QUADERNO N. 39

INDICE

Introduzione

Intervento all'assemblea del PDUP per il comunismo.

Cuneo, febbraio 1977


Per la rifondazione comunista

in: "Democrazia Proletaria", Cuneo - marzo 1991


I referendum sulle leggi elettorali

in: "Democrazia Comunista", Cuneo - marzo 1993


Dopo il 18 aprile

in "Democrazia Comunista", Cuneo - giugno 1993


Intervento a "Tribuna congressuale"

in "Liberazione", 22 ottobre 1993


Introduzione al convegno "Quale unità contro il governo delle destre?"

5 novembre 1994


Intervento al Comitato politico nazionale

5 ottobre 1996


Intervento per la Tribuna Congressuale PRC

Ottobre – novembre 1996


Intervento su "Rosso notizie" n. 3

Febbraio - marzo 1997


Appunti per il terzo congresso del PRC

Settembre – ottobre 1996


Dopo Genova: considerazioni e proposte.

Luglio 2001


E' possibile una lista di sinistra alternativa alle prossime comunali?

16 dicembre 2001


Brevi note sul nostro congresso.

25 dicembre 2004


Introduzione congresso provinciale PRC

Febbraio 2005


Brevi note su Rifondazione

Ottobre 2007


Quaderni Cipec


Attività Cipec


INTRODUZIONE



In un momento in cui, non solamente nel nostro paese, è in forse l’esistenza stessa della sinistra e trionfa l’ “americanizzazione della politica”, mi è parso giusto, per aprire il 14° (non è poco!) anno dei quaderni del CIPEC, riepilogare un percorso di ormai quarant’anni, pubblicando alcuni scritti, sempre nati da contingenze politiche, ma comunque legati da alcuni elementi comuni:



I brevi scritti pubblicati in questo quaderno iniziano dall’intervento all’assemblea che ha segnato la dolosa scissione PDUP/PD (1977), ennesima occasione mancata nella nuova sinistra, e proseguono con il tentativo di fissare alcuni punti fermi nella difficile costruzione di Rifondazione Comunista (inizio 1981).

Quindi il giudizio critico sulla deriva sociale e istituzionale di gran parte della sinistra (qualcuno ricorda l’esaltazione di Mario Segni come “rinnovatore della politica italiana”?) con gli interventi contro il referendum (1983) che ha segnato lo sciagurato e demagogico passaggio al sistema maggioritario, primo atto del cambiamento, di fatto, della Costituzione e della deriva personalistica e populistica.

L’impegno costante, dal primo giorno, in Rifondazione si accompagna al giudizio critico su molte sue scelte sino a far pensare, ancora una volta, ad un’occasione non sfruttata per una vera rifondazione politica e teoria, per la ricostruzione di una formazione anticapitalistica e antimperialista, per la riproposizione di un marxismo che si coniughi con una autentica democrazia.

Su questo asse si muovono gli scritti in occasione dei congressi nazionali del 1996 (appoggio esterno al primo governo Prodi) e del 2005 (unità elettorale, ma preoccupazione per una unità politica “di governo”), la relazione al congresso provinciale (febbraio 2005), alcuni brevi interventi sulla tribuna congressuale di “Liberazione” e al comitato nazionale di cui ho fatto parte dal 1994 al 1996. Così pure il testo della scissione di “Sinistra critica”e sulla possibilità o meno di dissenso interno. Le poche note pubblicate da “Rosso Notizie”, periodico, allora, dei circoli CIPEC – Punto rosso, indicano la speranza che alcuni temi possano essere dibattuti e avanzati, a livello politico – culturale, da una rete di circoli, associazioni, riviste che è importante costruire ed estendere.

La cosa non è andata in porto, ma l’importanza di questo intreccio tra impegno politico – organizzativo e lavoro culturale – teorico è oggi, in un quadro così difficile (usando un eufemismo) per la sinistra, quanto mai attuale e indispensabile.

Ancora più grave l’incapacità di articolare il grande movimento e la grande spinta soprattutto giovanile, sui temi della pace, dell’ambiente e del no alla globalizzazione capitalistica, all’inizio del nuovo secolo (Seattle, Nizza, Genova). La mancanza di continuità di questo significativo movimento è certamente una delle cause della crisi attuale. Il Testo “Dopo Genova” tentava considerazioni e proposte per evitare questo riflusso.

Spero, senza alcuna presunzione, che queste paginette servano per un dibattito e una riflessione che le vicende dei prossimi mesi (a cominciare dal dopo elezioni) porranno sul tappeto


Marzo 2008 Sergio Dalmasso



Intervento all'assemblea del PDUP per il comunismo.

Cuneo, febbraio 1977


La crisi del nostro partito ha radici lontane.

Dopo la sconfitta elettorale del 7 maggio 1972, il Manifesto, operando una secca inversione di rotta, lancia la parola d'ordine "unità e lotta" verso il PCI, accentuando il giudizio su un suo possibile mutamento di linea ed opera una netta sopravvalutazione della valenza politica di alcune piattaforme sindacali (FLM, Genova).

L'apertura del processo di unificazione Manifesto - PDUP pare l'occasione per rilanciare un dibattito di linea che investa tutto il corpo dei due gruppi e non solo questo. E' da ricordare come il documento unitario presenti punti differenziati su sindacato e PCI e come i due gruppi vadano all'unificazione con posizioni che mettono in luce i rispettivi limiti:

- il MANIFESTO, con il "documento Magri" in cui, a parte la lunghezza che non piaceva a Foa, tornano molti "fantasmi ingraiani", primo fra tutti la necessità di un programma in positivo;

- il PDUP con un materiale del tutto insufficiente e disorganico (un vecchio scritto su Gramsci, uno sulla scuola) che non ne definiscono ipotesi e caratteri.

Il dibattito sul colpo di stato in Cile non modifica le difficoltà della nuova sinistra.

Mentre Lotta Continua passa disinvoltamente dall'invenzione delle brigate internazionali e del Cile come secondo Vietnam a quella del PCI al governo come tappa intermedia (PCI = menscevichi, Sofri e Viale = Lenin e Trotskij?), noi stessi non sappiamo uscire dalla formula "Uniti sì, ma contro la DC", sostanzialmente frontista e spesso incapace di scorgere le precise responsabilità del riformismo nel dramma cileno oggi, come ieri nel fallimento di tutte le ipotesi frontiste (Francia, Spagna ... ).

La crisi della nuova sinistra appare chiaramente già il 1 giugno 1975. Davanti ad un PCI che trionfa, DP raccoglie 1'1,8% dei voti (il doppio del Manifesto tre anni prima, e non ci sono PSIUP e MPL).

I compagni ricordano che allora lasciai il direttivo provinciale, ritenendo la nostra una sconfitta e non condividendo il giudizio di chi prevedeva contraddizioni laceranti nel PCI (avevo lasciato quello di Cuneo dopo il pasticciaccio brutto dei decreti delegati, in cui il PDUP a Cuneo aveva fatto la FGCI e quello regionale quando mi ero espresso contro la nostra partecipazione alle elezioni, o in caso affermativo ad una lista comune con Avanguardia operaia, come primo passo verso l'unificazione e mi era stato risposto che questa non avrebbe portato voti).

Le tesi per il congresso ripropongono questi equivoci:

- sostenendo la maturità del governo delle sinistre, visto di nuovo meccanicamente (ma come può un governo gestire la società capitalista in modo anticapitalistico, o come può reggere sulle compatibilità esistenti senza scontrarsi con le spinte delle masse?);

- ribadendo la necessità di una ristrutturazione della sinistra, proposta che non tiene conto della natura di PCI e PSI (il compromesso storico è figlio legittimo della via nazionale);

- teorizzando una nebulosa transizione nella transizione che dovrebbe cominciare quando Berlinguer più De Martino tocchino il 51 % dei voti.

Alle spalle di questa analisi due postulati:

- il crollo del regime DC (la borghesia fa fagotto?);

- la necessità per il PCI, spinto dalla pressione di base, di mutare la propria linea (qualcuno arrivava addirittura a dubitare che il PCI ne avesse una). Tutto questo è logico in chi non mette in discussione le radici togliattiane di queste ipotesi.

Dopo la sconfitta del 20 giugno 1976 è necessaria una profonda riflessione. Purtroppo Lotta Continua, dopo un primo istante (Boato: abbiamo sbagliato tutto) riscopre la sua anima iniziale (autonoma, estremista, antisindacale), A.O. perde la sua compattezza interna, il PDUP rilancia, nella sostanza, l'ipotesi precedente. Errore gravissimo della minoranza (anche questo non episodico, ma derivante dalle sue matrici, si pensi alla sempre attesa e mai avvenuta battaglia nel PSIUP) è quello di non aprire mai uno scontro chiaro, che contrapponga all'asse strategico della maggioranza una alternativa. Tutto questo porta alla paralisi degli ultimi mesi, alla paralisi, alle spaccature.

Non serve a nulla, oggi recriminare. Serve invece analizzare i motivi che hanno portato al fallimento di una proposta politica che oggi né per gli uni né per gli altri sarà facile e indolore rilanciare:

- essendo Magri e Rossanda, per la logica stessa delle cose, portati a coprire un'area a ridosso del PCI e ad esso di fatto subalterni (si vedano i documenti nazionali e locali che ripropongono questa subordinazione);

- rischiando la minoranza di costruire una forza di supporto al sindacato, movimentista, ma priva di linea, di costume, di analisi complessiva, percorsa dalle spinte contraddittorie del movimento, spesso primitivo, facilone e privo di memoria.

Questo rende difficile una scelta personale da parte di chi, come me, si è spesso sentito fuori posto. Ribadisco che ho lavorato in tutti questi anni per la costruzione di una forza comunista e non credo a possibili mutamenti della sinistra storica, che penso che l'eventuale partito di classe non possa nascere sulla buona volontà, ma su una ipotesi generale, su una coerente valutazione della storia del movimento operaio, sulla militanza politica, su costume e disciplina non formali, ma reali.

Chiedo però ai compagni come possa applicare nei fatti il centralismo democratico chi lo ha sempre negato (si legga la Rossanda al congresso e la sua equazione leninismo = giacobinismo?). E come può questa pratica valere per una politica di fatto gradualista?

Per quanto riguarda Cuneo, mi pare che gli ultimi fatti rendano chiaro che una convivenza è impossibile. Meglio andare ad una separazione consensuale, tenendo rapporti personali e politici che non precludano possibili collaborazioni future. Le due piccole realtà che si creeranno saranno per molti aspetti sfasate rispetto a quelle nazionali. Saranno i fatti dei prossimi mesi a dare una impronta più marcata e chiara.

Lascio perdere i saluti comunisti che mi sembrano oggi fuor di luogo e non mi sono mai piaciuti.

Sono sempre un po' noioso. Qualcuno dirà che assomiglio al vecchio comunista anni '30 di Paul Nizan.


Per la rifondazione comunista

in: "Democrazia Proletaria", Cuneo - marzo 1991


Il 1989 ha visto la fine di quasi tutti i "socialismi reali" dell'est europeo.

I regimi sono crollati avendo perduto qualunque consenso popolare, tra gravi problemi, anche sociali, irrisolti, avendo ridato fiato, spesso, a mostri che sembravano scomparsi (razzismo, antisemitismo ... ), avendo spesso soffocato le questioni nazionali che ora riesplodono moltiplicate.

Con loro sembra scomparire l'idea stessa di comunismo, di cambiamento, di trasformazione sociale, di possibilità di costruire collettivamente un futuro diverso. Il comunismo che per più generazioni era stato sinonimo di libertà e di speranza per le giovani generazioni per i giovani di oggi è spesso sinonimo di oppressione, di gulag, di negazione delle libertà più elementari.

Settori consistenti del mondo culturale, dopo essere passati per adesioni acritiche a tutte le novità e per l'adesione, spesso, al PCI negli anni "di punta" non passano giorno senza esaltare la società esistente.

Esiste, oggi come non mai, la possibilità reale che la prospettiva comunista venga, per lungo tempo, cancellata dalla scena politica internazionale, mistificata nel suo significato e che anche a sinistra la tendenza prevalente sia quella di un rilancio non solo senza, ma anzi, contro il marxismo.

Vi è una tendenza all'omologazione culturale integrale della sinistra da cui, secondo i tanti Scalfari e Bocca, deve essere rimosso qualunque residuo di marxismo teorico e di comunismo politico.

Nel giro di breve tempo, si è avuto un passaggio da una lettura rozza e dogmatica del marxismo all'accettazione di tutte le pseudo novità prima bollate con ignominia, con cui non si è mai avuta la capacità, invece, di fare i conti alla pari. Il pensiero debole è stato ed è, in realtà, una strategia fortissima di attacco ad ogni ipotesi di reale trasformazione e la presenza di Cacciari come capolista della "cosa" nelle ultime elezioni non è solo la ricerca di un intellettuale "fiore all'occhiello", ma anche l'accettazione di ipotesi culturali e filosofiche conservatrici per anni condannate ed oggi assunte acriticamente (tutto fa brodo).

A livello politico, il PCI, usa i drammatici avvenimenti dell'est per portare a termine un processo di modificazione in corso già da lungo tempo che lo condurrà entro poche settimane, a divenire una grande forza liberal-radical-democratica.

La tendenza è irreversibile e il disegno è comunque degno di rispetto: un partito radicale di massa non è mai esistito in Italia, ed è positivo che si esca da doppiezze anche simboliche.

Il suo ulteriore spostamento priva, però, l'Italia di una costante nella sua storia: una forza alternativa e antagonista, legata alla protesta sociale e di classe e ad un progetto politico. Che il PCI, da tempo, non sia questo è ovvio; ma è altrettanto ovvio che così esso fosse visto da militanti, iscritti, elettori ...

Gli esiti dei congressi svoltisi sino ad oggi parlano chiaro: l'asse Occhetto Napolitano tiene rispetto allo scorso anno, il "NO" scende, la mozione Bassolino segna l'impraticabilità di qualunque variante "da sinistra" dell'ipotesi di Occhetto. E' quindi illusoria e velleitaria la speranza di condizionare la nuova forza politica o di produrre inversioni di tendenza al suo interno.

E' invece necessario lavorare, da subito, alla ricostruzione di un pensiero e di una pratica comunista, marxista, ambientalista che occorre ricostruire su tre terreni:

1) Teorico: il rigetto di un marxismo dogmatico e chiesastico deve andare di pari passo con il rilancio di un marxismo aperto e creativo, capace di essere strumento di analisi della realtà e di sua trasformazione. E' necessario da una parte scavare nel filone sconfitto e spesso soffocato (il pensiero di Rosa Luxemburg, di Lukacs, dello stesso Gramsci, dei rivoluzionari del terzo mondo ...) dall'altra coniugare il pensiero marxista con i grandi fenomeni degli ultimi decenni (l'ecologia, la non violenza, il radicalismo cristiano, la differenza sessuale, le nazionalità ... ) dimostrando la sua capacità di leggere la realtà.

E' ovvio che questo lavoro di ricostruzione teorica non si esaurisca nello spazio di qualche mese o di qualche anno, ma sia di lungo respiro. E' altrettanto ovvio che nessuno abbia verità in tasca, o dogmatismi da spendere.

E' ovvio, invece, che mai come oggi vi sia la necessità di un ampio "respiro culturale" alternativo al capitalismo.

2) Di lotta sociale: la sconfitta storica subita dai lavoratori, anche a causa dei tanti errori delle dirigenze sindacali e politiche, non ha lasciato il vuoto.

Le lotte contrattuali (nonostante la deludente conclusione del contratto dei metalmeccanici), l'opposizione giovanile, il non sopito movimento contro la guerra, lo sdegno morale (anche se insufficiente) per le degenerazioni del nostro stato e il caso Gladio, l'allargarsi del volontariato (a cominciare dal fenomeno dei terzomondiali), e dell'obiezione dimostrano che vi è lo spazio per movimenti di massa che abbiano nelle condizioni di vita dei lavoratori il proprio cardine.

Non è slegata da questo la necessità di costruire all'interno del sindacato una tendenza di classe, critica verso le scelte delle dirigenze non solo sul problema della democrazia (documento dei 39), ma anche e soprattutto sui contenuti.

3) Politico organizzativo: la ricomposizione della sinistra se ha prodotto un polo verde, spesso contraddittorio, e produrrà, a breve, una grossa forza liberaldemocratica deve dare vita ad una nuova forza di classe, inizialmente certo non maggioritaria, che sappia ricostruire l'opposizione sociale e politica.

I suoi cardini dovranno essere l'anticapitalismo, la convinzione cioè che anche davanti al crollo dei regimi dell'est, il capitalismo non è l'ultima pagina della storia e la risposta ai problemi dell'umanità e l'internazionalismo, la capacità cioè di uscire dagli stretti confini di una visione tutta italiana o tutta occidentale. L'uscita dalla NATO e la denuncia della politica italiana di rapina del terzo mondo (imperialistica) a cominciare dal commercio delle armi, sono i due primi punti da seguire.

La costruzione di questa forza politica non potrà essere cosa breve, ma deve iniziare oggi: dalle forze di DP, da quella parte del PCI che rifiuterà il PDS di Occhetto e Napolitano, da quella parte del mondo ambientalista che non accetta l'interclassimo delle liste verdi e la loro pretesa di "monopolizzare" la tematica ambientale e pone come centrale il rapporto sviluppo/ambiente, da aree di credenti, che sentono l'esigenza di dare uno sbocco politico ad un intenso e continuo impegno sociale.

Questa forza politica dovrà evitare di rischi:

- il minoritarismo: la logica dei "pochi ma buoni", la rissosità ideologica, la presunzione che hanno spesso caratterizzato la nuova sinistra;

- un continuismo nostalgico verso la storia e la tradizione del PCI, i cui limiti devono essere analizzati con attenzione e non cominciano certamente da Occhetto.

Tutta la sinistra deve invece interrogarsi sul problema della democrazia, sulla sua negazione nelle esperienze di "socialismo reale", sui consigli dei lavoratori ed il loro rapporto con la democrazia delegata (parlamento ... ), sui diritti civili, sul rapporto ed il legame tra democrazia politica, economica e nella vita quotidiana.

Nella crisi del PCI e dell'est sono maturati riflessioni e orientamenti capaci di aprire una riflessione per un rinnovamento democratico e rivoluzionario (i due termini non sono scindibili) del comunismo.

Si tratta di non lasciare cadere questa possibilità, per tatticismi e giochi di partito o nel tentativo di creare "correnti comuniste" in partiti che si propongono la cancellazione di questo termine.

E' un terreno non semplice che consiste nel rifiutare l'omologazione e future, inevitabili subordinazioni al PSI di Craxi (le proposte istituzionali di passaggio alla seconda repubblica ne sono il primo segno), per evitare la deriva, la dispersione e la disfatta delle spinte antagonistiche ancora presente in Italia.

E' un passo necessario anche guardando agli altri paesi europei, alle forze progressiste presenti nel terzo mondo, alle forze alternative che stanno con tante, comprensibili, difficoltà, rinascendo nell'Europa dell'est.

A questa difficile rifondazione siamo chiamati a partire dai prossimi giorni.

Senza polemiche, senza facilonerie, ma anche con tanta fiducia e con tanto ottimismo.


Cuneo, 3 gennaio 1990

I referendum sulle leggi elettorali

in: "Democrazia Comunista", Cuneo - marzo 1993


1) IL SISTEMA PROPORZIONALE.

a) E' quello che attribuisce i seggi in proporzione ai voti ottenuti. E' sempre stato richiesto e difeso dalle forze di sinistra e popolari, come dimostrano tutta la storia del socialismo e la battaglia per il suffragio universale anche femminile. In Italia il proporzionale viene introdotto dopo la prima guerra mondiale, in coincidenza con l'esplodere dei partiti di massa (socialisti e popolari). Il partito popolare ha l'introduzione del proporzionale come primo punto del suo programma (la DC di oggi se ne è dimenticata). Chi oggi vuole cancellarlo e si presenta come "nuovo" vuole farei tornare al meccanismo elettorale dell'epoca giolittiana.

b) Nel 1953, la DC e i suoi alleati (liberali, socialdemocratici, repubblicani) hanno tentato di modificare la legge elettorale proponendo il "premio di maggioranza", un meccanismo per cui il blocco di partiti che avesse ottenuto il 51 % dei voti avrebbe avuto i due terzi dei seggi. Contro questa "legge truffa" la sinistra insorse e con l'appoggio di vasti settori democratici (Parri, Codignola ... ) riuscì a sconfiggerla, scrivendo una delle più belle pagine della storia della democrazia del nostro paese.


2) LA DESTRA L'HA SEMPRE ODIATA.

Mussolini, prima di cancellare del tutto le elezioni, ha abolito la proporzionale (legge Acerbo), gli americani in Germania, dopo il '45, hanno tentato di modificarla (l'ha difesa la socialdemocrazia locale); la stessa cosa è avvenuta in Grecia dopo la guerra civile (1952); in Austria e in Irlanda la destra chiede di cambiare leggi elettorali; la vittoria di De Gaulle in Francia ('58) segna il passaggio dal proporzionale all'uninominale (i gollisti con il 20% dei voti ottengono il 40% dei seggi, i comunisti con il 19% dei voti hanno il 2% dei seggi).


3) CHE COSA SUCCEDERA' SE VINCERA' SEGNI.

