome - mi spiega che
si tratta di una immagine proveniente dalla televisione cubana mentre il Che
era Ministro dell'Industria, ministero che non riusciva in grandi imprese per
le ragioni che tutti conosciamo. Con la dignità che il popolo cubano
si merita, il Ministro, approfittando della scena, dichiara che bisogna fare
ancora uno sforzo visto che i fiammiferi sono bagnati.
M'innamorai di quella espressione, di quel gesto, e giurai a me stessa che quel
quadro mi avrebbe accompagnato per il resto della mia vita.
Lo appesi sul mio letto.
Mentre gli eventi precipitavano in Argentina, i militari al potere decisero
che sarebbe stato meglio far ritornare Peron dal suo esilio, prima che la sinistra
guadagnasse terreno a passi da gigante. Prima misura: il Papa di turno decide
di far ritirare il castigo che aveva imposto al generale fascista. La Chiesa
considera che, dopo tutto, probabilmente, non se lo meritava e, d'altra parte,
sempre meglio il ritorno di Peron per calmare gli animi che l'estensione dell'ideale
cubano fuori dall'isola.
Arriva dunque Peron, il quale, logicamente, stravince le elezioni portando avanti
una bandiera fortemente anticomunista, il peronismo si divide e la destra al
potere crea un corpo para-militare chiamato le Tre A (A.A.A., Alleanza Anticomunista
Argentina).
Racconterò brevemente una delle indimenticabili azioni della fatidica
A.A.A. che accadde nel mio stesso quartiere, nei sobborghi di Buenos Aires.
Irrompendo in casa di un "montonero" (non guerrigliero come loro dicevano)
e non trovandolo, si sentirono frustrati, burlati, ed essendo uomini di personalità
assassina, uccisero a mansalva le nove persone che abitavano il posto. Dopo
di che, disposero i corpi uno sopra l'altro in un angolo della strada e li fecero
saltare in aria con la dinamite, davanti agli occhi terrorizzati dei vicini
che spiavano dalle finestre.
Vari giorni dopo, brandelli d'interiora pendevano ancora dai cavi elettrici...
Per molto tempo nessuno di noi riuscì a mangiare carne, e molto meno
a sorridere.
Questa era la firma della Tre A.
Da quel momento, amici, parenti e vicini mi consigliano in continuazione di
bruciare il mio ben amato quadro, come loro avevano già fatto coi loro
e i dischi degli Inti lllimani.
Ma io mi ribellai e decisi che non lo avrei mai fatto. Loro potevano togliermi
tutto -come in effetti più tardi accadde - ma non potevano togliermi
la dignità.
Nessuno mai poteva obbligarmi a disfarmi del quadro.
Due anni dopo, il 16 marzo 1976, ebbe luogo il più crudele dei colpi
di stato in Argentina, la giunta militare al potere sarà responsabile
di più di trentamila scomparsi
Ogni volta con toni più insistenti quelli che mi stanno attorno mi consigliano
di far sparire il quadro, ma divento ogni giorno più devota a questo,
perché è mia convinzione che se il Che fosse vissuto, questi tristi
eventi non sarebbero mai successi.
Ma arrivò il fatidico giorno, e loro mi fecero visita. Come era abituale,
si trattava del camion militare con il suo personale adatto. Si fermò
a centro metri dalle nostre case per far scendere i suoi occupanti, i quali
iniziarono a perquisire le case una ad una.
Mi sentivo persa ... e per la prima volta capii che non ero stata una donna
coraggiosa, bensì soltanto una irresponsabile.
In quel momento mi trovavo a vivere da sola con i miei tre figli di sedici,
nove e un anno, le cui vite misi in pericolo.
Intanto avevo quasi un'ora, mentre loro si mantenevano occupati nelle altre
case, per fare sparire il quadro. Ma come avrei fatto? Se lo avessi bruciato,
loro avrebbero notato il fumo: se lo avessi rotto, loro avrebbero trovato i
pezzi.
Decisi dunque di toglierlo dal suo posto e, con l'aiuto dei miei figli più
grandi, lo ridussi a pezzettini mettendoli dopo, non senza sforzo nelle mie
mutande.
Il quadro del Che spari e al suo posto apparse una donna incinta.
Arrivarono "loro”, fecero il loro spregevole lavoro di rovistamelo
"per sicurezza della Patria". lo e i miei figli trattenevamo il fiato
mentre la più piccola dormiva placidamente nella sua culla. Tutto fu
come un terribile incubo. Finalmente se ne andarono e mi sembrò di essere
rinata. Se avessero trovato il quadro la mia vita non sarebbe valsa niente.
Tutto ciò buttò per terra il mio ideate riguardo la dignità.
Erano riusciti a togliermi anche quella, ma mi era rimasta la vita, non sarà
granché, ma almeno mi permise di far crescere i miei figli e continuare
a lavorare con fervore nella lotta contro il Fascismo.
NOTE
1)“Il lavoratore Cuneese”, 29 aprile 1948
3) “Il lavoratore cuneese”, 9 dicembre 1948
4)M. SALVADORI, L'età Contemporanea, Loescher, Torino, 1980, p 453
5)Camera di commercio, industria ed agricoltura di Cuneo, Studio sui fattori
di depressione economica e sulle aree depresse in Provincia di Cuneo, Gennaio-Febbraio
1959
10)S. TURONE, Storia del Sindacato in Italia dal 1943 al crollo del Comunismo,
Laterza, 1992, p 202.
15)Camera di Commercio Industria Agricoltura Cuneo, indice della vita economica
della provincia di Cuneo anni 1952-1957.
17)"La Voce", 20 dicembre 1953.
19)"La Voce", 17 gennaio 1954.
20)"La Voce", 14 febbraio 1954.
21)"La Voce", 21 febbraio 1954.
22)Archivio Comunale di Dronero, categoria 15, classe 1, fascicolo 4, faldone
269.
27)"La Voce", 28 febbraio 1954.
28)"La Voce", 28 febbraio 1954.
29)Camera di Commercio Industria Agricoltura Cuneo, indice della vita economica
della provincia di Cuneo anni 1952-1957.
32)Archivio Comunale di Dronero, categoria 15, classe 1, fascicolo 4, faldone
269.
51)"La Voce", 19 settembre 1954.
55)“La Voce", 25 dicembre 1954.