Il 18 aprile voteremo su due referendum proposti da uno schieramento molto vasto (DC, liberali, repubblicani, PDS ... ) e capitanati da Mario Segni. Il primo chiede l'elezione diretta del sindaco, il secondo di cambiare il meccanismo di voto per il Senato. Circa 1'80% dei seggi verrebbe assegnato con il sistema uninominale (in ogni collegio senatoriale vince il candidato che prende più voti). Solo il 20% dei seggi verrebbe ripartito proporzionalmente fra gli altri partiti. In base ai voti del 5 aprile scorso, questo sarebbe il nuovo senato:

DC 216 seggi (oggi ne ha 107), PDS 61 (64), Lega 14 (25), PSI 13 (49), Rifondazione 3 (20), MSI 3 (16), PRI 1 (10). Sparirebbero liberali, socialdemocratici, verdi, Rete. E' ovvio che questo meccanismo per il Senato verrebbe esteso anche alla Camera e significherebbe:

a) la convergenza dei partiti al centro per catturare i voti incerti (programmi generici, coalizioni eterogenee socialmente e culturalmente);

b) campagne elettorali non su idee e programmi, ma molto personalizzate (candidati foto e telegenici, sfilate di mogli o mariti e figli, forti attacchi personali, uso sfrontato di giornali e TV per chi se li può permettere);

c) la cancellazione delle minoranze e l'obbligo di alleanza innaturali. Concentrare le scelte su poche (spesso 2) alternative è l'opposto della democrazia partecipativa di cui tanto parlano i referendari;

d) la divisione dell'Italia in 3 aree: un nord leghista, un centro (per ora) PDS, un sud democristiano e clientelare;

e) la cancellazione dei partiti politici, o meglio della forma stessa del partito politico come identità ideologicamente forte, organizzata e diffusa, come sistema di raccolta dei movimenti di massa e punto di riferimento di culture consolidate. Schiacciare i partiti significa governare direttamente attraverso le lobbies (pensiamo ai piani della P2);

f) l'elezione diretta del sindaco significa oggi togliere potere ai consigli comunali (minor numero di consiglieri, sedute solo per approvare quanto deciso da sindaco e giunta) e accresce la personalizzazione della politica e la nessuna autonomia per i comuni davanti alle scelte del governo.


4) PERCHE' I REFERENDUM.

La raccolta di firme ha raccolto esigenze legittime (la rabbia contro la situazione attuale, la richiesta di un personale politico migliore per competenza e onestà), ma offre risposte sbagliate. Il mezzo milione di firme non sarebbe stato raggiunto senza la struttura del PDS che ha dimenticato e cancellato tutta la storia e le scelte della sinistra su questi temi, convinto di poter andare ad un bipartitismo, alleandosi con socialisti e forze progressiste e di poter diventare il centro dello schieramento riformatore.

Importanti anche l'appoggio della Confindustria (non è un caso!) e di un quotidiano conservatore come "il Giornale" di Montanelli. Oggi molti tra coloro che hanno appoggiato i referendum hanno cambiato posizione. la Rete si è schierata per il NO, la minoranza del PDS punta i piedi, in molti settori crescono le preoccupazioni per la vittoria di Segni e per il suo significato.

E' chiaro a molti che esiste un nesso tra il profondo attacco sociale (salute, pensioni, occupazione, servizi sociali, svuotamento del sindacato ... ) e il tentativo di "cambiare le regole del gioco".

Siamo davanti ad una profonda crisi di rappresentanza nel rapporto partiti/cittadini (come dimostra il voto francese su Maastricht). Fino ad ora i rischi di scelte reazionarie sono stati contenuti a causa dello sviluppo economico prolungato e del conseguente consenso passivo della maggioranza. Oggi in Italia viviamo un intreccio tra crisi economica e suoi drammatici riflessi sull'occupazione, criminalità, tendenze secessioniste, scomparsa di un tessuto politico-ideale connettivo. Vi è il rischio della ingovernabilità, di rivolte corporative e localistiche, di tentazioni di superare i confini della legalità democratica. I referendum usano questa crisi. Ma è una risposta sbagliata.


5) ALCUNE DOMANDE.

a) Come può presentarsi come nuovo un ceto politico (spesso inquisito) formato da Segni, la Malfa, Forlani, Martelli (in provincia di Cuneo Mazzola) con la benedizione della Confindustria?

b) Perché il proporzionale, qui presentato come causa di tutti i mali, è invece richiesto da molti in Francia (le Monde) e in Gran Bretagna e vige in Austria, Irlanda, Germania, Grecia ed è proposto per l'elezione del Parlamento europeo?

c) Chi sceglierebbe, con il nuovo sistema, i candidati? le tanto criticate segreterie di partito, dopo patteggiamenti e mercati con quelle degli altri partiti.

d) Come verrebbero divisi i collegi elettorali? In Francia ed in Inghilterra le aree dove la sinistra era forte sono spesso state divise e diluite in aree moderate. Che ne pensa Occhetto?


6) OLTRE Il NO. ALCUNE PROPOSTE

Difendere il sistema proporzionale significa per noi proporre:

a) una sola camera (non le due, inutili, di oggi);

b) 400 parlamentari (non i 950 di oggi);

c) un governo snello (10/15 ministri). Il governo è oggi appesantito e corrotto da un enorme carico gestionale. Deve invece governare applicando le leggi (poche e chiare), superando il labirinto oggi esistente di decreti, leggi, leggine ... ;

d) poteri e compiti debbono essere trasferiti agli enti locali (comuni, regioni);

e) gli enti locali devono avere poteri reali.

Per quanto riguarda la COSTITUZIONE, crediamo che essa si attaccata da chi vuole passare ad una seconda repubblica, cancellando le parti socialmente più avanzate (mai attuate) di essa. Occorre ricordare che essa è il frutto di un compromesso (mai attuato, invece, a livello di maggioranze governative) tra le correnti cattolica, comunista, socialista, liberale.

Occorre quindi rispondere agli attacchi conservatori, anche se presentati come "nuovi e moderni", ma proporre alcune correzioni: l'articolo 29 parla della famiglia come della società naturale fondata sul matrimonio, l'articolo 37 della essenziale funzione familiare della donna, si parla di emigrazione, ma non di immigrazione, non si affronta il tema delle istituzioni sovranazionali.

La democrazia delegata deve essere integrata e tendenzialmente sostituita da forme di democrazia diretta (controllo dal basso, revoca ... ). Occorre rilanciare anche in questa fase così delicata, la proposta di un sindacato di base, dei consigli dei lavoratori, della riduzione dell'orario di lavoro, del salario garantito, di un reale controllo dei lavoratori.

Solo criticando fino in fondo le degenerazioni dell'attuale "sistema" potremo evitare che vasti settori popolari cadano nella trappola della demagogia leghista o del "cambiare tutto per non cambiare nulla" dei Segni e di un parlamento delegittimato e screditato che non può certo fare le riforme.




Dopo il 18 aprile

in "Democrazia Comunista", Cuneo - giugno 1993


Il 18 aprile, al referendum Segni, si è avuta una valanga di sì, come titolava trionfante "l'Unità". Il risultato era scontato, ma la percentuale è stata maggiore ancora delle nostre previsioni. Pesante soprattutto la sconfitta nel nord Italia, nelle stesse aree operaie.

Noi abbiamo opposto ad una propaganda svolta da giornali, TV (lo stesso 18 sera Amato e Martinazzoli alla TV di stato ricordavano la vittoria DC di 45 anni fa invitando al SI') una campagna coraggiosa e generosa, iniziata da soli, continuata con Rete, la maggioranza dei verdi, piccola parte del PDS e della Cgil, alcune importanti figure (Rodotà, Mellini, La Valle ... ), battendoci contro idee divenute senso comune e sostenendo che:

1) l'alternativa non era tra il vecchio e il nuovo sistema politico e istituzionale. Segni ha proposto ed ottenuto la restaurazione del più vecchio dei regimi rappresentativi, sottoposto a critica dove esiste.

2) La crisi della democrazia italiana (e non solo) è crisi di rappresentanza, (partiti, sindacati), anche come conseguenza della fine di un compromesso sociale (keynesiano) che ha retto per molti anni.

3) Obiettivo delle classi dominanti è di chiudere il "caso italiano" (presenza di un forte partito comunista, di un sindacato non omologato), usare lo stato per destrutturare la classe alternativa, eliminare qualunque possibilità di alternativa per sostituirla con l'alternanza fra gruppi appartenenti al medesimo ceppo politico e sociale (questo accadeva nell'Italia dell'800).

In Italia questa rivoluzione conservatrice si ha in ritardo rispetto all'Europa, e si ha ora, dopo il crollo dell'est e in coincidenza con la crisi della socialdemocrazia.

Da anni la crisi italiana viene addebitata all'eccesso di democrazia. Lo scopo è di impedire, nello stesso parlamento, troppe domande incompatibili, di produrre un reaganismo (in ritardo di anni). A questo serve una "riforma" elettorale che svuoti la rappresentanza.

4) La spinta per il maggioritario fa del popolo lo strumento della sua stessa alienazione e serve non solo a conservare ed accrescere il potere dei partiti di governo, ma a riaggiustare in modo autoritario il rapporto tra democrazia e capitalismo. Da anni la Trilateriale sostiene che lo sviluppo del capitalismo nel mondo comporti un affievolimento della democrazia (nel mondo vi è uno stato di necessità anche per legittimare il fascismo post-sovietico di Eltsin).

Sul "Corriere della Sera", Piero Ostellino, commentando i risultati delle e elezioni francesi sosteneva che il mondo della produzione esercita sulle istituzioni una pressione in nome della maggiore efficienza. Quindi, formulare politiche pubbliche in sistemi complessi rende incompatibile l'estensione della democrazia (forte partecipazione politica ai processi decisionali) "come dimostra l'adozione di sistemi elettorali maggioritari".

Nessuno potrebbe essere più chiaro: il maggioritario non serve a legare la formazione dei governi alla volontà degli elettori, ma a ridurre la partecipazione politica.

La riduzione della democrazia è imputata ad una sorta di necessità strutturale dipendente dalla stessa natura del capitalismo. Tra questa e la democrazia c'è incompatibilità.

5) Il maggioritario taglia dalla rappresentanza pezzi di società. Non governeranno (come ci ha detto anche il PDS) una volta i pezzi deboli e una volta quelli forti. I "pezzi" deboli saranno sempre esclusi. Questo sistema è fatto a misura dei forti che hanno di più, parlano di più, comprano e vendono informazione, cultura, senso comune. La tendenza di questa società è di rafforzare il sistema vigente di fronte alla marea degli oppressi, dei poveri e degli esclusi che assediano l'isola di privilegio. La democrazia sarà indebolita, limitata, diminuiranno i protagonisti, si diraderanno e si spegneranno le voci non omologate alle "verità" di regime.

6) Abbiamo ricordato la natura composita del fronte del SI', la politica sociale disastrosa del governo, il pericolo di una divisione dell'Italia in tre, la negazione del diritto di esistere a forze, idee... , la oggettiva diseguaglianza del voto.

Tutto questo ha cozzato contro idee radicate, la rabbia per gli scandali, l'idea che il SI' fosse un voto di cambiamento, che così non si potesse continuare, per alcuni che così si potrà dare alla crisi uno sbocco a sinistra, ma anche la volontà di dare una delega in bianco, l'idea che i partiti non servono, che le decisioni vanno date ai leaders, che l'intervento pubblico è da cancellare e solo il mercato seleziona i meritevoli, che le minoranze devono essere soppresse.

Al fronte del NO sono mancati il tempo e gli strumenti di informazione, ma ha anche pesato l'idea che il NO fosse un voto di conservazione.


E ORA?


Il nuovo sistema elettorale non produrrà affatto sicure maggioranze di governo. Tre sono i blocchi che si profilano e le coalizioni saranno contrattate non tra partiti nazionali ma tra liste regionali e spesso singoli candidati (il maggioritario assegna il massimo peso alla rappresentanza territoriale a scapito delle tensioni sociali, culturali e politiche presenti nel territorio).

Il governo CIAMPI che si è formato vede divisi i partiti stessi che lo sostengono.

Alcuni chiedono una semplice legge elettorale e il voto in autunno. Altri vogliono che questo governo viva un periodo più lungo e affronti alcune grosse questioni.

Sulla riforma elettorale il fronte del SI' (dopo le feste in Piazza Navona) si è subito spezzato: Segni, Bossi e Pannella vogliono un turno solo. Il PDS chiede il doppio turno. Gli altri non si capisce bene. Come potrà reggere Ciampi con queste divisioni? Come si comporterà quando dovrà affrontare il debito pubblico, le politiche di investimento, la disoccupazione, le politiche del territorio?


QUALE UNITA’ DELLA SINISTRA?


Una parte della sinistra ha votato sì su un argomento forte, ma sbagliato: la crisi ha bisogno di una alternativa e una nuova legge elettorale può costringere una sinistra divisa ad unirsi e a governare.

La sinistra è divisa in Italia e in Europa, non solo per ragioni storiche e ideologiche, ma anche per programmi e riferimenti sociali. L'unità può nascere da un lavoro culturale e programmatico, da esperienze di massa, non da marchingegni elettorali che non sommerebbero neppure gli elettorati.

La sinistra al governo, inoltre, è sempre stata davanti ad un bivio: o tentare di cambiare le cose finendo nella tragedia (il Cile), o compiere scelte moderate distruggendo speranze ed illusioni (la Francia). Non ci sono scorciatoie: non basta una accozzaglia elettorale di "progressisti" (la nuova parola magica) in disaccordo sulle grandi questioni: una diversa politica economica, un ruolo diverso dell'Italia sulla scena internazionale (NATO, interventi militari, nord e sud del mondo), una politica ambientale che affronti alle radici il rapporto sviluppo ambiente...

Su tutto questo il PDS non ha politica, diviso tra chi guarda con interesse al rinnovamento del PSI, chi pensa ad alleanze progressiste (Adornato, Ayala ... ) chi guarda a Segni, chi pensa di recuperare tutta la sinistra con il doppio turno, chi voleva entrare al governo e chi no.

In questa campagna si è costruito un fronte (Rifondazione, Rete, parte dei verdi, settori del PDS e della CGIL) che deve essere rafforzato. Il confronto deve continuare, ma questo non deve far pensare a scioglimenti di Rifondazione che deve invece rinnovarsi, qualificare la sua proposta politica, andare ad un congresso che significhi una vera fondazione.

L'uscita di Pietro Ingrao e con un documento critico di Fausto Bertinotti e di 30 sindacalisti, le dimissioni di Rodotà aprono spazi e terreni di incontro e dimostrano il disagio di settori comunisti e popolari davanti ad una politica sempre più incerta. Nei verdi si hanno posizioni molto differenti: dal sostegno al governo (Rutelli), alla critica (Ronchi ... ) a posizioni che pensano ad un nuovo ambientalismo e ad una sinistra rinnovata e alternativa (i "verdi su la testa"). La stessa Rete non ha chiarito molti temi sociali e molte sue proposte istituzionali non sono chiare, ma negli ultimi mesi ha compiuto scelte coraggiose (resta una sua forte differenza tra nord e sud).

In questa realtà e davanti ad un governo che non potrà limitarsi alla sola riforma elettorale, come chiedono Occhetto e Bassi, ma dovrà fare scelte economiche che colpiranno l'occupazione e ad un sindacato sempre più teso ad accordi nazionali che escludano la stessa consultazione dei lavoratori (le proposte della CISL per il sindacato unico e della UIL per il sindacato riformista) il ruolo di Rifondazione si moltiplica:

- per la raccolta delle firme sui referendum sociali (sanità, pensioni, ambiente, democrazia del lavoro);

- per riproporre una sinistra di classe e alternativa;

- per rifondare veramente una forza comunista, internazionalista e ambientalista.

Il nostro congresso nazionale (autunno) deve servire a tutto questo. E' un cammino mai come oggi difficile, ma dobbiamo farcela.

Le nuove leggi elettorali potranno ridurre i nostri parlamentari e consiglieri, ma non potranno cancellare il movimento dei consigli, le mobilitazioni pacifiste ed ecologiste. Il 18 aprile 1948 fu una grave sconfitta per la sinistra italiana, 5 anni dopo lo scontro ebbe esito opposto. Impegniamoci per questo.



Intervento a "Tribuna congressuale"

in "Liberazione", 22 ottobre 1993


A distanza di tre anni dalla Bolognina, e di due dal congresso costitutivo, l'esistenza di Rifondazione comunista costituisce un elemento fondamentale non solo per la difesa di una presenza e di una identità comunista, ma soprattutto per la difesa delle condizioni di vita delle grandi masse lavoratrici.

Senza di essere la sconfitta politica, culturale e sociale sarebbe più grave, si sarebbe lasciato alla Lega il monopolio della protesta, quel che resta della stessa sinistra sarebbe certo peggiore, le possibilità di rilancio e di cambiamento sarebbero certo più deboli.

Dobbiamo però constatare che molte delle ipotesi di autentica rifondazione non sono state praticate e non hanno marciato né all'interno né all'esterno della nostra formazione politica. Passato lo choc iniziale (scioglimento del PCI, crollo dell'URSS, ecc.), l'esigenza di una necessaria rifondazione sembra aver lasciato il posto ad un "continuismo" coraggioso e spesso eroico, ma comunque inadeguato rispetto alle necessità della realtà attuale. E' mancata e manca una analisi della realtà dell'est (tante volte programmata e mai attuata), delle strutture economiche di questi paesi e del perché l'unico tentativo di superamento del capitalismo e di liberazione integrale dell'uomo sia fallito nei suoi punti fondamentali (costruzione dell'uomo nuovo ... ), dando vita, invece, ad una nuova forma burocratica e autoritaria.

L'attuale tragica realtà di questi paesi non può esimerci da una riflessione profonda. Anche per quanto riguarda Cuba, la doverosa iniziativa contro il blocco economico non può essere disgiunta da una analisi critica di 30 anni di socialismo.

E' mancata e manca una attenta riflessione, anche autocritica, sulla storia del PCI e della nuova sinistra.

L'involuzione del PDS non può essere attribuita solo alle scelte del dopo Berlinguer e in particolare di Occhetto. Le radici sono molto più profonde (per tutte l'accettazione della Nato). Le stesse figure di Togliatti e di Berlinguer devono essere oggetto di un dibattito libero e profondo in cui si misurino e si confrontino matrici diverse. Il rifiuto di questo porta inevitabilmente a ipotizzare di ricostruire il partito di 30 o 40 anni fa, con gli ovvi rischi di continuismo e di politicismo.

Manca drammaticamente una analisi del capitalismo italiano ed internazionale, delle sue tendenze e contraddizioni. Questo ci porta spesso ad agire alla cieca, senza prospettiva, in modo sloganistico. Il documento del congresso costitutivo era povero e debole, teso semplicemente a ribadire la necessità di ricostruzione di una presenza comunista e a mediare tra spinte divergenti. Quando avvenuto da allora ad oggi non ha certo migliorato le cose.

Le stesse scelte organizzative operate a giugno-luglio, oltre a dare di noi una immagine non positiva all'estero (scontri di potere, "siete come gli altri") sono avvenute del tutto al di fuori di un mutamento di linea politica, di un abbandono di ipotesi che erano addebitate alla segreteria Garavini e che paiono invece accentuate. Alla gran parte degli iscritti, soprattutto nelle realtà più periferiche, è emersa una spaccatura di vertice di cui non erano chiare le radici e le motivazioni politiche, come tante volte è accaduto in partiti che separano il "dibattito" interno dall'esterno.

Risulta, alla luce della grave spaccatura di giugno-luglio, difficilmente comprensibile la scelta di andare al congresso su un documento unitario che rischia di essere opera di mediazione e di aprire, poi, i poco edificanti scontri sui gruppi dirigenti (déja vu).

Alcune proposte.

E’ necessario che i giovani abbiano nel partito proprie strutture autonome. Indispensabile la costruzione di una federazione giovanile dove esercitino grande autonomia di iniziativa, stampa, ecc.

Il comitato politico nazionale, così come è costruito, è un organismo pletorico ed elefantiaco che non serve a nulla. E’ necessario sostituirlo con un comitato centrale (alcune decine di compagni/e) e con commissioni comitati regionali molto agili.

La caduta di immagine avuta al congresso scorso con la bocciatura dei luoghi di donne deve essere sanata. Il gruppo dirigente deve impegnarsi a superare un partito molto “maschilista” per formazione e cultura.

L’attuale situazione della nostra stampa è deficitaria.

Il settimanale è difficilmente utilizzabile, soprattutto all’esterno, e manca una rivista di partito che svolga le indispensabili funzioni di formazione. Perché non razionalizzare le molte esperienze esistenti?



SCHEMA DELL'INTRODUZIONE AL CONVEGNO DI SABATO 5 NOVEMBRE 1994:

"QUALE UNITA’ CONTRO IL GOVERNO DELLE DESTRE?"


La nostra proposta, per le prossime amministrative, di unità a sinistra, si

basa su alcune considerazioni:


1) LA VITTORIA DELLE DESTRE. La vittoria della destra (la peggiore in Europa)

nasce anche dal fatto che la sinistra abbia da tempo perso l'egemonia su quote ampie della società. Fino ai primi anni '70 si è avuto un aumento dei salari, un relativo miglioramento del tenore di vita, la richiesta di servizi sociali. Questo ha provocato un aumento del prelievo fiscale, una crisi fiscale, un indebitamento strutturale, particolarmente grave per l'Italia, date le sue peculiarità. La rivolta delle CLASSI MEDIE chiede l'abbattimento dello stato sociale in una fase di aspra concorrenza internazionale e fornisce un supporto di massa alla richiesta del grande capitale per la modificazione della politica degli stati. Serve ad isolare la classe operaia.

Il fenomeno LEGA si spiega in questa chiave: il secessionismo nordista chiede un

nord emancipato dal clientelismo e dall'assistenzialismo (asse DC – P.S.I.), una politica neoliberista, privatizzazioni , abbassamento della pressione fiscale, agganciamento alla parte più ricca dell' Europa.

La sinistra ha così perduto anche parte delle classi popolari. La rivoluzione tecnologica ha eliminato parte del lavoro. Il lavoro salariato e qualificato si è trovato in concorrenza con quello proveniente dal 3° mondo. La crescente concorrenza planetaria ha provocato una nuova disoccupazione di massa. Davanti a questo, la sinistra è stata confusionaria, la destra ha saputo parlar chiaro, presentandosi come immediatista, localista, reazionaria.

Siamo, inoltre, davanti ad una forte usura delle forme di democrazia rappresentativa. La rivolta antifiscale è anche rivolta antidemocratica contro politici di professione, un ceto autoreferenziale che difende interessi di ceto (il recente aumento delle indennità per i parlamentari), che è sempre più autoreferenziale.


2) IL REFERENDUM. Contro la crociata di Segni e c. abbiamo condotto una campagna

difficile, in cui abbiamo ricordato che il proporzionale era stato storicamente voluto dalle forze popolari - che la destra lo aveva sempre odiato (Mussolini, De Gaulle) - che avrebbe condotto a convergenze innaturali, ad una ulteriore personalizzazione della politica.

La crisi della democrazia italiana è crisi di rappresentanza anche per la fine del compromesso (keynesiano) durato decenni. La classe dominate intende

- chiudere il caso italiano (un forte partito comunista, un sindacato diverso da

quello di altri paesi europei…)

- destrutturare la classe operaia

- cancellare qualunque possibilità di alternativa.

La rivoluzione conservatrice sì esprime in Italia con un ritardo di anni. La crisi (vedi conferenza di Raniero La Valle a Cuneo, ottobre 1993) è addebitata ad una eccesso di democrazia. Da anni la Trilaterale sostiene che lo sviluppo del capitalismo deve significare un affievolimento della democrazia, la riduzione della partecipazione, "fare del popolo strumento della sua stessa alienazione".

Il sistema maggioritario inevitabilmente taglia pezzi di società, porta alle peggiori forme di municipalismo.

Abbiamo cozzato contro una crociata. Demagoghi come Segni e Pannella hanno fatto

precipitare la crisi di legittimazione del nostro sistema su un solo punto: il sistema elettorale, nel proporzionale sono stati identificati tutti i mali.

La retorica del SI ci ha presentato un' Italia divisa in 2 schieramenti (una destra e una sinistra rispettabili), ci ha detto che sarebbe cessato lo strapotere dei partiti, che sarebbe stata la "gente" a scegliere.

Questi signori sono stati seguiti da una sinistra che ha smarrito ogni rapporto con le proprie radici la propria storia (la "legge truffa"), incapace di comprendere che mai una minoranza sociale può trasformarsi in maggioranza solo per meccanismi elettorali.

Vi è stato un plebiscito sulla retorica del nuovo. Il trionfo del sì è stato usato anche in alcune campagne amministrative (a Torino contro Novelli).

Oggi è anche troppo facile misurare la differenza tra l'immagine annunciata dell' Italia e la realtà. Il referendum e il cedimento della sinistra hanno contribuito ad evocare dal profondo di un paese malato una aggregazione reazionaria, arrogante, egoistica, vandeana, un profondo bisogno di fascismo cementato da un potere forte (la Fininvest).

3) L'ALLEANZA PROGRESSISTA. La campagna elettorale è stata condotta nella certezza che il governo delle sinistre fosse alle porte (vedi il libro di Foa). Si è andati al voto con profonde divergenze interne (il PDS e altre forze della sinistra hanno votato la finanziaria di Ciampi , scelte disastrose su spese militari e modello di difesa…). Noi abbiamo tentato di sottolineare alcuni temi, di ricordare il pericolo di spostamento a destra (il documento elettorale dell'ottobre '93, il dibattito pubblico sulla Lega con Vittorio Moioli), di ricordare che è impossibile per una sinistra governare dopo una sconfitta sociale.

Quello che ha però pesato maggiormente è stato il fatto che la sinistra è stata identificata come momento di continuità rispetto ad un passato impresentabile, come parte del sistema consociativo, mentre la destra è stata vista come l'unica moderna, capace di produrre una svolta, di offrire speranze, di rappresentare una rottura (stile, linguaggio…) con il vecchio.

L'illusione della sinistra è stata quella di conservare quote di consenso del ceto medio inseguendolo politicamente e culturalmente e che, comunque, il consenso dei ceti popolari fosse incondizionato.


4) DOPO IL VOTO.

A) assistiamo al tentativo di costruzione di un regime autoritario, alla sfacciata occupazione del potere, all'attacco alla Magistratura (Craxi e il suo referendum insegnano), alle proposte di stravolgimento della Costituzione, al rilancio di idee, valori (si pensi alle affermazioni di Pivetti. Cardini…) che sembravano sconfitti per sempre.

B) vi è un oggettivo spostamento verso il centro della parte maggioritaria della sinistra: dal contratto dei metalmeccanici. alle ipotesi di unificazione dei sindacati, alle proposte del PDS per un governo di garanzia con P.P.I. e Lega, alle posizioni del PDS sulla scuola. Rifondazione, in questo quadro, rischia di essere un intralcio, un'anomalia da mettere in un ghetto.

C) Vi è la necessità, mai come oggi, di unificare le forme di opposizione, non come semplice sommatoria, di ricordare che i temi ambientali non sono disgiunti dal lavoro, che il tema delle 35 ore non può essere rimandato per decenni, che i centri sociali pongono i temi legati alla questione giovanile e alla critica al consumismo, le lotte studentesche il tema del diritto allo studio e dei percorsi formativi. Non si può solo difendere l'esistente, occorre proporre:

- democratizzare lo stato sociale. La spinta delle classi medie nasce da problemi reali: la concorrenza dell'economia mondiale, i costi dello stato sociale… La sinistra non può difendere lo stato sociale sinonimo di spreco, di spartizione tra un ceto politico burocratizzato. Si può difenderlo solo riformandolo, pensando ad un suo controllo. E' questo l'unico modo per ritrovare un rapporto non subordinato con le classi medie.

- democratizzare la politica. E' nulla la credibilità dei partiti e delle forme di democrazia rappresentativa. E' necessario ricostruire una democrazia svuotata dai ceti politici. riscoprendo anche parole d'ordine che fanno parte della storia del movimento operaio (i consigli, la critica alla delega, l'abolizione dei privilegi degli eletti, la revocabilità del mandato…)

- un vero internazionalismo. Le guerre, il mondo unipolare, l'immigrazione, il divario crescente tra Nord e Sud richiedono un nuovo internazionalismo. Le attuali forme di solidarietà hanno moventi etici e culturali propri solo di minoranze se non trovano fondamenti materiali (per il nord l'abbattimento delle barriere doganali, per il sud il controllo ambientale e demografico). Non deve più accadere che i temi internazionali scompaiano dal dibattito politico (e dalle piattaforme elettorali).

Da queste considerazioni nasce la proposta di UNITA' A SINISTRA.

Non si parte dal nulla: ricordiamo il nostro breve e già ricordato documento dell'autunno '93, quello molto articolato dei Progressista (febbraio '94). il documento del "Granello di Senape" (1990), il convegno di "Sinistra oggi" del gennaio 1994. Quali risposte sono state date da chi ha amministrato i comuni in questi anni? Quali impegni sono stati assunti? Quale fiducia si può avere in loro per il futuro?

Occorre raccogliere per le prossime amministrative la sinistra politica (PDS, Rifondazione, Verdi, Rete, quella parte dell'area socialista che ha rotto con il peggior passato…) e le aree sociali che si impegnano quotidianamente su temi specifici (le questioni ambientali, la pace, la condizione femminile e quella giovanile…) i centri sociali, aree cattoliche che manifestano diffidenza e timori verso la dimensione strettamente politica, ma che non possono rimandare, in questa situazione. un loro impegno diretto.

Rifondazione non pone problemi di simboli, di candidature, di pregiudiziali ideologiche, di "ismi". E' disposta a lavorare nell'elaborazione di programmi comuni. Non accetterà esclusioni di alcun tipo. Propone che questa strada venga assunta da subito, evitando che le scelte siano delegate alle trattative e agli incontri di pochi.

Ritiene improponibile ogni forma di collaborazione con la Lega Nord, per ovvie divergenze su temi fondamentali. Il problema che si pone oggi alla sinistra non è quello di accordi, ma di contendere alla Lega il suo elettorato popolare, in forte contraddizione davanti alla politica berlusconiana.

Ritiene improponibile un accordo con il P. POPOLARE perché

- in esso ha vinto Buttiglione (cioè un' ipotesi moderata);

- il P.P.I. non può accettare una alleanza con la sinistra. Perderebbe parte del proprio elettorato, sarebbe ferocemente attaccato da destra per il connubio con i comunisti. rischierebbe nuove emorragie;

- una alleanza sinistra - P.P.I. sarebbe identificata come espressione del vecchio meccanismo politico e come tale destinata alla sconfitta di fronte al nuovo.

Con il P.P.I. occorre cercare il massimo dialogo, la massima collaborazione per

un fronte democratico (l'opposizione alla legge Mammì, la difesa di spazi di proporzionale, l'autonomia della Magistratura, la libertà di informazione…).

Liste comuni ed accordi elettorali sono, però, improponibili e rischiano di farci arrivare confusi ed impreparati a ridosso delle elezioni.

Certo, molto può capitare di qui ad allora: tenuta del movimento di lotta, Finanziaria, contrasti nella maggioranza. E',però, fondamentale che la sinistra dia un chiaro segno della propria esistenza e della propria diversità.

Se le nostre proposte verranno respinte, andremo probabilmente ad una ulteriore

contrazione o forse anche alla scomparsa della presenza locale della sinistra, a livello politico, sociale, culturale.




Intervento al Comitato politico nazionale

5 ottobre 1996


1) La morte di Guido Aristarco, il maggiore studioso delle estetiche del cinema, impone al nostro partito e al dipartimento cultura una riflessione non solo sulla sua grande figura, ma su tutto il pensiero marxista negli ultimi 50 anni.

2) Sulla Lega scontiamo una carenza di analisi. Errato un approccio che ritiene questo fenomeno si possa combattere solo a livello sociale (orario, salario, scala mobile). Questi problemi esistono, ma si accompagnano a radici culturali, a luoghi comuni divenuti "idee forza", alla critica, all'inefficienza dell'apparato pubblico. Anche nell'analisi del fascismo alle motivazioni strutturali occorre aggiungere quelle culturali e psicologiche (quanto tempo ha messo il marxismo dogmatico a comprendere le analisi di Reich o di Guerin?). Grave la mancanza di una iniziativa il 15 settembre, davanti alle due destre di Bossi e Fini. Segnalo che Cuneo è il maggiore comune, su scala nazionale, retto da una giunta Ulivo-Lega e che occorrerebbero una denuncia e una iniziativa non puramente locali.

3) A parer mio, questo congresso si sarebbe dovuto caratterizzare sulle proposte di una vera rifondazione e di costruzione di una sinistra alternativa.

Dopo il trauma dei primi mesi (scioglimento del PCI, crollo dell'URSS), il nostro indispensabile rinnovamento è sembrato interrompersi e sono prevalse pratiche continuiste e nella struttura interna, e nelle valutazioni sull'est e nella impermeabilità alle grandi tematiche della globalità: il rapporto nord/sud, l'emergenza ambientale, i rischi globali, la nuova natura della guerra.

Questo manca nettamente nel documento di maggioranza che sembra più una "analisi di fase", in una situazione, oltre tutto, soggetta a mutamenti continui.

Una sinistra alternativa e plurale è l'unica strada percorribile per contrapporci alla deriva moderata del PDS e dell'Ulivo. Un rapporto, anche critico, con l'ecologismo politico, il radicalismo cristiano, formazioni pacifiste, il sindacalismo di base, i centri giovanili, settori femministi ... può consentirei di costruire un polo che si contrapponga alla destra e al centro sinistra e di operare un indispensabile incontro (niente nuovismi!) di culture e formazioni che sarebbe dovuto essere alla base del nostro partito.

La "lotta al settarismo" non risponde a questo perché rischia di essere letta e interpretata in modi diversi, a seconda di situazioni, formazioni…

Per questi motivi, penso che questo congresso sia, ancora una volta, una occasione mancata.


Roma, 5 ottobre 1996



Intervento per la Tribuna Congressuale PRC

(inviato a "Liberazione" e non pubblicato)

Ottobre – novembre 1996


Neppure questo terzo congresso, pure presentato come quello di "ri-rifondazione" riuscirà ad esserlo, costituendo ancora una volta un'occasione mancata.

Dopo il trauma dei primi mesi (scioglimento del PCI, crollo dell'URSS), il nostro indispensabile rinnovamento è sembrato interrompersi e sono prevalse pratiche continuiste e nella struttura interna e nelle valutazioni sull'est e nella impermeabilità alle grandi tematiche della globalità: il rapporto nord/sud, l'emergenza ambientale, i rischi globali, la nuova natura della guerra a 50 anni da Hiroshima, la necessità, cioè, di un "passaggio di paradigma": se Marx ha analizzato il funzionamento della società capitalistica, se Lenin e Rosa Luxemburg hanno fatto i conti con la categoria di imperialismo, i comunisti di fine '900 debbono misurarsi con le sfide più alte imposte dallo sviluppo capitalistico.

Questo manca nettamente nel documento di maggioranza che sembra più una "analisi di fase" (governo, finanziaria) in un passaggio, oltre tutto, soggetto a mutamenti continui e che presenta ambiguità profonde e nel "ritorno a Marx" che ogni realtà rischia di interpretare soggettivamente e nella "lotta al settarismo e al conservatorismo" che spesso viene usato più per motivi interni che per una doverosa proiezione verso l'esterno.

Non è presente, al tempo stesso, l'ipotesi di una sinistra alternativa e plurale, unica strada percorribile per costruire un autentico polo di sinistra contrapposto a quello di destra e diverso per scelte e riferimenti sociali a quello, sempre più moderato, di centro sinistra e per dare vita a quell'incontro di culture e formazioni che sarebbe dovuto essere alla base del nostro partito e di una autentica rifondazione.

Un rapporto, anche critico e non finalizzato ad una semplice sommatoria, con l'ecologismo politico, il radicalismo cristiano, l'arcipelago pacifista, il sindacalismo di base, il femminismo che rifiuti l'indifferenza per la politica, è fondamentale anche per superare nostri limiti e ritardi e per porre questi settori davanti a scelte politiche non più rinviabili.

Grave, anche, nella mozione di maggioranza, il silenzio sui, non più rinviabili, nodi della collocazione sindacale. Ancor più grave perché va di pari passo con la scelta, nel documento neppure accennata, di costruzione dell'area dei comunisti nella CGIL che sarebbe, almeno, motivo di discussione congressuale.


Ottobre, Novembre 1996



In "Rosso notizie" n. 3, febbraio - marzo 1997


Dopo la devastazione di fine anni '80, stiamo assistendo ad un ritorno, anche se in forme contraddittorie di un dibattito e di un confronto nella sinistra marxista e alternativa. Ne sono segnali le molte riviste (rilanciate e neonate), i circoli, i centri sociali, il maggiore interesse, non sempre ideologico, per la storia del marxismo e per alcune figure anche eterodosse.

In questo scenario, il ruolo di CIPEC e PUNTO ROSSO non è oggi solo più difensivo e residuale, ma deve darsi obiettivi più ambiziosi.

E' indispensabile ritornare a riflettere su nodi che da anni tocchiamo, ma su cui abbiamo fatto pochi passi avanti:

- Ecologia politica, nel superamento delle ambiguità di tante posizioni ambientaliste e in un rapporto indispensabile con le grandi questioni della mondialità. Il lavoro, abbozzato e poi interrotto, di un settore specifico di Punto rosso deve essere valorizzato.

- Movimento per la pace e non violenza. Occorre incidere nella crisi dell'arcipelago pacifista, anche qui riproponendo queste grandi tematiche collegate alla analisi della realtà internazionale, del rapporto nord/sud, della riflessone, in questo quadro, sul ruolo della classe operaia nei paesi di capitalismo maturo, della divisione internazionale del lavoro ...

- Lavoro. Condivido l'analisi, ma non le conclusioni delle "Due destre" di Revelli. Il nodo della "centralità operaia", in una fase - non breve - di decentramento e di distruzione del lavoro, deve, comunque, essere affrontato.

- Differenza di genere. La deriva verso il rifiuto della politica da parte di settori consistenti del movimento femminista non esenta da un bilancio critico su ritardi e incomprensioni, (per contraltare esaltazioni acritiche) verso movimenti, posizioni, proposte ...

- Marxismo e paesi dell'est. CIPEC e Punto rosso hanno compiuto un lavoro meritorio di valorizzazione di un marxismo non dogmatico e canonico, di recupero di posizioni dimenticate (Bloch, Lukacs, Althusser, Guevara, sino al pensiero contemporaneo - Tosel - ). Si tratta di scandagliare su figure i cui elementi di attualità con l'oggi sono evidenti, di riproporre una valutazione sulla caduta dell'est in cui siano analizzate le cause (a cominciare dal partito unico) drammaticamente presenti anche nelle realtà socialiste di oggi, di attualizzare il marxismo nei rapporti con i grandi tempi (lavoro, ambiente, pace/guerra ... ) sopra ricordati.

E' significativo che in una riflessione a posteriori su DP, Romano Luperini ponga tutti questi temi come quelli ancora oggi centrali.

Per questo mi sembra necessario:

- che si estenda una rete di circoli che abbia questo orizzonte;

- che si formalizzi l' ''unificazione'' fra tutte le realtà esistenti (CIPEC, Punto rosso,

ma anche l'esperienza dei "Verdi alternativi" e i tanti circoli locali);

- questa unificazione dovrebbe essere formalizzata da una serie di iniziative locali e da una centrale (propongo ad esempio un nuovo incontro sul ruolo degli intellettuali oggi, davanti alla contingenza politica e all'analisi teorica - se mi si permette - anche alla luce della inadeguatezza dei documenti congressuali di Rifondazione), da iniziarsi non più in là della prossima primavera;

- che si formalizzi un coordinamento nazionale che sintetizzi le varie esperienze.

- che le tante riviste di area valutino forme di fusione o almeno di coordinamento.

La situazione attuale vede un numero altissimo di pubblicazioni, ognuna delle quali non esce da ambiti troppo ristretti o specifici o specialistici. Questo rende difficile la loro stessa lettura, un dibattito intrecciato fra l'una e l'altra, ma soprattutto contribuisce a far sì che le loro tematiche non penetrino in una sinistra tutta presa da problemi contingenti. Anche in questo caso, un seminario nazionale potrebbe divenire luogo di scambio e di confronto.


1 novembre 1996



Appunti per il terzo congresso del PRC

Settembre – ottobre 1996


- Per una vera rifondazione;

- democrazia interna;

- governo e destre;

- sindacato;

- per una sinistra alternativa.


  1. Per una vera rifondazione


Il PRC è nato come risposta ad un doppio fallimento: quello del PCI, approdato ad una deriva liberaldemocratica, quello dell'URSS e dei paesi dell'est, trasformatisi da grande speranza di liberazione e di trasformazione, in strutture oppressive.

La doppia sconfitta implicava ed implica il rifiuto di qualunque ipotesi di semplice continuità e la ricerca di strategie capaci di legare la tradizione e la storia del marxismo rivoluzionario con le emergenze e le profonde trasformazioni della realtà.

Si è assistito ad una tendenza ad una omologazione culturale della sinistra, da cui si è tentato di rimuovere qualunque residuo di marxismo teorico e di comunismo politico. A questo non era possibile rispondere trincerandosi in certezze, ma offrendo soluzioni e strade opposte a quelle proposte da Occhetto che poneva problemi e domande drammaticamente reali (se è possibile un riferimento storico, alle critiche di Bernstein al pensiero di Marx, non era possibile rispondere negando i problemi, ma solo in positivo, come fecero Lenin e, ancor più, Rosa Luxemburg).

La ricostruzione di un pensiero e di una pratica comunista, marxista, ambientalista non poteva che marciare su tre terreni:

- Teorico con il rigetto di un marxismo dogmatico e chiesastico e con il rilancio di un marxismo capace di essere strumento di analisi e trasformazione della realtà. Necessario scavare, senza miti, nei filoni sconfitti e spesso soffocati (Rosa Luxemburg, Trotskij, lo stesso Gramsci, i rivoluzionari del terzo mondo ... ) e contemporaneamente coniugare il pensiero marxista con i grandi fenomeni degli ultimi decenni (l'ecologia, la non violenza, il radicalismo cristiano, la differenza sessuale, le nazionalità ... ).

- Sociale le lotte in vari paesi europei dimostrano le difficoltà, ma anche il permanere di un movimento operaio, capace di legare a sé altri settori della società. Queste spinte sono sempre scollegate da paese a paese, da settore sociale a settore sociale e rischiano di rifluire o di precipitare verso una destra populista sempre più presente in Europa. Indispensabile ipotizzare forme di collegamento almeno a livello europeo, la costruzione tendenziale di un sindacato di classe.

- Politico per la ricostruzione di una forza di classe, capace di non essere autoreferenziale.

Indispensabile rompere con un continuismo nostalgico, comprensibile, ma improponibile (i limiti del PCI non iniziano certo con Occhetto), ma anche con il minoritarismo, con la rissosità ideologica, la presunzione che hanno spesso caratterizzato la storia della nuova sinistra (sull'approdo di gran parte della quale sarebbe necessaria una maggiore riflessione).

Fondamentale il problema della democrazia, una riflessione sulla sua negazione nelle esperienze di socialismo reale, sul rapporto democrazia delegata e consiliare, sul rapporto fra democrazia politica, economica e nella vita quotidiana (l'ultimo Lukacs).

Il PRC ha risposto parzialmente a queste emergenze, costituendo l'unico elemento di controtendenza in anni segnati da profondo spostamento a destra e da omologazione. La sua presenza ha ridato significato alla militanza comunista, impedito un ulteriore "ritorno a casa" e possibili ulteriori scivolamenti a destra, ha soprattutto dato espressione politica a lotte operaie e sociali, costituendo il maggior elemento di difesa sociale (orario, salario, pensioni ... ) presente nel nostro paese.

E', però, mancata una vera rifondazione, quanto mai indispensabile. Dopo il doppio trauma iniziale (scioglimento del PCI, crollo dell'URSS) il tentativo di rinnovamento è sembrato interrompersi. Sui paesi dell'est e sull'URSS sono ricomparse, soprattutto nel quadro intermedio, incomprensioni dei motivi reali della crisi (partito unico, mancanza in esso di democrazia, identificazione partito/stato, estraneità rispetto ai lavoratori e alla società ... ) che hanno contraddistinto tutte le esperienze (comprese la Cina e la stessa Cuba, pur nella sua specificità). Un lavoro su questi temi non può essere lasciato a convegni (quello di Venezia a gennaio), ma deve penetrare nel corpo del partito.

Sulle grandi "emergenze" si registrano gravi ritardi. Il partito sembra impermeabile alle tematiche dell'ecomarxismo (la seconda contraddizione di O'Connor) della critica allo sviluppo (Latouche), dell'ambientalismo radicale, dello stesso concetto di limite. La non assunzione di questi temi impedisce anche un critica netta agli opportunismi delle Liste Verdi. Pacifismo e non violenza sono spesso considerati temi da "anime belle". L'esclusione di Eugenio Melandri del Parlamento europeo è stata accolta senza neppure discuterne. Nei circoli e nelle federazioni manca una fusione di esperienze, problematiche, sensibilità fra generazioni e non solo. Permane una incomprensione, anche nei fatti, della tematica di genere e della sessualità (fino a quando dovremo sentire battute e barzellette sugli omosessuali?) Manca cioè la assunzione della necessità di un "passaggio di paradigma": se Marx ha analizzato il funzionamento della società capitalistica, se Lenin e Rosa Luxemburg hanno fatto i conti con la categoria di imperialismo, i comunisti di fine '900 non possono non confrontarsi con le sfide più alte imposte dallo sviluppo capitalistico: l'emergenza ambientale, i rischi globali, la nuova natura della guerra (a 50 anni da Hiroshima), il rapporto nord/sud, con i grandi temi, cioè, della globalità.

Compiamo, oltre tutto, uno spreco enorme di energie e di lavoro. Sono della nostra area riviste di grande peso teorico e di grande capacità analitica ("Giano", "Ecologia politica", "Guerre e pace", "Alternative", "Latinoamerica" ... ) per nulla conosciute ed utilizzate.

Lo stesso "ritorno a Marx", asse della mozione di maggioranza, deve essere esplicitato e chiarito e non può rimanere una formula. La messa in discussione delle esperienze rivoluzionarie del '900 non può essere esposta genericamente, pena il rischio che ognuno la interpreti come meglio crede. Il "filo rosso" da Marx ad oggi va invece ricercato ed attualizzato, ma passa inevitabilmente, senza dogmi per Lenin, Gramsci, Rosa Luxemburg, Che Guevara e per esperienze anche esterne all' ''ortodossia'' (Fanon, Lumumba, Malcom X, la stessa teologia della liberazione ... ).


2) Democrazia interna


Esiste e si accresce il pericolo di un partito dipendente dai due maggior dirigenti, con scarso dibattito interno, con forme di cooptazione che premiano la fedeltà, con un apparato inamovibile e poco agile.

E' la parabola che hanno percorso tutti i partiti e non ne sono state esenti neppure le formazioni della nuova sinistra. Una discussione sulla democrazia non può essere astratta, ma deve riferirsi al progetto politico e al modello di società che si propone.

In specifico, ancora negli ultimi mesi, abbiamo assistito a nomine calate dall'alto, alla scelta dei/delle candidati/e alle politiche che ha escluso tutta la minoranza critica (20%) all'ultimo congresso, a polemiche in più federazioni.

Del "caso Melandri", con tutte le ripercussioni negative in ambienti pacifisti e cattolici ho già detto.

Elementari norme di garanzia per evitare di ripercorrere strade negative dovrebbero essere:

- non identificazione tra direzione politica e cariche parlamentari (questo era proposto in forma molto più radicale in un vecchio testo - 1968 - di Libertini "10 tesi per un partito di classe");

- forte presenza operaia nei gruppi parlamentari e nei consigli regionali ... Questa non è una garanzia assoluta, dati i rischi di "istituzionalizzazione" da cui nessuno è esente, ma ... La non ricandidatura o rielezione di Calini e Voccoli è un fatto negativo che aumenta la composizione del gruppo parlamentare da parte di funzionari, segretari di federazione che percorrono una sorta di "cursus onorum";

- rotazione nelle cariche. Occorre stabilire un criterio preciso (due congressi o due mandati parlamentari) e non lasciare le decisioni al "caso per caso";

- divieto di cumulare più cariche od incarichi (anche questo con norme precise);

- forte snellimento degli organismi dirigenti. Che funzione ha, se non quella di ratificare - lasciamo perdere gli enormi costi - un comitato politico nazionale di circa 300 persone? E non è pletorica una direzione di 50? L'accontentare tutti (regioni, componenti, rappresentanze sociali ... ) rischia di creare organismi elefantiaci e privi di funzione alcuna. Anche questo è déja vu. Meglio organismi snelli con forte attivizzazione di regionali e commissioni tematiche;

- funzionariato attribuito nella quasi totalità dei casi a chi ha "possibilità di reversibilità", cioè di tornare alla propria occupazione precedente. Questo eviterebbe il funzionariato a vita e le conseguenti forme di conformismo (si ricordi il comportamento dei funzionari nell'ultimo periodo del PCI).

Anche su questo terreno occorre una forte discontinuità con esperienze precedenti, pena il ripercorrere la stessa china (le scelte organizzative e i modelli organizzativi sono spesso intrecciati alle scelte politiche).


3) Governo e destre


L'adesione di Rifondazione all'alleanza progressista è stato un errore di linea e di prospettiva. Il programma politico comune significava alleanza politica, non tatticamente elettorale, con forze come A.D., come i socialisti, come lo stesso PDS, verso i quali, a sinistra, dobbiamo invece essere alternativi. Non a caso, la relazione all'ultimo congresso era di Lucio Magri che avrebbe lasciato Rifondazione un anno dopo.

L'accordo di desistenza con l'Ulvio (marzo) era indispensabile per battere le destre e la Lega, ma doveva essere accordo elettorale. Non a caso i programmi politici erano diversi (economia e temi sociali, questioni istituzionali, politica estera, scuola) su tutte le questioni focali. Questo il senso di una mia dichiarazione pubblicata a marzo sul mensile della federazione.

Il dato elettorale ha dimostrato una ulteriore crescita della destra che ha perduto solo perché divisa e a causa di errori grossolani. Esiste, però, al di là dei tanti sciocchi trionfalismi una maggioranza di destra a livello sociale, culturale che può divenire maggioranza parlamentare, ma che soprattutto ha la possibilità di erodere lo scarso consenso della sinistra, moderata o alternativa che sia.

Questa maggioranza può essere intaccata solo da una politica di profonda trasformazione a livello sociale e a livello morale. Il governo Prodi già dalla sua composizione (Dini - ma non era il rospo? -, Ciampi, un conservatore come Di Pietro, pronto a traghettare ... ) ha dimostrato di non poter mettere mano ad un reale cambiamento. I primi 4 mesi lo confermano chiaramente. La comprensione ai bombardamenti di Clinton, le strette di mano ai governanti turchi, le scelte scolastiche di Berlinguer (autonomia degli istituti, numero chiuso all'università), le scelte economiche (gabbie salariali, lavoro interinale, finanziaria che ricorda quelle di Amato), gli stessi criteri seguiti in molte nomine sono prova del fatto che:

- questo governo è' in continuità con quelli di Amato, Ciampi, Dini;

- l'autonomia dei governi nazionali rispetto alle politiche internazionali e alle gabbie di Maastricht è inesistente;

- tutti i governi anche della sinistra moderata in Europa (Francia, Spagna) non sono in grado di impostare scelte veramente alternative rispetto alla destra.

Rifondazione ha sostenuto di votare la nascita del governo e di giudicarlo sui singoli provvedimenti. La sua opposizione su molti atti (dalle nomine RAI, ai bombardamenti, alle proposte sulla STET, ai nuovi tagli su pensioni e sanità ... ) ci dà grande visibilità sui mezzi di informazione, ma non riesce né a modificare il carattere di fondo della finanziaria (privatizzazioni, Maastricht ... ) né a costruire reali movimenti di massa. Il passaggio di Rifondazione alla maggioranza è un oggettivo strappo rispetto alle stesse dichiarazioni sulla desistenza.

Certo, la caduta del governo ha come scenari nuove elezioni (con maggioranza alla destra) o inciuci che porterebbero ad un ulteriore peggioramento della già orrenda legge elettorale.

Restano i fatti che:

- una uscita dalla maggioranza può essere obbligata o perché ci sostituiscono con altri più malleabili o perché siamo costretti ad uscirne su punti irrinunciabili (l'ultima "linea del Piave" è stata fissata su pensioni e sanità). Questo potrebbe non essere capito da un partito non preparato a dare il giusto giudizio su questo governo (non solo su alcuni suoi esponenti) e da un "popolo di sinistra" ancora perso nei festeggiamenti per il governo "a cui si può dare del tu";

- un governo di centro sinistra che non presenta alcun elemento di novità e di rinnovamento rispetto a quelli precedenti favorisce una forte crescita della destra che su questo aumenterà ulteriormente i suoi già consistenti legami di massa. L'incomprensione della natura della Lega (dalla scandalosa disponibilità a maggioranza con essa prima delle ultime regionali, alla sottovalutazione del pericolo da essa rappresentato - da qui la non risposta domenica 15 settembre che ha mostrato le due destre, quella secessionista e quella nazionalista, - alla errata valutazione che la risposta ad essa sia tutta e solamente sul terreno sociale) si accompagna al rischio di un movimento di studenti e da spinte di disoccupati, soprattutto a sud, gestito da A.N. Questo sarà ancora maggiore dopo una finanziaria (100.000 miliardi) che non rappresenta svolte su nessuno dei punti qualificanti. Irrinunciabile diventa una forte denuncia di questo governo, il rifiuto di votare suoi atti quando i nostri voti non siano necessari (ad esempio perché l'appoggio alla candidatura Mancino al Senato?), il ripresentare alcune proposte (scala mobile, scuola, fisco, ma anche riforme dei codici, obiezione di coscienza, immigrazione, tossicodipendenza, questioni internazionali, trasformazione dei "corpi separati") dimostrando la loro non realizzabilità in questo quadro. L'uscita dalla maggioranza (rischiamo di essere letti "come gli altri") deve essere immediata. Il non appoggio, al governo può essere deciso non a freddo, ma dopo una forte campagna di massa, legata al nodo della finanziaria.

La continuazione delle scelte di oggi rischia di farci subire un logoramento simile a quello vissuto dal PCI nell'infausto triennio 1976/1978, in una situazione (peso del partito, legami di massa, sindacato, presenza della destra, soprattutto sbandamento totale e mancanza di riferimenti della "gente") infinitamente peggiore. Gli stessi nostri atteggiamenti sulle proposte di finanziamento ai partiti e sulle indennità parlamentari (proposta per una loro riduzione presentata da A.N.) rischiano di accrescere la nostra "omologazione" agli occhi di lavoratori non politicizzati. Così pure la nostra partecipazione a giunte locali, laddove non siano chiaramente orientate a sinistra e abbiano alloro interno esponenti della vecchia politica (democristiani, socialisti ... più o meno riciclati).

La polarizzazione sui due documenti congressuali, rischia di ridurre il dibattito ad un referendum sull'appoggio o meno al governo, che cancella tutti gli altri elementi meno contingenti e che, oltre tutto, potrebbe vedere la situazione cambiare radicalmente "in corso d'opera".


4) Sindacato


Dalla sua nascita, Rifondazione non è riuscita ad elaborare una linea sindacale precisa. Ogni militante ha quindi agito secondo scelte non di organizzazione (sinistra CGIL, COBAS, CUB, RDB...). Il documento di maggioranza, frutto certamente di spinte opposte e di mediazione, ancora una volta, non offre indicazioni. Al congresso della CGIL, la nostra posizione è stata debole e contraddittoria. I sindacalisti iscritti al nostro partito sono riusciti a dividersi fra aderenti ad "Alternativa sindacale", a "Cara CGIL", alla maggioranza (tralasciamo il fatto che nostri iscritti hanno firmato gli accordi Alfa e Unidal). Al congresso nazionale vi è stato un intervento di Rifondazione a favore di una parte degli aderenti ad "Alternativa" che ha provocato una spaccatura nella componente e che prefigura l'ipotesi di componente dei comunisti. Questa scelta, oltre che dannosa, è impraticabile, per la forte presenza di un sindacalismo extra-confederale e per le diverse scelte che gli iscritti a Rifondazione hanno, da tempo, compiuto.

Si tratta, invece, di considerare come inevitabile la necessità di costruire un sindacato di classe, autonomo nei suoi contenuti e basato su una forte democrazia interna esterna (verso i lavoratori). Questa costruzione è ovviamente processuale e deve passare per l'attivazione immediata di un coordinamento fra la minoranza nella CGIL e il sindacalismo extraconfederale di cui devono essere combattute la frammentazione e oggettive, anche se comprensibili, tendenze "corporative".


5) Per una sinistra alternativa


Si è costruita, ed è cresciuta, negli ultimi anni, nel nostro paese, una destra variegata e differenziata, capace di presa sociale su strati differenti della popolazione. Certo, la più pericolosa a livello europeo, anche per la presa di massa, a causa delle scelte della sinistra.

Si è costruito, avendo il PDS come asse, un centro sinistra, sostanzialmente moderato, interno all'attuale sistema economico e politico.

E' indispensabile e ancor più lo sarebbe stato contestualmente all'accordo con l'Ulivo, la costruzione di un polo di sinistra.

Occorre dimostrare, nei fatti, che si può sfuggire alla marginalizzazione o alla semplice testimonianza da parte di chi voglia opporsi alle destre, senza rinunciare all'ipotesi di trasformazione dei rapporti di produzione (consumo ... ) e alla radicalità delle scelte, rifiutando la "corsa al centro" (neo liberismo, partito leggero, politica spettacolo, abbandono dei riferimenti sociali).

Rifondazione deve quindi proporsi come il nucleo di un polo politico, sociale e culturale che aggreghi la sinistra critica e alternativa, non legata semplicemente alla difesa di simboli o bandiere, e che guardi al di là delle pur importanti scadenze elettorali.

I riferimenti di questa costruzione debbono essere l'ecologismo politico che metta in discussione i rapporti di produzione e che abbia la volontà di sintetizzarsi con il pensiero marxista, il femminismo che rifiuti l'indifferenza per la politica, il radicalismo cristiano che recuperi tutte le esperienze di critica alla società esistente (dai "Cristiani per il socialismo" alla "teologia della liberazione" ... ) le formazioni pacifiste che vivono una crisi oggettiva, il sindacalismo di base, la rete dei centri giovanili con i quali instaurare un rapporto non acritico, ma non strumentale.

Solo un polo di una sinistra critica e antagonistica può organizzare forze diverse, partitiche e no e può uscire da dispute politiciste e dal rischio, facile da negare, ma non da praticare, di essere risucchiata in una pratica oggettivamente opportunistica.

Questa proposta deve accompagnarsi alla critica, fraterna, ma netta dei limiti e degli errori delle forze ambientaliste (il né di destra né di sinistra), pacifiste (l'incapacità di analizzare cause reali dei conflitti, di settori del movimento femminista ... Grave (anche in loco) l'incapacità di un reale coordinamento, di rimessa in discussione dei propri punti di vista che debbono sempre essere dialettizzati (pensiamo ai dogmatismi non violenti), il rinvio continuo di una "discesa in campo" chiara sul terreno politico.

Errore più grave la incomprensione del pericolo rappresentato dalla "proposta Maccanico", contro la quale Rifondazione si è trovata, di fatto, sola.

Rifondazione non ha, però, percorso questa ipotesi, come dimostra la scarsa attenzione prestata all'esperienza dei Verdi alternativi (si è scelto il rapporto con le Liste Verdi, senza incidere sulle loro contraddizioni) o la non apertura delle nostre liste a esperienze a noi esterne (anche questo avevo chiesto nella mia "dichiarazione" sul notiziario di marzo).

Solo un nostro profondo cambiamento ed un incamminarci con convinzione nella costruzione di una sinistra alternativa può permetterei:

- di costruire un rapporto politico stabile che ci permetta di superare i nostri limiti;

- di operare realmente quell'incontro (niente nuovismi, per carità!) di storie, culture... oggi indispensabile;

- di aprire, non strumentalmente, a settori che fatichiamo tradizionalmente a contattare, ponendoli davanti a scelte non più rinviabili.

Questo insieme di temi, senza alcuna presunzione, credo che sarebbero dovuti essere al centro della nostra riflessione e di una vera rifondazione mai avvenuta in questi 6 anni. Il congresso sarebbe dovuto essere quello di vera svolta (proposta politica, asse teorico, costume interno ... ).

Tutto questo mi sembra mancare drammaticamente nel documento di maggioranza, pure da molti letto come modificatore della nostra cultura politica, che è invece una valutazione sulla fase a breve medio termine. La sua affermazione significherà la sua interpretazione - anche diversificata - da parte dei gruppi dirigenti locali e l'adattamento alle scelte tattiche dei dirigenti nazionali.

Più articolato il documento di minoranza che corre però il rischio di essere letto solo nella parte relativa al governo (sì e no). Anche per questo, ho sperato nella nascita di una terza mozione che non fosse di mediazione ("Cara Rifondazione"), ma che cercasse di arricchire il dibattito (anche in prospettiva).

In base a questo, voterò il secondo documento, pur riconoscendone limiti, continuerò a svolgere la carica di consigliere provinciale, e attività culturali (CIPEC), ma chiedo ai/alle compagni/e di esonerarmi da qualunque incarico direttiva a qualunque livello.


Cuneo, settembre/ottobre 1996


NOTA

1) Il convegno non si è, purtroppo, svolto.

2) In realtà, il congresso del dicembre 1996 porterà il comitato politico a ben più di 300 componenti.



Dopo Genova: considerazioni e proposte.

Luglio 2001


I gravissimi incidenti, a Genova, di venerdì 20, l'aggressione subita dai 200.000 manifestanti, il giorno successivo, l'irruzione notturna nella sede del Genoa social forum, l'impunità concessa a chi ha compiuto azioni violente, i sospetti, più che documentati, su infiltrazioni e uso di forze della estrema destra come sabotaggio del movimento "no global", il comportamento delle forze dell'ordine (pestaggi indiscriminati durante la manifestazione e dopo, violenze contro i fermati di cui si sta occupando la stessa Amnesty International) sono finalizzati ad inviare un chiaro messaggio a tutte le forze di opposizione a spingere alcuni settori di queste ad una deriva violenti sta e "militarizzata", cosa che farebbe il gioco delle forze dominanti

Se sono giusti e doverosi lo sdegno, la controinformazione, la denuncia, una riflessione è necessaria per non cadere nella spirale repressione/protesta/repressione, per evitare la frammentazione di un movimento che costituisce un importante elemento di controtendenza nel quadro nazionale e internazionale, per allargarlo in quantità e qualità.

Come continuare?

l) Il movimento antiglobalizzazione è nato in Italia, ad eccezione di pochi pionieri (i Sin.Cobas) con un certo ritardo e raccoglie forze, gruppi e associazioni molto differenziati, con settori più "moderati" e settori più "radicali", settori con attività più "specifica" e altri con impegno più "complessivo e generale". Non mancano, all'interno, tensioni, "lotte" per l'egemonia e la visibilità, come sempre accaduto in simili realtà. E' indispensabile che l'unità raggiunta si consolidi non su identità o temi ideologici, ma sui nodi reali, non eludendone alcuno. Il movimento deve crescere, ramificarsi a strati più ampi della popolazione, a vasti settori giovani1i al mondo del lavoro.

2) Condizioni essenziali la pluralità delle componenti, la legittimità di posizioni diverse, 1'attitudine unitaria. Servono strutture adeguate di discussione e mobilitazione. L'esperienza del Genoa social forum deve essere continuata a livello locale e nazionale, superando l'attuale assetto di semplice coordinamento.

3) Serve una chiara dichiarazione di intenti che superi la fase della "resistenza", che eviti di "ritualizzare" i controvertici (negli ultimi mesi quanto abbiamo discusso di contenuti e quanto di aspetti puramente organizzativi?). Le discriminanti non debbono avvenire su formule o ideologie, ma su temi complessivi che colgano la materialità dei processi in atto e le contraddizioni aggravate dal neoliberismo: lo sfruttamento della terra, il conflitto capitale/lavoro, l'oppressione delle donne, la fame, la guerra...

4) Serve una connessione tra globale e locale. Centrale l'esempio della Danone, dove si è legato lo sciopero dei dipendenti al boicottaggio dei prodotti.

5) Resta, al di là di dispute teoriche e di storie personali o collettive, fondamentale il rapporto con il "vecchio" movimento operaio.

6) La costruzione di sedi unitarie non deve cancellare né l'impegno dei singoli soggetti su temi specifici loro propri, né il lavoro di strutture nuove. ATTAC è una di queste e la sua recente nascita, anche in Italia, è elemento nuovo, senza attribuirle compiti (sindacali, partitici. .. ) che non le competono.

7) I comportamenti polizieschi e 1'esistenza di un governo di destra, forse la peggiore a livello europeo (intreccio di post- fascismo, separatismo, neo- razzismo, populismo demagogico), rischiano di spingere settori di movimento a scelte violentiste. Dobbiamo ragionare sul fatto che gli scontri nelle manifestazioni, oltre al grave costo umano, sono serviti alla destra (si vedano i suoi giornali e le sue reti televisive) a lanciare una campagna di identificazione fra protesta e teppismo, ad accusare di connivenza con atti criminali gli organizzatori del GSF (a cominciare da Vittorio Agnoletto)

La indubbia presenza di infiltrati e di provocatori dimostra anche ai ciechi che qualunque atto violento fa semplicemente il gioco dell'avversario. Di questo si deve discutere con i giovani, con settori dei centri sociali (si veda la brutta intervista ad un esponente torinese di uno di questi, su

"Repubblica" di venerdì 13 luglio), ricordando loro che la deriva terroristica della seconda metà degli anni '70 è una (non l'unica) delle cause della sconfitta della sinistra e delle forze popolari nel nostro paese. Ricordiamo, inoltre, che ogni risposta militarizzata si presterebbe, data la concentrazione di potere e la forza degli apparati di coercizione, a provocazioni e infiltrazioni di ogni tipo e che sempre maggiore, per motivi politici, culturali e sociali, è la presenza di un' estrema destra che a questo sembra deputata.

Altra questione è la necessità di un minimo servizio d'ordine che deve evitare ogni rischio di tipo militarista (la storia dei gruppi, ma non solo, insegna). Ogni partecipante alla manifestazione del 21 ricorda il senso di impotenza vissuto prima degli incidenti, anche per la totale incapacità di controllare chi entrava nel corteo e ne usciva e che cosa facesse.

Altra questione ancora è la discussione teorico- storico- filosofica sulla nonviolenza sulla quale è importante contestualizzare, distinguere fra diverse situazioni, non cadere in dogmi che spesso sono altrettanto rigidi di altri. Ricordiamo l'esperienza armata zapatista, ma anche la recente Marcia; protetta solo dal favore della popolazione e dalla presenza dei media, sino a Città del Messico.

Quattro proposte. Sigle, partiti, sindacati ...

La costruzione, a Cuneo, di una sede di discussione e di organizzazione della manifestazione è stata importante. La discussione di mercoledì 25, certo condizionata dall'emozione vissuta da molti dei partecipanti alla manifestazione, ha, però, messo in luce problemi non piccoli e diversità di valutazioni e di prospettive. Proviamo ad elencare quattro proposte perché almeno siano discusse:

1) Controinformazione. E' la prima necessità dopo Genova. Utili le denunce, le testimonianze. Non limitiamo questo all'uso, pur fondamentale, di Internet. I giornali locali sono stati importanti nel tentativo di offrire le nostre valutazioni (utili le tre pagine sulla "Guida", quella su "Cuneo 7", i tre servizi sulla "Stampa". Bisogna continuare il lavoro, legando alla nostra versione (quella vera) dei fatti, la discussione dei grandi temi (pace, fame, economia, ambiente ... ).

2) Global social forum. La sua costruzione in tutto il paese è condizione perché quanto costruito in questi mesi, o anni, non si disperda carsicamente. Non si tratta di offrire o imporre linee politiche, ma di dare vita a una struttura, per quanto esile, che si rapporti a quella nazionale e che garantisca collegamenti, iniziative, scambio di idee, a livello locale. Un portavoce e/o un piccolo numero di persone rappresentative di tutte le anime esistenti, e sempre revocabile, eviterebbero decisioni prese "autoritariamente" da pochi, in situazioni di emergenza.

3) La dimensione provinciale. Non possiamo chiuderci in Cuneo e valli. Senza centralismi, occorre contattare tutti i centri della provincia, confrontare le esperienze e mantenere collegamenti.

4) Iniziative. Gli incidenti e la presenza degli otto "'grandi" hanno cancellato l'aspetto più significativo del controvertice: il gran numero di convegni, dibattiti, conferenze che hanno affrontato i problemi sul tappeto, quelli già messi in luce dall'incontro internazionale di Porto Alegre, o in dimensione minore, all'assemblea italiana di ATTAC. Perché non portare questi temi in iniziative su tutto il territorio provinciale? Perché non confrontarci, anche nelle differenze, su:

- interpretazioni e analisi della globalizzazione (novità, continuità, accentuazione, importanza o meno degli stati nazionali);

- economia mondo;

- economia e criminalità;

- questioni ambientali (clima, effetto serra, accordi di K yoto);

- rapporto tra nodi economici ed emergenza ambientale;

- debito estero dei paesi poveri e Tobin tax;

- questione di genere (marcia delle donne ... );

- salute;

- cibo, agricoltura, OGM;

- corsa agli armamenti, scudo spaziale, riconversione industria bellica.

Questo non deve cancellare (e come potrebbe?) le specificità o l'impegno sui singoli problemi (Emmaus, la Caritas, le botteghe del commercio, la Scuola di pace, l'attenzione al marxismo critico del CIPEC ... ) né ipotizzare centralismi o "comitati centrali". Deve semplicemente offrire forme di collegamento, di analisi e anche di confronto (l'esaltazione delle differenze rischia di renderle stati che e di creare le solite dinamiche di identità di gruppo, presenti tra marxisti, tra cattolici, e ancor più tra chi dice di non avere identità).

Il semplice pensare a forme di "controinformazione informatica", o di "rete delle reti", o di continuazione delle attività delle singole associazioni, come emerso nella tesa assemblea di mercoledì 25, sarebbe un passo indietro e contribuirebbe a sprecare una grande potenzialità.

Occorre, ovviamente, chiarire i rapporti con partiti e sindacati. Grave l'atteggiamento dei sindacati confederali, CGIL compresa, il cui onore è stato salvato dalla sola presenza della FIOM che, a livello locale, ha partecipato ad iniziative solo negli ultimi giorni.

Tutti ricordano Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI, affermare a chiare lettere, alla TV, che mai e poi mai avrebbe partecipato al controvertice.

I DS sono riusciti ad organizzare il vertice dei grandi, quindi ad aderire alle iniziative di protesta contro questo, infine a sfilarsi, in un momento drammatico, il giorno precedente la manifestazione, in uno stato di confusione politica di differenze interne e di contraddizione sugli stessi grandi temi che la protesta ha sollevato. Se sono comprensibili le dichiarazioni di dirigenti che dicono di non aver voluto esporre i giovani, è grave l'assenza di quasi tutti i parlamentari e componenti gli organismi nazionali.

Indubbiamente, Rifondazione è stata l'unica organizzazione partitica nazionale ad avere contribuito alla crescita di questo movimento, anche a livello locale. Errati, però, anche per le reazioni difensive e di chiusura che ha provocato, l'atteggiamento nel corso della manifestazione unitaria di martedì 24 a Cuneo e lo stesso modo di rapportarsi ad una discussione collettiva. Il rapporto tra partiti e movimenti (sindacali, giovanili, culturali, associativi ... ) deve essere chiaro e non prestare il fianco ad accuse di strumentalismo. Occorre che militanti di partito facciano parte dei movimenti a pieno titolo, senza mimetismi, senza collocarsi all'esterno, costruendo un rapporto fra "realtà distinte" cosa che produrrebbe debolezza e ridurrebbe i partiti ad un ruolo testimoniale di chi esprime giudizi saccenti dal!' esterno o tenta di ricavare profitti elettorali. I rischi di residualità debbono sempre essere presenti, in una realtà in cui la destra trionfa, in cui i DS sono in molte regioni al 10%, in cui i comunisti italiani prendono i voti che prendeva DP, i Verdi passano in 10 anni dall'essere la quarta forza in Italia alla quasi inesistenza e in cui Rifondazione non riesce a raccogliere neppure parzialmente questa frana (è meno forte elettoralmente e organizzativamente di quando è nata).

La radicalità della protesta esige un progetto più complessivo e una dinamica ricompositiva in cui i differenti soggetti possano riconoscersi e rappresentarsi unitariamente. A un movimento globale deve corrispondere una piattaforma globale. Il partito è necessario e non è confliggente con la totale autonomia dei movimenti. A patto che sia socialmente utile, all'organizzazione e alla elaborazione.

Questo atteggiamento deve basarsi sulla capacità di proporre e di essere se stessi, ma al tempo stesso di conoscere, discutere, imparare, confrontare, cosa fondamentale dopo il crollo di tutti i modelli di società alternativa e davanti alla necessità di "rifondare" progetti, modelli organizzativi, prospettive di alternativa.

E' una possibilità non scontata, resa difficile da tanti errori del passato, dalla pratica dei partiti socialdemocratici e di quelli stalinisti che hanno sempre privilegiato la pratica strumentale della sovrapposizione.

Offriamo queste riflessioni, senza presunzione, nella speranza di una discussione collettiva e della continuazione ed estensione di una esperienza che riteniamo importante.


Cuneo, luglio 2001.


E' possibile una lista di sinistra alternativa alle prossime comunali?

16 dicembre 2001


a) La situazione è quella che è:

- in Italia un governo di destra che attacca frontalmente sui diritti sociali (articolo 18, contrattazione, scuola, sanità ... ) ed è reale pericolo per gli spazi democratici (leggi sul falso in bilancio, sulle rogatorie, insulti a "Forcolandia", dichiarate "convivenze" con la mafia, attacco alla Magistratura, all'immigrazione, per non parlare dell'uso delle forze dell'ordine a Genova o di fatti specifici, carcere). Si conferma il nostro giudizio su una destra eversiva, intreccio di (post)fascismo, integralismo cattolico, razzismo, ma capace di conquistare anche forti consensi in settori popolari.

- a livello internazionale si sono rivelate utopiche le speranze di chi credeva che il crollo dell’est

corrispondesse a una fase di pace e di democrazia. Dominio politico e militare di una sola potenza, aumento del divario fra Nord e Sud del mondo, ricorso frequente alla guerra, massacro della popolazione civile, affermazione delle peggiori tendenze integralistiche nei vari campi.

Le forze politiche democratiche e di sinistra italiane (e non solo, si pensi a tutta la socialdemocrazia europea) sembrano non cogliere la drammaticità della situazione. Opposizione debole, incapacità di rimettere in discussione scelte che hanno favorito l'affermazione della destra (concertazione, politica dei redditi, legge sulla parità scolastica, aziendalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, legge elettorale, mancanza di interveto sul sistema informativo, sulla promesse leggi antitmst e sul conflitto di interessi). La situazione della sinistra non è mai stata così grave: perdita di legami e di riferimenti sociali, crollo elettorale (molti partiti hanno il peso di forze minoritarie, mentre altri rischiano di ridursi a formazioni regionali), scomparsa delle sezioni territoriali, isolamento dei settori più avanzati e del marxismo come strumento di lettura e di interpretazione della realtà.

Il recente congresso dei Democratici di Sinistra non ha compiuto alcuna svolta. Ha accentuato strategia e programmi che avevano portato alla sconfitta elettorale e al declino organizzativo. L'adesione alla socialdemocrazia europea non è un fatto nuovo e non sembra in grado di aggregare neppure i Socialisti Democratici di Boselli. La mozione Berlinguer, che ha giustamente riproposto i problemi del lavoro, non ha saputo legare al grande tema della globalizzazione. Il vergognoso voto sull'ingresso dell'Italia in guerra ha coinvolto la gran parte del partito e si è sommato al gravissimo atteggiamento in occasione del vertice G8 a Genova (organizzazione di questo, decisione di partecipare alle manifestazioni, controdecisione). Non a caso, la "Rivista del Manifesto" titola: Sotto il riformismo niente.

Verdi e Comunisti italiani, nonostante alcune prese di distanza dalle scelte più macroscopiche dell'Ulivo (guerra) e la proposta di un allargamento di questo, non riescono ad uscire dai suoi limiti.

Oggi più che mai, il problema torna ad essere la costruzione di una sinistra alternativa, capace di sommare:

Questa nuova sinistra deve intrecciare l'esistenza di partiti con strutture non partitiche, legare esperienze anche molto diverse, tentare di unire la tradizione del movimento operaio con nuove forme e nuovi soggetti, pensare anche a rinnovate forme organizzative senza correre dietro a tutti i nuovismi (già fatto!), uscire da ogni forma di subordinazione rispetto alla sinistra moderata, rifiutando, però, anche ogni atteggiamento di autosufficienza o di estremismo.


b) Cuneo e dintorni. Un po' di storia e un giudizio.

Rifondazione è nata nel 1991 senza ereditare alcun consigliere dalla rottura del PCI. Le sue prime prove elettorali sono positive: nel 1994 non si prende il consigliere a Borgo S. Dalmazzo per una manciata di voti e per alcuni errori, a Mondovì una lista che raccoglie PRC, Verdi e Rete ottiene addirittura il 9%, dimostrando la necessità di nuovi riferimenti non strettamente "di partito".

Alle comunali del 1995, Rifondazione decide presentazione autonoma a Bra, presenza all'interno di Cuneo Viva a Cuneo e per gli impegni in altre scadenze (regionali, provinciali) e per una oggettiva debolezza e per la convinzione, propria di molti, della necessità di avere in città, per la prima volta, un sindaco non DC. Candidato è Luigi Dalmasso, già segretario della sezione PCI, che ottiene un buon risultato personale e fa parte della lista per un anno. La lascia nel settembre '96, per il permanere dell'alleanza Cuneo Viva/Lega nel momento di peggiore recrudescenza separati sta di questa. In seguito da Cuneo Viva usciranno BaravalIe, Morini, Vecchio, Ferrari.

Nel 1998, Rifondazione decide, non senza contraddizioni, la partecipazione alla lista Cuneo Ecosociale (PRC- Verdi- altri). In disaccordo, se ne va Luigi Dalmasso, consigliere uscente.

Cuneo Ecosociale ottiene un risultato modesto (3.8%), ma un assessore (Allario) e due consiglieri (Gemma Macagno oltre a me). La lista, nonostante qualche tentativo mio, non ha, sostanzialmente, vita. Pochi incontri, poche discussioni; la sua esistenza dipende dal lavoro dell'assessore e da qualche iniziativa dei consiglieri.

Ovvie, in una logica, accettata e firmata, di maggioranza, le contraddizioni sulla viabilità (dove sono finite la proposta di legge dell'allora PCI, le posizioni di tutti gli ambientalisti per anni e anni critiche verso l'autostrada a favore di altre soluzioni?), sul parco fluviale (perché, a ventidue anni dalla richiesta, neppure un metro?), sulla stessa est-ovest (perché questo tracciato e non uno più alto, in area meno antropizzata?), sulle nomine, su cui si è mantenuta una negativa continuità all'interno della perversa logica maggioritaria: Chi vince prende tutto.

Continuare questa esperienza sarebbe la cosa più facile: ci collocherebbe all'interno di una alleanza che può vincere, faciliterebbe le iniziative, poche o tante, della campagna elettorale, a cominciare dalla raccolta firme, potrebbe dare a qualcuno/a incarichi o nomine.

Riprodurrebbe, però, inevitabilmente, le contraddizioni sopra ricordate e sulle grandi questioni di collocazione nazionale o internazionale e su alcuni nodi locali.


c) Una proposta: da discutere, verificare, accogliere, cestinare.

E' possibile costruire una lista, non di partito, a cui Rifondazione collabori e partecipi, senza imporre, però, nome, e simbolo. Questa può essere, anche in una realtà locale, strumento di discussione e di lavoro che vada al di là della, pur importante, scadenza elettorale.

Deve avere la capacità di essere autonoma verso i due maggiori poli, di elaborare un programma semplcie, basato su alcune scelte qualificanti, di pensare ad una campagna elettorale spartana e capace di mettere in luce i temi fondamentali (non abbiamo, rispetto alle grandi forze, neanche un centesimo dei mezzi e delle forze).

Deve avere la capacità di parlare ad una sinistra mai come oggi in crisi di identità, a chi non vota, a quelle parti di movimento operaio che hanno tirato su la testa, primo elemento di controtendenza rispetto all'egemonia della destra, al movimento giovanile che sente sdegno per un mondo ingiusto, sente che un'altra realtà è necessaria e indispensabile, che tenta di legare le grandi tematiche globali (pace, ambiente, rapporto nord/sud) con la realtà locale e un impegno in essa.

Deve essere totalmente autonomo rispetto ai due poli, ma non equidistante: il meccanismo a doppio turno consente di caratterizzarsi al primo e di opporsi a Berlusconi e c. al secondo. Le giuste critiche ai governi dell'Ulivo e alle forze che lo compongono non possono farci dimenticare l'opera di massacro sociale e culturale che i governi polisti stanno attuando. Le comunali di Cuneo non sono certo determinanti per la difesa dello stato sociale o degli spazi di democrazia in Italia, ma una vittoria della destra avrebbe ovvi effetti a catena su tutta la provincia (non dimentichiamo che Cuneo è capoluogo di provincia e ha, quindi, anche valore simbolico).


d) Due idee per un programma minimo.

Viabilità. La ripresa della critica (per motivi ambientali e di potere economico) al progetto autostrada e al Mercantour deve accompagnarsi al rilancio (non elettorale) del Tenda bis e della Maddalena, al raddoppio della linea ferroviaria Cuneo - Fossano, alla elettrificazione della Cuneo - Ventimiglia, al rilancio del servizio pubblico è della viabilità minore. Che tutti si siano convertiti salendo sul carro del vincitore è segno di conformismo, non certamente di coerenza.

Traffico. Se è positiva l'elaborazione del Paino Urbano Traffico (PUT), è senso comune che i problemi del traffico in città si stiano aggravando progressivamente. Non positivo, anche se dovuto a cause di forza maggiore, il rinnovo per sei anni della convenzione per i parcheggi. La situazione peggiorerà sino a che non si avrà il coraggio di chiudere al traffico parte della città, creando parcheggi laterali e servizi navetta.

Parco fluviale. Se ne parla da venti due anni e si continua a rimandare. Da anni sono state delimitate sette aree protette. La costruzione dell'autostrada cancella il progetto originario della associazioni ambientaliste su cui era anche stata presentato progetto di legge regionale (Cavaliere) e numerose istanze a livello locale (consigli comunale e provinciale).

Questioni sociali. Attenzione ai settori più deboli della società; riduzione dell'ICI prima casa.

Immigrazione. Accettazione della piattaforma presentata dal Coordinamento Immigrati cuneese (CIC), a cominciare da lavoro, casa, assistenza. Istituzione del consigliere comunale aggiunto.

Partecipazione. Aumento della partecipazione dei cittadini, dei quartieri (discussione sulla loro rappresentanza). Discussione pubblica su alcune scelte di bilancio. Istituzione del difensore civico.

Piano regolatore. Discussione su alcuni elementi di questi ad incominciare dal modo di applicazione della "perequazione" e dai criteri di espansione della città (quali problemi crea l'espansione oltre i fiumi rispetto a quella sull'altipiano, verso sud?)

Politica culturale. Positive alcune iniziative, ma continua la mancanza di una politica complessiva. Occorre ricostruire un disegno, un fisionomia dell'intervento pubblico in campo culturale, a cominciare da cinema, musica e dal decentramento verso i quartieri.

Università e giovani. Positivi i risultati ottenuti in campo universitario. Ma occorre adeguare "Cuneo vecchia" a città che abbia l'università (residenze, biblioteca, strutture per i giovani). La politica giovanile non può essere delegata a Nuvolari. E' luogo comune, da cancellare, che A Cuneo per i giovani non vi sia nulla.

Sulle questioni pace, Resistenza, democrazia ... occorre una azione più incisiva e continuativa.


Non so se su queste osservazioni sarà possibile andare, in tempi brevi, a discussione e costruzione di una lista che attivizzi persone e sia elemento aggiuntivo (mancato sino ad ora) nelle prossime elezioni. Qualora non si arrivasse a questo, credo che sarebbe l'ennesimo errore e l'ennesima occasione perduta che si sommerebbe al mancato dibattito sulla sinistra alternativa e allo stallo, del locale Social forum. In questo caso, ad uscire sconfitta sarebbe l'idea di (ri)costruzione di una sinistra che ridia significato al proprio nome. .

Cuneo, 16 dicembre 2001.



Brevi note sul nostro congresso.

25 dicembre 2004

Come già detto e scritto, avrei preferito un congresso diverso, basato su una discussione reale e partecipata circa i grossi nodi che Rifondazione ha, non da oggi, davanti a se, non ultimi identità, radici, storia, riferimenti, sino ai rapporti con le enormi questioni globali.

A differenza di Gianni Alasia, non uso il termine correntismo. So che tendenze sono sempre esistite nella lunga storia del movimento operaio, so quanto abbia negativamente pesato la cancellazione di queste nel tremendo frangente della guerra civile in URSS, so quanto questo fatto, legato alla abolizione della libertà di stampa, costituisca un precedente per la profonda involuzione successiva che ha cancellato ogni forma di democrazia di base (i Soviet), ogni pluralismo nel partito e nella società, anticipando quindi il termidoro staliniano.

La preoccupazione riguarda rischi, altre volte verificati, di un congresso come quello che si sta aprendo:

Altra cosa è la legittimità di posizioni differenziate, di critiche al gruppo dirigente, della stessa liceità di riviste, associazioni culturali, incontri organizzativi che giustamente sono entrati, anche se con difficoltà, nella prassi del nostro partito (e dello stesso PCI nel suo ultimo periodo).

Impegno comune deve essere quello di ricordare che siamo un solo partito, che da questo congresso dovremmo uscire più forti, con maggiore capacità di impatto esterno, di aggregazione, anche, ma non solo perché avremo a ridosso una scadenza non facile (le regionali e forse i referendum sulla fecondazione assistita).


Quali nodi per il congresso?

Altro pericolo è che l'intero dibattito verta su un solo tema, quello cioè della nostra partecipazione alla GAD e ad un futuro (ipotetico dato il rilancio della destra) governo.

Insisto sul fatto che quasi tutti gli altri congressi siano avvenuti su un solo punto:

1991: la necessità di dimostrare l'esistenza di una forza comunista

1994: l'adesione all'alleanza progressista

1996: la partecipazione alla maggioranza (non al governo) di centro - sinistra

1999: la nostra esistenza dopo la scissione (la maggiore delle numerose avvenute).

Solo il congresso del 2002 è uscito da questi limiti e da queste strettoie, compiendo scelte e imboccando una strada poi parzialmente corretta in seguito.

Rifondazione paga dibattiti sempre rinviati, il ritardo con cui ha affrontato alcuni temi (la centralità delle questioni globali, un giudizio condiviso sulle cause della crisi del "socialismo reale", il rapporto fra le tradizioni delle sinistre italiane e le nuove tematiche e soggettività). Di conferenza programmatica si parla da molti anni, di "evento", capace di legare il nostro partito con altre esperienze si è parlato con enfasi in un Comitato politico ed in interviste e poi la cosa è rimasta sulla carta.

Due sono invece, questioni su cui sarebbe importante avere un dibattito maggiore e su cui non da oggi ho espresso critiche e preoccupazione:


Identità e storia.

Rifondazione è nata in un momento in cui pareva che tutto il movimento comunista stesse scomparendo ed ha tentato di essere, almeno nella prima fase, un punto di incontro fra storie diverse, esperienze anche antitetiche, riferimenti politico - culturali molto lontani.

Non solo tra chi usciva dal PCI e quanto restava di venti e più anni di nuova sinistra (i resti di DP), ma tra chi nel PCI aveva avuto percorsi diversi (la "corrente cossuttiana", gli ingraiani, gli ex PDUP ... ). Molti di noi hanno visto in quel frangente l'occasione strategica e non contingente, non solo di dare vita ad una formazione consistente e capace di grandi legami sociali, ma anche di rimettere in discussione riferimenti internazionali, strumenti organizzativi (partito e sindacato), i nostri passati, di rilanciare il legame socialismo/democrazia, vera cartina di tornasole delle sconfitte novecentesche. Favorivano questa possibilità i comuni scacchi (la fine di un partito vissuto settant'anni, la crisi irreversibile della nuova sinistra, il crollo di tutti i riferimenti su cui si erano costruite le rispettive identità).

Il nodo fondamentale era legare la parte migliore della tradizione comunista e socialista (l'Italia ha avuto Gramsci e anche Basso, Morandi, Panzieri, Bosio ... ) rifiutando la totale liquidazione, declinandola con le grandi tematiche emergenti:

Una nuova identità comunista, alla fine del '900, non significava cancellare pagine di storia, rivoluzioni, vittorie, sconfitte, tragedie, crimini ... , ma assumere l'eredità delle parti migliori, comprendere le cause degli scacchi, legare la nostra tradizione con quanto di nuovo ed importante era emerso negli ultimi decenni. Non, quindi, un PCI in sedicesimo, ma neppure la riproposizione di una delle tante forze della nuova sinistra. Non il "continuismo", ma neppure l'abbandono di ogni riferimento per correre dietro al "nuovismo", nella convinzione che una forza politica senza radici non ha neppure un futuro.

In questi (tanti) anni, non sono mancati le tappe e i segni positivi: dall'atteggiamento coraggioso dopo il tentato colpo di stato nell'agonizzante URSS (agosto 1991) alla capacità di critica del socialismo reale, dalla messa in discussione di una tradizione togliattiano - berlingueriana (ad opera dello stesso Cossutta) al recupero di figure quali quelle del Che e di Rosa, dalla messa al primo posto dei bisogni popolari (governo Dini) all'apertura verso nuovi movimenti (il Chiapas).

Di particolare importanza la capacità di comprensione verso le nuove dimensioni assunte dai

movimenti dopo Seattle e Genova. Altre scelte (penso all'articolo sul "Manifesto" di Grassi e Burgio in coincidenza con le giornate di Genova) ci avrebbero collocati all'esterno rispetto a una grande spinta ideale e sociale, rispetto ad esperienze e generazioni che hanno espresso istanze e forme di partecipazione che è compito di una formazione politica comprendere e dialettizzare.

L'internità al movimento, la capacità di contaminare ed essere contaminati sono scelte fondamentali che ci hanno caratterizzati come forza politica aperta, capace di dialogare e di mettersi in discussione, non saccente e dogmatica (pensiamo come anche localmente abbiano pesato negativamente atteggiamenti identitari). E' fondamentale per i/le nostr* iscritt*, porsi le tematiche globali, modificare lo stile del fare politica, assumere come interlocutori non solo "i/le comunist*", ma tutt* coloro che si impegnano contro la guerra, il degrado ambientale, le contraddizioni della società capitalistica, sapendo che una alternativa, dopo i fallimenti che abbiamo alle spalle non nasce da ricette sicure e che il crollo dell'est peserà per generazioni anche su chi è sempre stato critico verso le deformazioni staliniane e i regimi modellati su queste.

Non concordo, però, e non da oggi con l'atteggiamento per cui il movimenta altermondialista è in grado, da solo, di risolvere qualunque contraddizione ed offrire risposte vincenti. La storia del movimento operaio ed anticapitalista non inizia a Seattle o a Genova. Al di là della retorica, esso è in grado di incidere fortemente sulle reali scelte politiche, di aprire vertenze, di ottenere risultati concreti? La negazione della necessità di qualunque forma di partito (cioè della strategia e della tattica), l'esaltazione di un movimento incontaminato che costruirà dal basso la propria rete di esperienze, e, al tempo stesso della lineare ineluttabilità del processo rivoluzionario delle moltitudini appartengono ad una cultura neospontaneista che pensiamo debba essere discussa nelle sue comprensibili motivazioni e superata.

Rifondazione deve evitare, quindi, qualunque chiusura, comprendere ed assumere le grandi tematiche globali, ma al tempo stesso, sintetizzarle e dialettizzarle con una storia fatta non solamente di errori e di tragedie, di crimini e di efferatezze, ma anche di lotta, sacrificio, impegno, convinzione, conquiste, sogni, costruzione di organizzazioni e movimenti che hanno tentato di trasformare il mondo.

La critica allo stalinismo (e la rottura con esso) è ovvia e sacrosanta, non solo sul piano storiografico e teorico, ma su quello pratico. Significa negazione della concezione della costruzione del socialismo come prodotto del solo partito e, in questo, del solo vertice. Significa rifiuto del culto per il capo, della mitizzazione dei dirigenti, rilancio di una prospettiva socialista legata ad una autentica democrazia di base (i Soviet e i consiglì), rifiuto delle doppiezze e delle doppie verità (quelle per i capi e quelle per la base). La attuale oggettiva crisi della democrazia liberale (calo della partecipazione, calo dei votanti, depoliticizzazione della società, svuotamento progressivo dei parlamenti, sempre più evidenti intrecci tra politica ed affari - spesso criminali-) può costituire l'occasione per la riproposizione di una nuova concezione del rapporto tra governant*/governat* e di una reale e non formale partecipazione (nodo irrisolto dal vecchio Rousseau ad oggi).

Stanno passando, invece, al nostro interno, posizioni radicalmente lontane da queste esigenze:

- o quelle continuiste che nel primato del partito colgono esigenze giuste, ma non sufficienti: il bisogno di organizzazione e di linee politiche chiare convive con la mancata critica verso errori e deformazioni della nostra storia (ad esempio la riproposizione a tutto tondo della vicenda del PCI, o più grave, verso l'URSS, la Cina e le realtà "socialiste", (si vedano, ad esempio, gli articoli di Domenico Losurdo, firmatario della seconda mozione, per il cinquantesimo della morte di Stalin).

- O, all'opposto, quelle che cancellano interamente un secolo. La rivoluzione di ottobre non è neppure oggetto di discussione - lasciamo perdere le celebrazioni - (vedi il silenzio di "Liberazione"), una lunga serie di esperienze, anziché essere attraversata criticamente è liquidata, ogni tentativo rivoluzionario viene tout court assimilato alla tentazione totalitaria, il partito è di per se stesso letto come produttore di autoritarismo. La identificazione tra stalinismo e comunismo in Oltre il '900 di Revelli è significativao come è tristemente (e non per la prima volta) significativo l'innamoramento impressionistico per le tesi di Negri, a lungo vero maitre à penser dei Giovani comunisti (ignari dei mille salti teorici da lui operati nei decenni?). La banalità sulla fine del concetto di imperialismo, tanto discussa nello scorso congresso, e vero "assist", come nel basket, per l'area di "Ernesto", mi sembra conseguenza di questo.

Queste scelte portano o a ripetere dogmi, in chiave comprensibilmente, ma non giustamente, nostalgica o ad operare tagli che recidono qualunque radice. Fra le tante matrici (ecologia politica, femminismo politico, radicalismi cristiano, antimperialismo e antimilitarismo... ) oggi necessarie per riipotizzare una alternativa, non possiamo prescindere da quelle comunista e socialista.

Il nodo dei rapporti di produzione, del cambiamento del sistema economico, di una diversa gestione della società tornano caparbiamente a dimostrarsi attuali. Il tanto citato ritorno a Marx non può cancellare oltre un secolo di storia del movimento operaio, dalla critica di Rosa al riformismo, alla categoria di imperialismo (Lenin e, ancor più, Rosa), dai problemi posti, e non risolti, nella prima fase della Terza internazionale all’analisi gramsciana sulla rivoluzione mancata in occidente, dalla (auto) critica di Trotskij alla riscoperta dell’internazionalismo negli anni '60 (il Che e non solo), dalla riflessione del "marxismo occidentale" (so che molti rifiutano questa espressione) alle lotte anticoloniali, impensabili senza la realtà dei movimenti comunista ed operaio.

Certo, tutto è da ripensare. Il nodo focale degli anni '20 (eformazione dell'ottobre, costruzione di tutti i partiti su un unico modello) non è l'unico su cui tornare. Esistono potenzialità negative e rischi anche nella politica precedente e nessuna corrente critica del '900 è esente da limiti. Proprio gli stessi errori ci permettono, però, oggi di riflettere sui gravi problemi affrontati e non risolti, su quanto il movimento comunista abbia contribuito, nonostante tutto, ad un avanzamento storico complessivo (liberazione nazionale e avanzamento della classe operaia occidentale) e su quanti aspetti attuali e fecondi esistano in un pensiero, non a caso troppo a lungo deformato. Un semplice ritorno a Marx rischia di rimanere uno slogan, buono per tutti i congressi, se non chiarito, e di impedire di cogliere motivi e cause di una sconfitta (in primis lo stalinismo non come formula, ma nelle sue radici sociali di distacco dall’ottobre).

Da qui anche l’errore della liquidazione sommaria di Lenin che è da discutere in tutte le fasi della sua opera,in particolare sulla questione della democrazia (dal dibattito sul partito di inizio secolo alla soppressione dell’assemblea costituente nel gennaio 1918, dalla già ricordata stretta nel 1919 all'ultima disperata battaglia contro il trasformarsi del partito in Leviatano).

La problematicità di molti temi e il fatto che il dirigente sovietico abbia sempre piegato l'analisi teorica alle necessità dello scontro politico non possono cancellare l'analisi della trasformazione di fase del capitalismo (in imperialismo), la scelta internazionali sta contro il nazionalismo di tutti i partiti socialdemocratici, la capacità di analisi concreta della situazione concreta, la rivalutazione dell'elemento soggettivo e volontaristico contro il determinismo della Seconda internazionale (quello che entusiasmava un Gramsci ancor poco rnarxista, quando scriveva La rivoluzione contro il Capitale).


La democrazia interna.

Ad un aumento dei voti (siamo tornati alla percentuale del 1994) corrisponde ogni anno un calo del tesseramento. Il turn over in Rifondazione ha, da sempre, percentuali altissime. La vita dei circoli è spesso asfittica, priva di iniziativa e di reale confronto politico. La riduzione a piccoli comitati elettorali (o, nel nostro caso, congressuali) è un pericolo reale. I frequenti terremoti e cambiamenti di rotta che hanno costellato i nostri quattordici anni di vita fanno sì che solamente una parte degli iscritti alla fondazione sia nel partito ancora oggi.

Il problema organizzativo non può essere disgiunto da quello politico, ma deve essere affrontato ridando ruolo al tesseramento (perché le tessere arrivano così tardi e sempre "contingentate"?), ma soprattutto ai circoli e agli/alle iscritt*.

Le scelte debbono essere elaborate collettivamente, frutto di discussione e di confronto e non possono essere imposte. Non si tratta di mettere in discussione la necessità di delega al gruppo dirigente, ma di ricostruire un reale rapporto democratico di partecipazione di tutt*.

L'innovazione e l'autoriforma, proposte al quinto congresso, sono state solamente abbozzate. Nella più parte dei casi, gli/le iscritt* si sono trovat* davanti a fatti compiuti, a scelte da cui si sono sentit* espropriat*, o comunque parte non attiva.

Non è in discussione la triste necessità di muoversi in una società mediatica, in una politica sempre più basata su figure, interviste, dichiarazioni ... né si contestano preparazione e capacità del segretario nazionale (il congresso non è un referendum pro o contro Bertinotti ed occorre sempre evitare banalizzazioni). La questione è che la vera ricchezza di un partito sono gli/le iscritt*, i/le militanti, i quadri (manca il corrispondente femminile?). Da anni rifiutiamo la sciocca alternativa: partito di militanti/partito di quadri nella convinzione che il numero, la qualità e l'impegno non debbano escludersi l'uno con l'altro.

Questo implica una loro valorizzazione che non è certamente avvenuta negli ultimi anni.

- Sinistra europea. Giusta e ovvia la scelta, capace anche di aprirci a settori a noi vicini. Al di là di un passaggio del documento congressuale del 2002 la cosa è però avvenuta al di là di una discussione "dal basso" e di una maggiore informazione. Non dimentichiamo, poi, il carattere

"processuale" più volte ripetuto, con la necessità quindi, di allargamento in più direzioni, e le contraddizioni interne, anche su temi centrali. A che punto siamo?

- Violenza/Nonviolenza. E' giusto porre la questione, ovvio superare i luoghi comuni che identificano nonviolenza con rinuncia, vigliaccheria ... La scelta è avvenuta, però, in modo unilaterale (perché non pensare a convegni aperti a valutazioni diverse?) e con un forte slittamento interno. Diverso è "relativizzare e storicizzare" (convegno di Venezia) dalla "scelta strategica" successiva (dichiarazione di Bertinotti alla presentazione del libro scritto con Menapace e Revelli). Anche qui i/le singol* iscritt* non hanno potuto che schierarsi a fare il tifo per l'una o l'altra posizione interna.

- GAD. La storia di Rifondazione è segnata da mutamenti e modificazioni di linea. In sintesi: 1994, accordo politico elettorale dei Progressisti; 1995 recisa opposizione al governo Dini (prima scissione); 1996, desistenza con l'Ulivo; 1998, rottura con Prodi e seconda scissione; 2000, accordo per le regionali; 2001, presentazione autonoma al Senato e non presentazione in una delle due schede alla Camera (qualcuno ricorda ancora il dibattito Bertinotti - Rossanda?). Un accordo elettorale è oggi indispensabile. Qualora non venisse sottoscritto:

1) andremmo incontro ad un disastro elettorale che comprometterebbe una nostra presenza parlamentare e, in queste condizioni, anche l'esistenza stessa di Rifondazione. La scelta non sarebbe compresa se non da settori molto esigui, essendo centrale, in settori democratici e di sinistra, la necessità di battere il governo delle destre, a causa anche della mancata costruzione, in tutti questi anni, di un polo alternativo di sinistra.

2) Daremmo (cosa ancor più grave) la garanzia di vittoria alla peggior destra europea, a questo intreccio di post- fascismo, integralismo cattolico, populismo, razzismo con conseguenze gravi per gli stessi equilibri democratici già compromessi.

Non esistono, certamente, ricette. E chiaro che un accordo anche elettorale debba partire dalla cancellazione di quanto costruito dalle destre (leggi 30, Moratti, Bossi - Fini, sulla magistratura, devolution, guerra in Iraq ... ). Che esista una volontà nel centro - sinistra di farlo è quanto mai dubbie (ricordate la Turco - Napolitano, il pacchetto Treu, la politica scolastica di Berlinguer, la guerra in Kossovo, la riforma federale passata in fretta e furia fregandosene della Costituzione?). Più difficile ancora ipotizzare un percorso in positivo (lavoro, occupazione, crisi FIAT, basi NATO, politica energetica ed ambientate ... ).

La maggioranza ipotizza un accordo basandosi sul cambiamento del centro - sinistra e sulle spinte di movimento (di cui Rifondazione dovrebbe essere tramite in un futuro ipotetico governo). La seconda mozione tenta di fissare paletti programmatici, la terza nega ogni possibilità di intesa, teorizzando una "non diversità" fra i due blocchi, la quinta propone accordi con i DS, maggior forza della sinistra, e non con la Margherita e il "centro borghese". Ovvie anche le difficoltà di praticare quanto proposto dalla quarta mozione (Malabarba). Un accordo elettorale e non politico è quanto votato dalla nostra federazione al congresso del 1994 (documento Ferrero - Perini) e sostanzialmente è stato alla base della desistenza (1996). E' chiaro che questa non ha impedito che su noi ricadessero critiche e contraddizioni per tanti atti del governo Prodi (privatizzazioni e non solo) e che la stessa rottura con questo ci sia costata un prezzo enorme.

Il pericolo maggiore, però, mi sembra quello una nostra totale identificazione con politiche che da ogni segno sembrano non rompere con il passato e con una continuità moderata. La stessa vicenda delle elezioni regionali dimostra come le nostre candidature non siano mai accolte e come sui nodi centrali (in Piemonte alta velocità, FIAT, inceneritori ... ) pesino più di noi i "poteri forti".

Accordi elettorali per battere le destre debbono accompagnarsi ad una autonomia programmatica e soprattutto al rilancio di quella sinistra alternativa (forze politiche, sindacali, sociali, culturali) di cui si parla da anni. La domanda: perché non pesa il 13% di voti (certo molto differenziato) a sinistra del listone non è retorica e dovrebbe cominciare a trovare risposta. E' questa l'unica strada per uscire dalla morsa in cui viviamo da anni: accordi insoddisfacenti per la nostra stessa base sociale o emarginazione, con i conseguenti ricatti che siamo costretti a subire.

Al di là delle valutazioni di merito, in ogni caso, anche l'adesione alla GAD è stata letta da molt* isçritt* come una accelerazione ulteriore, dopo tutte quelle già vissute negli ultimi mesi, frutto di un rapporto verticistico e non democratico, di un partito visto dal gruppo dirigente quasi come una remora che deve essere oggetto di continui strappi.

Si ripropone il problema di una reale democrazia interna:

Non vi è alcuna garanzia, ma occorre almeno mettere a fuoco i nodi su cui si sono arenati tutti i partiti del movimento operaio.

In base a queste brevi note, scritte a braccio, negli ozi natalizi, credo che i/le compagn* si rendano conto che non sono "uomo di partito" (e, ancor meno, "di corrente") e che sarebbe utile pensare ad un ricambio nella nostra federazione. Si era pensato ad un congresso soft, in cui i gruppi dirigenti non dipendessero dall'esito del voto, ma da capacità e disponibilità. Questo sarà possibile se i danni delle logiche di parte (non delle sacrosante diversità di opinione) che già sono comparse non diverranno irreversibili.

Abbiamo davanti a noi compiti grossi:


Qualunque esito abbia il congresso locale, ricordiamo che siamo tenuti alle scelte complessive nazionali.


Cuneo, 25 dicembre 2004.


Relazione introduttiva al congresso provinciale PRC

Cuneo, domenica 13 febbraio 2005.


Nota bene. Dal testo sono stati eliminati tutti i riferimenti locali, credo di nullo interesse per lettori/ lettrici di altre province.


Lo scioglimento del PCI

Il nostro partito è nato nel 1991. Lo scioglimento del PCI, la maggior forza organizzata del movimento operaio italiano, significava la totale cancellazione della continuità con il comunismo nella sua versione togliattiana (così come si era costituita nel travaglio del movimento comunista negli anni ’30 e poi era stata applicata negli anni ’40 e ’50), con la stessa politica berlingueriana e il totale inserimento nella tradizione liberal-democratica.

Era allora chiaro che il comunismo, vissuto da intere generazioni come movimento liberatorio contro lo stato di cose esistente, unica possibilità di salvezza per l’umanità, si stesse sempre più trasformando, nella lettura collettiva, nel suo contrario. L’immagine dell’ottobre, delle bandiere naziste nella polvere a Mosca, di Stalingrado, della piccola contadina vietnamita con il fucile puntato contro il gigantesco militare statunitense catturato, già allora si era trasformata con l’accettazione passiva o la complicità di tanta sinistra, nell’identificazione con l’arcipelago gulag, con le tragedie, con la riduzione ad un cumulo di macerie da rimuovere, con un errore della storia.

La nascita del PDS significava l’accettazione della tendenza prevalente ad abbandonare qualunque residuo di analisi e prospettiva marxista, in parallelo con una integrale omologazione culturale (rimozione di ogni residuo di marxismo teorico e comunismo politico), con il passaggio da letture rozze e dogmatiche della realtà alla assunzione di ogni pseudo-novità e di ipotesi conservatrici (il pensiero debole…).

La scomparsa del PCI avveniva in coincidenza con la oggettiva scomparsa della nuova sinistra che, pur con errori e limiti, aveva avuto un ruolo non secondario per una non breve fase politica.

Abbiamo risposto allora con un tentativo, mai compiuto, di rifondazione, proponendo un lavoro (anche questo mai portato a termine su tre livelli: teorico, politico-organizzativo, di presenza sociale).

Nei primi mesi, quando il nostro nome non era ancora Partito, ma Movimento della Rifondazione comunista, si aveva il crollo dell’URSS. Fu merito importante dell’allora segretario Garavini quello di tenere la barra dritta, non accettare né continuismi né liquidazioni sommarie. I paesi dell’est Europa e l’URSS non erano crollati per tradimenti o per congiure esterne, ma per gravi e radicate contraddizioni interne. Partito e sindacato non erano da tempo strumenti di lotta, capaci di raccogliere le esigenze dal basso, ma strumenti del potere, del consenso, contro i lavoratori e i bisogni popolari, sociali e di libertà. La crisi dell’est non è derivata solamente da insufficienza (pure molto grave) di garanzie liberali, ma dalla incapacità di portare a fondo la trasformazione dei rapporti sociali, di proporre una autentica partecipazione di massa (i soviet), una concezione diversa (anche ambientalmente) dello sviluppo, una politica estera paritaria e non di potenza.

Una nostra formula di allora, ma valida ancor oggi, era: il socialismo reale non è crollato perché troppo comunista, ma per la totale assenza di comunismo.


Lo scacco di Occhetto

Non ci divideva, però, da Occhetto (e dalla minoranza di sinistra rimasta con lui) solamente un giudizio sul passato, ma anche e soprattutto sul presente.

Il PDS nasceva su due premesse:

Il fallimento di queste premesse era evidente fin dai primi mesi:


La destra italiana, tra le peggiori su scala continentale, è l’erede dei mali storici del nostro paese, di problemi irrisolti o mai affrontati, di tare secolari, come sosteneva Gobetti per il fascismo. E’ il portato di una continuità dello stato, di una defascistizzazione mai avvenuta, dell’anticomunismo eretto a un sistema di potere che ha prodotto corruzione, clientelismo, scandali, soggezioni a scelte prese oltre Oceano e oltre Tevere.

E’, però, anche il portato di un vento mondiale ed europeo, della crescita di forze conservatrici che si è ovunque manifestata a partire dai primi anni ’80, di ideologie individualistiche che hanno modificato la spinta collettiva del periodo precedente.

E’, però, anche il portato di errori enormi della sinistra, dell’accettazione del punto di vista dell’avversario, di politiche liberiste, dell’adesione alla guerra, di privatizzazioni (che bisogno c’era di privatizzare ENEL, Nuovo Pignone, Ansaldo, di vendere ai tedeschi le acciaierie di Terni per poi scoprire che l’Italia non ha una politica industriale?). E’ il frutto della mancanza di scelte ambientali capaci di invertire il rapporto trasporto pubblico/privato, rotaia/gomma, di ridurre le emissioni in atmosfera.

Gli errori della sinistra hanno prodotto disillusione (la crescita dell’area del non voto), lasciato spazio alla ricaduta a destra della protesta popolare (il primo partito nel voto di fabbrica è stata Forza Italia) e tendono a riprodursi in ogni situazione.


Noi e il centro- sinistra

Le contraddizioni indotte dal maggioritario sono fortemente ricadute su Rifondazione. Già nel 1995, per il nostro voto contrario al governo Dini (ex ministro di Berlusconi) siamo stati soggetti ad attacchi, ad accuse di collusione con la destra e abbiamo subito la prima scissione (Garavini, Magri, Castellina…). Il governo Prodi (1996- 1998) cui abbiamo contribuito con un accordo elettorale-politico ha, all’interno di scelte finalizzate all’entrata in Europa, prodotto il pacchetto Treu, il finanziamento alle scuole private, atto non unico, ma significativo dell’ulteriore degrado dell’istruzione e della cultura, non mantenuto il giuramento sottoscritto per la legge sulle 35 ore. Non diverso il discorso per i successivi governi: dalla Turco-Napolitano alla tragica guerra del Kossovo, dalla non volontà di affrontare alcuni nodi sociali (pensioni minime, meridione, occupazione, lavoro precario…) alla riforma federalista avvenuta al di fuori delle norme previste per le modificazioni costituzionali (sciagurato precedente offerto alla destra).

La nostra rottura con Prodi (primo vero atto della rifondazione, secondo Bertinotti) è stata atto coraggioso, ma pagato con grave prezzo: una seconda e più grave scissione, l’isolamento, il dimezzamento elettorale.


Il movimento e noi: potenzialità e contraddizioni.

In questo quadro di calo progressivo della sinistra, di crescita della destra, di difficoltà per il nostro partito, di disillusioni per il “popolo della sinistra”, l’esplosione del movimento altermondialista è stato fatto di straordinaria importanza per la maggiore comprensione e messa a fuoco a livello di massa di nodi quali la guerra e l’emergenza ambientale, per l’acquisizione del fatto che questi nodi non riguardino solo altri (il terzo mondo, i paesi poveri…, come nella logica di tanto volontariato), per la capacità di mantenere all’interno un pluralismo di formazioni ed espressioni, per non essere involuto su scelte violentiste, per essere stato la maggiore alternativa al decennio del pensiero unico e della fine della storia.

La scelta di Rifondazione basata sull’internità al movimento, sul farne parte in modo non saccente o da direzione esterna, sulla volontà di abbandonare continuismi nostalgici è stata fondamentale.

Dobbiamo ancora oggi chiederci perché le nostre sedi siano cambiate così poco, perché permangano atteggiamenti nostalgici in tanti nostri settori.

Dobbiamo, però, al tempo stesso, rifiutare la mistica del movimento, la autosufficienza teorizzata da tante parti dello stesso, la convinzione della irreversibile crescita dei movimenti di massa (che sono invece carsici). Le vicende delle grandi spinte degli anni ’60 e ’70, della loro sconfitta e del loro riflusso dovrebbero essere maggiormente considerate.

Il movimento non ha avuto sufficiente impatto sulle grandi questioni politiche. La seconda potenza mondiale non ha potuto impedire la guerra e la sua degenerazione. Non offrono sponde né le scelte moderate della sinistra maggioritaria, tutte legate al mantenimento dell’ordine esistente, né le teorie negriane, tanto acclamate al nostro interno e tanto contraddette (suo solito) dallo stesso autore, quelle dell’esodo, della negazione dell’organizzazione, del neospontaneismo della teoria delle moltitudini. E’ fondamentale invece proporre il nesso tra le grandi spinte di oggi e le parti migliori della storia del movimento operaio, riproporre un marxismo non dogmatico come chiave di lettura delle grandi problematiche odierne.

Marx, Rosa Luxemburg, Trotskij, Gramsci, il Che non ci servono solo come metodologia (il tante volte proposto e mai esplicitato ritorno a Marx) né per dispute teoriche, ma per affrontare i temi reali, i nodi irrisolti: il rapporto socialismo/democrazia, quello sviluppo/ambiente, quello partito/ società…Il tutto sapendo che gli errori tragici del nostro passato, anche recente, peseranno su noi per generazioni.


Ancora il governo

Quasi tutti i nostri congressi (fa eccezione il quinto, nel 2002) sono stati centrati, nei fatti, sulla questione elettorale e sull’eventuale sbocco governativo. Quest’ultimo ha addirittura accentuato questo limite.

Se è comune tra noi la convinzione sulla necessità di (tentare di) battere queste destre per impedire una ulteriore degenerazione, non unicamente economica, del nostro paese, le divergenze permangono su questioni non semplicemente tattiche.

In tutti i paesi governati, negli anni ’90, da governi socialdemocratici non si sono avuti cambiamenti o trasformazioni profonde. Molte riforme promesse sono rimaste sulla carta e la presunzione di poter governare i processi di globalizzazione in corso si è trasformata in privatizzazioni, in misure socialmente restrittive, in passi indietro rispetto alla situazione precedente. La stessa logica di Maastricht ha significato tagli sulle spese sociali. Oggi le cose non vanno meglio: la Germania rossoverde ha toccato pensioni, orari di lavoro, contratti, la Spagna ha innovato profondamente su questioni di democrazia e di costume, ma non su quelle sociali-occupazionali. Il laburismo di Blair (rilancio dell’imperialismo inglese, continuità rispetto alle scelte dei conservatori) cancella qualunque ricordo di un laburismo che negli anni ‘20 era stato espressione di grandi lotte operaie e che aveva praticato, negli anni ’40, il welfare. E’ comune nel cinema inglese, francese, spagnolo, italiano… l’immagine del lavoratore licenziato, privo di futuro e di identità e della dissoluzione delle regole di solidarietà che avevano improntato le comunità operaie.

Non molto diversa, anche se più problematica, la realtà brasiliana. Il progetto fame zero non decolla, come la riforma agraria, Lula accetta scelta gravi anche simbolicamente (gli OGM, le centrali nucleari), la stessa democrazia nel PT è in discussione, vista l’espulsione di settori critici.

Con il centro-sinistra italiano le questioni aperte sono molte. Il ritiro delle truppe dall’Iraq, la legge 30, le questioni dell’immigrazione, la scuola, le pensioni, le scelte occupazionali (a cominciare dall’intervento pubblico alla FIAT), la cancellazione delle leggi berlusconiane vedono posizioni molto diverse.

I rischi per noi sono molteplici ed impongono di non banalizzare qualunque proposta interna. Da un lato l’isolamento politico, l’incapacità di coniugare strategia e tattica, dall’altra l’omologazione, l’ “essere come gli altri”, il prevalere di logiche istituzionali (non è fantascienza: è accaduto nelle due scissioni), il non riuscire più a distinguere la giusta necessità di lotta contro le destre da quella di autonomia programmatica e soprattutto di prospettiva (si farà mai un bilancio serio sul frontismo?).

Rifondazione deve coniugare unità contro le destre a ricostruzione di una vera sinistra che sappia legare storia e innovazione, unità e autonomia, una sinistra alternativa che leghi storie e formazioni diverse e che non serva solamente a spostare i programmi elettorali.

E’ forse l’unica strada per non rimanere strangolati dalle logiche bipolari e per non ritrovarci, tra non molto davanti a scelte che già ci hanno divisi.



Brevi note su Rifondazione

Ottobre 2007



Ho scritto queste brevi note nell’ormai lontano ottobre 2007, ma le ho tenute nel computer, lontane dalla critica roditrice dei topi, per non influenzare, neppure in piccola parte, compagni e compagne davanti alle scelte di Sinistra critica, culminate nell’Assemblea nazionale del 7-9 dicembre.

Da ottobre ad oggi le cose sono peggiorate e per l’ulteriore involuzione di Rifondazione e per l’assurdo e vergognoso rinvio del congresso, grave dal punto di vista politico e da quello della democrazia interna.

Questo rende più difficile il lavoro di chi ha deciso di tentare e la costruzione di una opposizione interna al nostro partito ed un lavoro esterno di proposta politica, interlocuzione con altri/e, ricostruzione di un pensiero e di una prassi alternative, non contingente, non legato cioè alla semplice collocazione governativa di Rifondazione o a questa o quella sua scelta tattico/strategica.

La critica all’indefinibile rinvio del congresso si deve accompagnare a una discussione che non si limiti ai comitati federali o alle segreterie, ad una maggiore attenzione alla realtà esterna, alla capacità di indicare l’esistenza di una posizione, non di potere (posti nell’organigramma, ma strategicamente nuova e non semplicemente nostalgica o legata a questa o a quella “componente storica”.

Sono queste le basi su cui pensiamo di spenderci e confrontarci nei prossimi mesi.


Brevi note su Rifondazione, Sinistra critica e dintorni.


Sinistra critica al Seminario di Bellaria (riuscito e partecipato) ha deciso:


Abbiamo votato Sinistra critica all’ultimo congresso (2005) per infiniti motivi, tra i quali:

A distanza di tre anni, possiamo dire, con tristezza, di avere avuto ragione e di avere previsto la deriva successiva, lo scacco della strategia di Rifondazione,le involuzioni interne, l’appiattimento sugli/sulle istituzionali, il calo di partecipazione, il disorientamento, la sfiducia.


Il governo

Abbiamo puntato nella campagna elettorale per le elezioni politiche su alcuni temi centrali:

legge Bossi- Fini. La nuova legge promessa entro un anno è slittata continuamente. Oggi

viene promessa in aula per febbraio 2008. Anche in questo caso, immigrati/e si possono

rendere conto che esiste un governo di centro sinistra e non di destra?

Abbiamo anche chiesto per anni che si provvedesse a cancellare le “leggi ad personam” che in pochi mesi si erano costruiti il cavaliere di Arcore e la sua corte.

Ad oltre 18 mesi dalle elezioni, conflitto di interessi, proprietà di reti televisive e di mezzi di comunicazione, rogatorie internazionali, falso in bilancio e altre simili piacevolezze sono al loro posto, così come la destra le aveva volute, senza che su queste vi sia l’alibi del debito pubblico, dei vincoli internazionali.

Ancor più gravi perché toccano temi etici e coinvolgono gli stessi fondamenti del nostro essere comunisti/e sono le scelte internazionali. Se è positivo il ritiro delle truppe dall’Iraq, è eccessiva l’enfasi usata sui mutamenti della politica estera (il multilateralismo). La continuazione della nostra presenza in Afganistan è la cartina di tornasole di questo. Puerile la giustificazione di voti motivati dalla costruzione del Comitato di monitoraggio (luglio 2006) e dalla promessa della Conferenza di pace (febbraio 2007). Due voti favorevoli del nostro partito spezzano una storia che ci aveva caratterizzati come gli unici ad esserci opposti a tutte le guerre (golfo, Serbia, golfo 2, Afganistan) e come gli unici in grado di poter dire a testa alta No alla guerra senza se e senza ma.

Altrettanto grave l’aumento di spese militari nelle leggi finanziarie (13% nel 2007, 11% in quella prevista per il 2008). Tutte le proposte sulla riconversione del militare in civile, della chiusura di basi militari (a cominciare da quelle nucleari) rischiano di essere virtuali se non contraddittorie. In Piemonte, ad esempio, come continuare la giusta campagna contro la costruzione degli F 35?

La finanziaria ha rappresentato un nostro fallimento poiché non ha invertito neanche parzialmente la redistribuzione a danno dei ceti popolari cui assistiamo dagli anni ’80. Ancor più grave la mistificazione offerta dal nostro partito con una campagna (Anche i ricchi piangano) sbagliata e demagogica.

Non dimentichiamo i temi che abbiamo criticato e combattuto nel referendum sulla riforma costituzionale delle destre (giugno 2006). Molti di questi (a cominciare dal federalismo fiscale) stanno ricomparendo benedetti e voluti dal centro- sinistra (vedi scelte di DS e Margherita in Lombardia, Veneto e non solo).

Stendiamo un velo sulla chiusura dei CPT, sui PACS (anche edulcorati in Dico non muovono un passo), sulla commissione di inchiesta sui fatti di Genova, sulla laicità dello stato, sempre più sacrificata davanti all’invadenza dell’integrismo vaticano.

Questo fallimento non è nuovo. Nella fase migliore di Rifondazione, quando si è avuta la volontà di riflettere in termini non liquidatori, ma critici, sul passato, lo stesso Armando Cossutta mise in luce i limiti di fondo dell’unità nazionale, praticata dai governi nazionali tra il ’44 e il ’47 e del tentativo berlingueriano di compromesso storico, in particolare tra il 1976 e il 1979.

In ambedue i casi le spinte sociali erano state sacrificate agli equilibri politici di governo, in ambedue i casi gli errori della sinistra avevano permesso alle forze dominanti di uscire in positivo da fasi di grandi difficoltà, senza pagare prezzo alcuno e scaricando i costi sulle masse lavoratrici. In ambedue i casi quella politica aveva portato alla sconfitta elettorale e sociale.

Aggiungiamo a questo i nodi irrisolti di ogni governo di sinistra: il Partito comunista francese è uscito con le ossa rotte (ogni volta ha perso il 5% dei voti) da due esperienze governative di Sinistra plurale ed è oggi, nonostante impegno e modificazioni, una forza minoritaria, l’esperienza di Lula in Brasile ha visto irrisolti i grandi problemi sociali ed ambientali, non compiuta la riforma agraria, moltiplicarsi i fenomeni di corruzione (da qui la nascita alla sua sinistra del PSOL).

Anche noi siamo passati per questa strada. Dal 1996 al 1998 l’appoggio esterno al primo governo Prodi ci ha visti prima calare elettoralmente, poi vivere profonde contraddizioni interne, poi rompere davanti all’assenza di ogni politica sociale (precarietà, investimenti al sud, 35 ore, occupazione…) subendo una scissione pesante. La svolta successiva è stata ancora una volta contraddittoria e i medesimi nodi si ripropongono oggi, moltiplicati.

Rifondazione

Risultano così crollati tutti i presupposti su cui si era fondata la maggioranza al congresso di Venezia (marzo 2005):

Il fallimento di questa prospettiva ha prodotto pesanti ricadute sul nostro partito:

Davanti a ciò, il gruppo dirigente di Rifondazione evita ogni autocritica (si veda l’ultimo Comitato politico nazionale, in particolare l’introduzione del segretario) e ripropone:

Il primo elemento sembra non tenere conto:

Il secondo (la Cosa rossa), letto come necessità anche per bilanciare la nascita del Partito democratico, nasce con contraddizioni e limiti che vengono taciuti:

Non dobbiamo dimenticare che questa ipotesi significa il profondo ridimensionamento dell’ipotesi di Sinistra europea su cui Rifondazione ha lavorato per anni e che segna un profondo cambiamenti di atteggiamento da parte nostra (perché? E perché oggi e non prima?).

La proposta di federazione è avanzata da anni da parte dei Comunisti italiani. Abbiamo sempre risposto picche. Prima delle ultime politiche Asor Rosa ha proposto liste comuni. Abbiamo risposto che era una ipotesi “politicista” e che noi eravamo con i movimenti. Diceva Bertinotti (comitato politico, 24 novembre 2001):

Facciamo allora un appello alla sinistra DS ad uscire dal partito, ci mettiamo insieme , ascoltiamo Di liberto e i Verdi, proponiamo un’aggregazione o addirittura culliamo l’illusione di costruire, contro l’ipotesi neocentrista, un nuovo partito socialdemocratico. Tutte ipotesi possibili, a cui sono totalmente contrario.

D’altronde, lo stesso Bertinotti, lo stesso anno, aveva sostenuto L’Ulivo è morto, e i militanti per anni sono stati invitati a rompere la gabbia dell’Ulivo.

La questione maggiore della costituenda Cosa rossa (nuovo soggetto, nuova soggettività, anche qui la parola partito è tabù) non è, però, solamente quella del nome (le parole comunista e verdi debbono esistere?) o del simbolo (la falce, il martello, quanto ricordi il lavoro), quanto il nodo del governo.

Così impostata, essa nasce come forza di governo, tesa a riequilibrare parzialmente a sinistra lo spostamento progressivo al centro, su posizioni liberiste di gran parte del centro- sinistra. Anche una probabile affermazione elettorale delle destre non muterebbe il quadro. Permarrebbero la subordinazione al Partito democratico, la necessità di alleanze all’interno del meccanismo bipolare, il tentativo di spostare programmi e prassi del tutto lontani dai nostri.

La federazione, pur nell’autonomia dei singoli componenti può glissare sulle differenze circa la legge elettorale, la collocazione a livello europeo (socialisti, verdi, sinistra europea, comunisti), questioni sociali (le continue dichiarazioni e azioni di Zipponi su pensioni, welfare…)?

Non sarebbe più saggio pensare a forme di unità d’azione su singoli temi, ad un coordinamento- consultazione che non implichi unità affrettate e fragili tra famiglie diverse (verdi, comunisti, socialisti…)?

In ogni caso, la federazione che sembra nascere su una grande domanda di unità si troverà davanti a nodi e contraddizioni che se non affrontati esploderanno a breve termine (si pensi alla scissione tra PdUP e DP (1977) o alla stessa Rifondazione.


Sinistra critica

In questo quadro, la scelta di Sinistra critica nasce da motivazioni ovvie ed esprime esigenze e difficoltà di tanti/e militanti.

Lo stillicidio di sconfitte, di scelte contrarie ai più elementi nostri principi è arrivato al culmine con l’espulsione di Franco Turigliatto (altri voti “fuori linea” di Cannavò, Cacciari, Caruso mai sono stati sanzionati).

Molti/e di coloro che hanno aderito a S. Cr. nel congresso scorso hanno lasciato il partito, spesso anche la militanza, delusi/e da contraddizioni, mistificazioni.

La formazione di un nuovo soggetto politico, anticapitalista ed antimperialista, aperto alle realtà di movimento (Vicenza, TAV, Mose…) è risposta conseguente e tenta una impresa coraggiosa e difficile.

Chi scrive ha seguito tutto il percorso della componente in questi tre anni. Esprimendo, non da oggi, dissenso su questa scelta che pure stima e a cui augura la massima fortuna, non intende operare fronde, o inserire zeppe o, ancor peggio, creare sottocorrenti nella corrente.

Esprime semplicemente posizioni che non permettono, ad oggi, di aderire a questo percorso. Sarà da discutersi nel congresso ed in seguito, la ricerca di altri percorsi che non è escluso tornino a convergere con il primo in tempi che non è possibile prefigurare.


Per questi motivi, alcuni/e di noi da tempo propongono la costruzione per il congresso di una mozione unica di minoranza.

Conosciamo le difficoltà. Della terza mozione restano piccole frange, molti/e iscritti/e se ne sono andati, il peso dell’apparato (tutto il funzionariato, tutti i segretari di federazione, parlamentari, consiglieri/e, tranne infime eccezioni) , molti/e delusi/e non andranno neppure a votare, la seconda mozione si è divisa e all’opposizione ne resta una parte (Ernesto) le cui posizioni teoriche e identitarie sono molto lontane dal nostro orizzonte, Falce e Martello (tre anni fa la quinta mozione) insiste su una logica “entrista” e di propria crescita che fa a pugni con posizioni unitarie.

Il problema sarebbe di contrapporre alle scelte della maggioranza una posizione alternativa, ancora una volta giocata sui tre tavoli: grande lavoro teorico per una vera rifondazione, impegno sociale per riunificate e non disperdere un fronte sociale che la pratica governativa ha contribuito a frammentare, proposta politica che difenda l’autonomia di una proposta comunista capace di legarsi a quanto si muove positivamente nella società (spinte su ambiente, pace, questione di genere, radicalismo cristiano…).

L’appello di Firenze, per quanto parziale, va in questa direzione. Il malessere che cogliamo in tanti settori, circoli, ambienti, singoli/e sembra confermarlo.

La tattica congressuale di Sinistra critica prende atto della rottura, per molti/e già avvenuta e se ha il pregio della nettezza e della chiarezza, ha il difetto di non interloquire con chi esprime malessere, è incerto/a, manca di indicazioni, di chiarimenti, di riferimenti, rischia di raccogliere un consenso minimo che potrà essere utilizzare per criticarne l’inconsistenza e la debolezza, come è stata usata contro di lei la non partecipazione alla manifestazione del 20 ottobre che sarebbe potuta essere fortemente critica su data (perché non prima del referendum sindacale?) e contenuti (perché non una parola sugli accordi del 23 luglio?)

Una ipotesi di mozione di minoranza unitaria, anche se sembra impossibile, avrebbe la necessità di esprimere una spinta positiva della prima Rifondazione, quella che tentava di rimettere insieme culture, interpretazioni, letture, di sintetizzarle, di far ripartire, dal basso, discussione e confronto, di rivalorizzare le istanze di base. Darebbe a iscritti/e e militanti la percezione di una alternativa, la speranza di poter ancora contare, eviterebbe dispersioni, ricadute sulla maggioranza, forse uscite o abbandono dell’impegno.

Le scelte, tutte comprensibili e motivate, di costruzione immediata di una nuova realtà vanno verso una strada diversa, ma rischiano di non intercettare che molto parzialmente un malessere esistente.


Ripetiamo che queste sono osservazioni semplici e forse banali, che non tendono a costruire sottocorrenti né a creare difficoltà a chi ha intrapreso un cammino entusiasmante, ma colmo di problemi. Neppure intendono riproporre una discussione per i più già conclusa da tempo.

Servono semplicemente a razionalizzare incertezze, critiche e a motivare (non a giustificare) un percorso, non sappiamo per quanto tempo, diverso.


Ottobre 2007



Quaderni C.I.P.E.C.


n. 1, aprile 1995

Lucia Canova, donna e comunista

Il PSIUP in provincia (Sergio Dalmasso)


n. 2, ottobre 1995

Chiaffredo Rossa, scalpellino

La nuova sinistra nella provincia bianca (Sergio Dalmasso)

Bibliografa sulla sinistra cuneese (Carlo Giordano)


n. 3, novembre 1995

Maria Capello, la ragazza rossa (Cetta Berardo)

Testimonianze di Carlin Petrini e Sergio Dalmasso

Bra fra slanci rivoluzionari e reazione fascista (Livio Berardo)


n. 4, luglio 1996

Le vicende elettorali delle forze politiche cuneesi (1945/1996)

Tabelle, grafici, saggi introduttivi di Felice Paolo Maero e Sergio Dalmasso, grafici di

Marco Dalmasso


n. 5, marzo 1997

Militanti e dirigenti del PCI negli anni '50 e '60 (Pietro Panero, Mila Montalenti,

Mario Romano, Walter Botto, Leopoldo Attilio Martino).

Introduzione di Sergio Dalmasso


n. 6, maggio 1997

Lettere dal confino di Giovanni Barale (1939-1941). A cura di Luigi Dalmasso


n. 7, ottobre 1997

Per ricordare Michele Risso, Atti del convegno, Boves, 1 marzo 1996

(Luigi Pellegrino, Sergio Dalmasso, Agostino Pirella, Franca Ongaro Basaglia,

Pietro Ingrao, Gianna Tangolo, Regina Chiecchio)


n. 8, gennaio 1998

Luigi Borgna

Pietro Panero

Appunti sul PSI-PSDI (Mario Pecollo)

Lo sciopero dei Pumet: Dronero, primavera 1954 (Carlo Giordano)


n. 9, maggio 1998

Il PCI dalla "legge truffa" alla morte del "migliore" (Sergio Dalmasso)


n. 10, luglio 1998

Comunisti nel cuneese, scritti a cura di Giuseppe Biancani (1920-1981), a cura di

Luigi Bertone


n. 11, ottobre 1998

Fascismo oggi, vecchi e nuovi miti (Marco Revelli)

"Incompiuti"


n. 12, marzo 1999

I 95 anni di Lucia Canova

Oronzo Tangolo scritti

Testimonianze di Mario Di Meglio e Sergio Dalmasso


n. 13, aprile 1999

Quell'estate a Ulan Bator (Enzo Santarelli)

Maria Capello, elogio dell'eresia (Sergio Dalmasso)

Oronzo Tangolo (Roberto Baravalle)

Testimonianze sul PSIUP cuneese (Mario Pellegrino, Eraldo Zonta,

Giuseppe Costamagna)

"Incompiuti"


n. 14, maggio 1999

I colloqui di Dresda

La CGIL a Cuneo negli anni '50-'60 (Livio Berardo). Testimonianze di

Francesco Angeloni, Giuseppe Trosso, Marcello Faloppa

"Incompiuti"


n. 15, agosto 1999

1945-1958. Il caso Giolitti e la sinistra cuneese del dopoguerra (Sergio Dalmasso)


n. 16, settembre 2000

1958-1976. I rossi nella "granda". La sinistra in provincia di Cuneo (Sergio Dalmasso)


n. 17, ottobre 2000

1976-1992. Appunti sui partiti politici nel cuneese (Sergio Dalmasso)


n. 18, novembre 2000

Comunisti a Mondovì: Mario Giaccone, Concetta Giugia.

Il secondo "biennio rosso" (Sergio Dalmasso)

Il sessantotto a Cuneo (Sergio Dalmasso)


n. 19, aprile 2002

Il Novecento nella storiografia di fine secolo (Sergio Dalmasso,

Luigi Bertone, Michele Girardo)

Dino Giacosa: la coerenza (Sergio Dalmasso)

Riformismo e riforme nella sinistra italiana (Sergio Dalmasso)

I partiti socialisti, il centro- sinistra, la pianificazione nella

lettura della rivista "Questitalia" (Sergio Dalmasso)


n. 20, aprile 2002

Dalla Bolognina a Pristina: Cronologia di articoli su una resa:

29 ottobre 1998 - 29 maggio 2000 (Beppe Nicola)

Ricordi di Maria Teresa Rossi e di Franco Camicia (Sergio Dalmasso)


n. 21, maggio 2002

1958- 1976. I rossi nella "Granda". La sinistra in provincia di Cuneo

(Sergio Dalmasso): Seconda edizione con breve appendice.


n. 22, agosto 2002

La carovana di Lotta Continua e l'"eterno" problema dell'organizzazione

(Diego Giachetti)

Le sofferenze del PCI torinese negli anni dei governi di unità nazionale

(Ida Frangella e Diego Giachetti)


n. 23, novembre 2002

Le vicende elettorali delle forze politiche cuneesi (1945/2001)

Tabelle, grafici, saggi introduttivi di Felice Paolo Maero e Sergio Dalmasso


n. 24, gennaio 2003

Convegno Antisemitismo, razzismo, nuove destre (Luca Sossella, Luigi Urettini,

Sergio Dalmasso, Saverio Ferrari)

Un altro comunismo? (Sergio Dalmasso)

Unificazione europea? (Francesco Lamensa)

n. 25, febbraio 2003

Comunisti a Mondovì. In ricordo di Concetta Giugia Giaccone.

Lelio Basso nella storia del socialismo italiano (Luciano Della Mea, Rocco Cerrato, Sergio

Dalmasso, Piero Basso)

Rifondare è difficile. Rifondazione Comunista dallo scioglimento del PCI al “movimento dei

movimenti” di Sergio Dalmasso: recensioni, schede, segnalazioni.


n. 26, giugno 2003

La nuova sinistra italiana e la guerra di guerriglia durante gli anni ’60 (Aldina Trombini)


n. 27, gennaio 2004

Comunisti/e a Boves (Bartolomeo Giuliano, Edda Arniani, Carmelo Manduca, Giovanni “Spartaco”

Ghinamo) a cura di Sergio Dalmasso.


n. 28, febbraio 2004

Alberto Manna, Consigliere provinciale. Interventi al Consiglio provinciale di Cuneo (1995-1999)


n. 29, giugno 2005

Come era bella la mia Quarta (Silvio Paolicchi)

Ancora su foibe, fascismo antifascismo (Gianni Alasia)

Piccole storie dentro una grande storia (Enrico Rossi)

I miei amici cantautori (Sergio Dalmasso)


n. 30, ottobre 2005

Rifondare è difficile. Rifondazione Comunista dallo scioglimento del PCI al “movimento dei

movimenti” (Sergio Dalmasso)


n. 31 novembre 2005

Ristampa quaderno n. 7 Per ricordare Michele Risso, Atti del convegno, Boves, 1 marzo 1996 (Luigi Pellegrino, Sergio Dalmasso, Agostino Pirella, Franca Ongaro Basaglia, Pietro Ingrao, Gianna Tangolo, Regina Chiecchio)


n. 32 marzo 2006

Appunti sul Socialismo Italiano. a cura di Sergio Dalmasso


n. 33 settembre 2006

Comunisti/e a Boves. a cura di Sergio Dalmasso


n. 34 gennaio 2007

La Lega Nord nel Cuneese. a cura di Sergio Dalmasso e Fabio Dalmasso


n. 35 febbraio 2007

Gianni Alasia

a cura di Sergio Dalmasso, Vittorio Rieser, Fabio Dalmasso, Claudio Vaccaneo


n. 36 maggio 2007

Michele Risso: scritti e bibliografia.. a cura di Sergio Dalmasso.


n. 37 ottobre 2007

1307 – 2007.

700 anni dopo. Fra Dolcino e Margherita a cura di Sergio Dalmasso.


n. 38 gennaio 2008

I decenni della nostra storia, a cura di Sergio Dalmasso.


CIPEC ATTIVITA’

Anno 1986-1987

Ciclo: "Marxismo oggi":

- Marx oggi (Gian Mario Bravo)

- Il marxismo nella Terza Internazionale (Aldo Agosti)

- Per una ricostruzione del pensiero marxista (Costanzo Preve)

- Il proletariato in Marx (Cesare Pianciola)

- Il pensiero di Bloch (Laura Boela)


Anno 1988-1989

Ciclo: "Le rivoluzioni del '900":

- Rivoluzione francese (Costanzo Preve)

- Rivoluzione sovietica (Massimo Bontempelli)

- Rosa Luxemburg (Cosimo Scarinzi)

- Stalin, Trotskij, Bucharin, Togliatti (Antonio Moscato, Marco Rizzo)

- Rivoluzione cinese (Edoarda Masi)

- Rivoluzione cubana (Enrico Luzzati)

- La Palestina (Guido Valabrega)


Anno 1989-1990

continuazione del Ciclo:

- I paesi dell'est (Guido Valabrega)

- Il Sudafrica (Edgardo Pellegrini)


Anno 1990-1991

Ciclo: "Marxismo e...":

- Marxismo e femminismo (Nadia Casadei)

- Marxismo e libertà (Ludovico Geymonat)

- Marxismo e ecologia (Tiziano Bagarolo)

- Marxismo e economia (Riccardo Bellofiore)

- Marxismo e religione (Emanuele Paschetto)

- Marxismo e psiconalisi (Mario Spinella)

- Marxismo e nonviolenza (Enrico Peyretti)


Anno 1991-1992

Ciclo: "500 anni bastano":

- La storia della conquista (Franco Surdich)

- Il popolo Mapuche - Cile (Nelly Ayenao)

- Gli indiani del nord (Nayla Clerici)

- La Chiesa in America Latina (Giulio Girardi)


Anno 1992-1993

continuazione del Ciclo:

- Nord/Sud del mondo e il debito (Gerson Guymaraes)

- L'ambiente e la conferenza di Rio (Carlo Daghino)

- Proiezione video sugli incidenti razziali a Los Angeles

- Che Guevara (Gianluca Giachery e Sergio Dalmasso)

- Marxismo e nazionalità (Renato Monteleone)

- Ricordo di Ludovico Geymonat, filosofo della libertà (Fabio Minazzi)


Anno 1993-1994

Ciclo: "Marx oggi": - Il marxismo in Italia (Costanzo Preve)

- Il marxismo nel terzo mondo (Enrica Collotti Pischel)

- Marxismo oggi (Romano Madera)

Ciclo: "Storia della psicoanalisi"

- Freud (Alberto Camisassa)

- Jung (Giorgio Raimondi)

- Adler (Adriana Roatti Garzillo)

- Reich (Beppe Corona e Giorgina Lerda)

- Teorie freudiane e pratica terapeutica (Angelo Mondini)

- La micropsicoanalisi (Liliana Zonta)

Anno 1994-1995

Ciclo: "Analisi e terapie":

- Gestalt (Mario Frusi)

- Comportamentismo (Aldo Lamberto)

- Analisi sistematica (Massimo Schinco)

- Terapia del contatto (Luciano Jolly)

- Terapia del movimento (Elide Bono)

- Psicodramma (Giorgio Raimondi)

Fuori ciclo:

- La nuova sinistra: per un bilancio storico politico (Marco Revelli, Paolo Ferrero, Oscar Mazzoleni, Sergio Dalmasso)


Anno 1995-1996

Leone Trotsjij, un fantasma nella storia (Gigi Viglino)

- Storia, geografa, economia davanti ai problemi globali del mondo (Manlio Dinucci)

- Psichiatria democratica (Agostino Pirella, Paolo Henry)

- Per ricordare Michele Risso (Agostino Pirella)


Anno 1996-1997

- Guevara e l'America latina (Antonio Moscato) - Il caso Sofri-Calabresi, Lotta Continua (Ennio Pattoglio, Sergio Dalmasso)

- Democrazia Proletaria, "Camminare eretti" (Giannino Marzola)

- Lelio Basso nel socialismo italiano (Sergio Dalmasso)

- Storia critica della repubblica (Enzo Santarelli)

- Riviste a sinistra (Marco Scavino)

- Salute mentale e superamento dei manicomi (Agostino Pirella)


Anno 1997-1998

Il Che, 30 anni dopo (Antonio Moscato)

La rivoluzione Sovietica (Roberto Preve)

La globalizzazione (Franco Turigliatto, Raffaello Renzacci)

Una scelta di vita (Eugenio Melandri)

Il Perù e l'America latina (Isaac Velasco)

Il lavoro minorile (Carlo Daghino

Il caso Sofri (Fabio Levi)

Il Chiapas oggi (Luigi Urettini, Chiara Vergano)


Ciclo: "Immagini dell'uomo":

- Rapporto terapeuta/paziente

- Rapporto genitori/figli

- Rapporto uomo/donna


Anno 1998-1999

Kurdistan (Laura Schrader, Hasti Fatah)

La rivoluzione non violenta dei Sem Terra (Nadia Demond, Michelangelo Ramero)


Ciclo: "Quanto vuoi?":

- Prostituzione e immigrazione (Fredo Olivero)

- Aspetti antropologici della prostituzione (Giancarlo Ferrero)

- Prostituta e cliente (Franco Barbero, Carla Corso)


Ocalan libero (Laura Schrader, Hasti Fatah)

Guerra e democrazia (Raniero La Valle)

Nodi storici e religiosi nei Balcani (mons. Diego Bona, Luigi Cortesi)

"Attraverso il filo", il caso Silvia Baraldini (Maurizio Buzzini)


Anno 1999-2000

Ciclo: "100 anni di psicoanalisi":

- Analista - cliente

- Le età

- Psicoanalisi e sessualità

- Marxismo ed ecologia, Ecofemminismo (Tiziano Bagarolo, Antonella Visintin)

- La globalizzazione in America latina (Marina Ponti)

- Il viaggio del Che in America latina (Antonio Moscato)

- Presentazione del libro: Siamo solo noi, Vasco Rossi (Diego Giachetti)

- Quale carcere? (Beppe Manfredi, don Elvio Davoli)

- Presentazione "Rivista del Manifesto" (Giancarlo Aresta)

- Presentazione rivista "Carta" (Marco Revelli)

Convegno “1968-1969, il biennio rosso” (Luigi Urettini, Sergio Dalmasso, Diego Giachetti, Carla Pagliero, Franco Bagnis, Fabio Panero, Vittorio Bellavite, Carlo Carlevaris, Mario Cordero, Roberto Niccolai, Marco Scavino, Vittorio Rieser, Carlo Marletti)

Ciclo Datemi una barca (Scuola di pace di Boves):

- Giubileo e debito internazionale (Giulio Girardi)

- Il sistema globale (Manlio Dinucci)

- Teologia della liberazione e diritti umani (Josè Ramos Regidor)

- I movimenti rivoluzionari in America latina (Antonio Moscato)


Anno 2000-2001

- Sinistra alternativa, plurale, sociale? (Marco Prina, Gianna Tangolo, Alfredo Salsano, Fulvio Perini)

- I rossi nella Granda (Mario Borgna, Alberto Cipellini, Sergio Dalmasso)

- Convegno: "Gli anni '70" (Marco Scavino, Sergio Dalmasso, Vittorio Bellavite, Diego Giachetti,

Diego Novelli, Mario Renosio, Carla Pagliero, Gigi Malaroda, Pina Sardella, Nicoletta Giorda)

- Convegno: "Razzismo, antisemitismo, nuova destra" (Luigi Urettini, Moni Ovadia, Saverio Ferrari, Guido Caldiron, Remo Schellino, Mario Renosio, Sergio Dalmasso)

Ciclo Gli esclusi (Scuola di pace di Boves)

- La conquista dell'America dalla parte dei vinti (Giulio Girardi)

- Fabrizio De Andrè, cantante degli umili (Romano Giuffrida)

- I nostri amici cantautori (concerto)


Anno 2001-2002

- Presentazione del libro “Rifondare è difficile” di Sergio Dalmasso (Gastone Cottino)

- Convegno "Cosa resterà di questi anni '80?" (Diego Berra, Sergio Dalmasso, Claudio Mondino, Marinella Morini, Fulvio Perini, Lucio Magri, Marco Revelli, Lidia Cirillo, Diego Giachetti, Carla Pagliero).

- La crisi argentina (Antonio Moscato)

Ciclo "Gli esclusi" (Scuola di pace di Boves)

- La canzone popolare (Fausto Amodei)

- Un altro comunismo: Leone Trotskij, Rosa Luxemburg (Antonio Moscato)

- La Palestina (esponente dell'OLP)


Anno 2002-2003

- Globalizzazione ed economia (Nerio Nesi)

- Sindacato e movimenti dopo Firenze (Mario Agostinelli)

Convegno "Vent'anni della Scuola di pace di Boves"

- La marcia delle donne (Nicoletta Pirotta)

- L'alternativa al liberismo e al terrorismo (Giulio Girardi)

- Vent'anni di storia, vent'anni di guerre (Luigi Cortesi)

- Ernesto Balducci, Gunther Anders e il pacifismo di oggi (Enzo Mazzi, Luigi Cortesi)

- Convegno "1945/1948: gli anni della ricostruzione" (Sergio Dalmasso, Marinella Morini, Martino Pellegrino, Laurana Lajolo, Elena Cometti, Fabio Panero, Claudio Biancani, Michele Calandri, Paolo Perlo, Carla Pagliero, Sofia Giardino)


Anno 2004-2005

- Ciao Raffaello, in ricordo di Raffaello Renzacci (Giorgio Cremaschi, Fulvio Perini, Franco Turigliatto, Rocco Papandrea, Sergio Dalmasso).

- Liberalismo e liberismo (Sergio Dalmasso).

- Comunismo, marxismi, democrazia (Sergio Dalmasso).

- Riccardo Lombardi, per una società diversamente ricca (Nerio Nesi, Giancarlo Boselli, Sergio Dalmasso).

- Rosa Luxemburg (Sergio Dalmasso).

- Convegno “Gli anni ’60” (Daniela Bernagozzi, Carla Pagliero, Diego Giachetti, Marinella Morini, Sofia Giardino, Chiara Rota, Giuliano Martignetti).


Anno 2005-2006

- La stagione dei movimenti (Sergio Dalmasso).

- La questione palestinese (Cinzia Nachira)

- Film: Noi non abbiamo vinto? (Gianni Sartorio, Giampiero Leo, Sergio Dalmasso)


Anno 2006-2007

- 1956: l’invasione dell’Ungheria (Mario Martini, Gianni Alasia, Sergio Dalmasso)

- Comunisti/e a Boves (Nello Pacifico, Sergio Dalmasso)

Anno 2006-2007